Clarisse di Gerusalemme
«Santa sorella della cella accanto»
2023/11, p. 10
Clarissa a Gerusalemme, il porto sicuro dove Dio l’attendeva.

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Testimoni
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SUOR MARIA DELLA TRINITÀ
«santa sorella della cella accanto»
Clarissa a Gerusalemme, il porto sicuro dove Dio l’attendeva.
Qualche tempo fa dalla Colombia è arrivata al nostro monastero questa testimonianza:
«Sai? Ero ateo, non credevo in Dio, ma un giorno ho letto quanto segue: “Dio non c’è, tutto quello che se ne dice non è che commedia; e la vita non vale la pena di essere vissuta”. Ecco a che mi aveva portato a pensare tutta una lunga catena di sacrifici e di lotte inutili “Dio non c’è”! Leggendo questo, mi sono sentito identificato e ho continuato a leggere la storia di questa conversione, perché mi sono sentito incuriosito: com’è possibile che qualcuno che diceva “Dio non esiste” ora avesse fama di santità? Ed ero senza parole per il voto di vittima o sofferenza che lei ha fatto. E mi dicevo: Devo conoscere il suo Dio, Colui che l’ha fatta credere in Lui a tal punto da condurre la Sorella fino al sacrificio d'Amore».
Questo ateo oggi è un missionario consacrato. Per caso era incappato nella lettura dell’inizio del racconto della conversione e vocazione di Luisa Jaques, divenuta solo gli ultimi quattro anni della sua vita suor Maria della Trinità, clarissa a Gerusalemme. Accade spesso che, chi incontra questa nostra sorella attraverso il libro Colloquio interiore, ne rimane colpito. Perché? Paradossalmente, non si rimane attratti primariamente dalla mistica clarissa esperta nell’ascolto della voce del Signore, ma dalla giovane donna che ha conosciuto il buio della disperazione, il cammino travagliato di vita e di fede, i fallimenti e la ricerca tenace del senso della vita e della vocazione. Da molte nazioni scrivono, visitano la sua tomba, testimoniano grazie ricevute per sua intercessione, chiedono l’apertura della causa di beatificazione. Ma chi era suor Maria della Trinità? Ci piace pensarla come la nostra «santa sorella della cella accanto», parafrasando quanto papa Francesco dice della «santità “della porta accanto” di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio». Non aveva ancora pronunciato i voti solenni quando muore a 41 anni in seguito ad una febbre tifoide che aveva colpito l’intera comunità. Nessuna delle sorelle aveva intuito la sua profondità spirituale e ciò che fu rivelato solo dopo la sua morte, cioè l’ascolto della voce interiore del Signore Gesù che il suo confessore p. Sylvère Van den Broeck ofm le chiese di mettere per iscritto: «Mi si cerca lontano, mentre io sono così vicino a voi. Non avete che da scendere nel vostro cuore e ascoltare». «Sii più fedele per non perdere nessuna delle mie parole. Ascoltami e scrivi».
Per una più piena comprensione di suor Maria della Trinità è necessario coniugare due dimensioni caratteristiche della sua esistenza: la ricerca del bene mettendo a frutto le proprie risorse e l’ascolto interiore o, per dirla con parole sue, «per attraversare l’infinito abbiamo solo le nostre ali e la voce del nostro cuore che dobbiamo ascoltare».
Ti ho chiamata nella notte
La storia e la geografia della sua breve esistenza (26 aprile 1901- 25 giugno 1942) sono già sufficienti per tracciare il cammino della sua vita e ancor più della sua fede: ultima di quattro figli, Luisa viene alla luce a Pretoria in seno ad una famiglia protestante della Chiesa Libera del Canton Vaud (Svizzera). Orfana di madre alla nascita, viene portata dal padre nella terra elvetica di famiglia – tra Morges e L’Auberson – ricevendo dalla austera zia materna cura ed educazione nella rigida dottrina calvinista. Al carattere deciso e indipendente si unisce una spiccata sensibilità, creatività e intelligenza, un’attrazione al bello, all’amore, all’amicizia e alla vita. La sua vivacità è però continuamente ridimensionata a causa della tubercolosi che le costò mesi di cura e che condizionò ogni sua scelta. Al cuore della giovinezza, quasi sulla soglia dei 25 anni, Luisa conosce la notte della disperazione - tra il 13 e il 14 febbraio 1926 - quella notte in cui giunse a dire «Dio non c’è». Era il culmine della «lunga catena di lotte e sacrifici inutili» frutto di molte delusioni, lutti di persone care, incomprensione dei suoi alti ideali di giustizia sociale, solitudine per la lontananza dai familiari, impossibilità a vivere la relazione con un giovane medico di cui si era innamorata - perchè lui era sposato - con l’ulteriore dolore della sua morte prematura. «Dio non c’è»: questa l’amara sentenza alla quale era arrivata. Fu proprio in questa notte che Luisa fa l’esperienza viva e misteriosa di una presenza silenziosa – una religiosa – che le si accosta e che, dopo il turbamento, le lascia nel cuore insieme alla speranza «un’attrazione irresistibile per il chiostro». Lei stessa si chiese: «Era una chiamata? Certo avrei potuto sottrarmi, ma allora sarebbe stato come perdere una pace nel più profondo di me stessa, una pace di cui non potevo fare a meno». Cos’era accaduto? Nessuna parola, nessun gesto. Suor Maria della Trinità lo ricorda come una «piccola cosa insignificante che non fa rumore, che ha la levità di un sogno, ma che pur tuttavia è una realtà; essa ha capovolto tutta la mia vita». Capovolgimento: così Luisa descrive il movimento di quella notte, una svolta che le fece cambiare orizzonte e pensare «prima di disperare di Dio andrò a pregare in un convento». Più profondamente fu uno spartiacque che segnò una nuova comprensione dell’immagine di Dio: un Dio da cercare e da seguire, ma ancor più da lasciare che si riveli e si lasci trovare, non nell’osservanza morale o nei successi, ma nelle pieghe della vita, anche le più oscure. Come ha scritto il francescano padre Marco Freddi «Dio la cerca e la incontra nel momento della sua maggiore debolezza e lontananza da Lui. Questo esodo che accompagna costantemente la sua esistenza è una caratteristica di tutta l’esperienza spirituale della clarissa; e grazie ad essa Luisa è condotta, con una profondità sempre maggiore, ad accogliere la presenza e la rivelazione di un Dio che si mostra nella contraddizione delle vicende spesso dolorose della sua vita, una modalità che assicura la qualità dell’incontro, evitando che l’esperienza da lei fatta di Dio diventi solo frutto del desiderio o del suo bisogno mistico».
Cercare Dio
Il punto di attrazione fondante nella vita di Luisa fu senz’altro l’Eucaristia. Spinta da necessità lavorative, alla fine di quel 1926 si trasferisce in Italia – tra Milano e Bergamo – a servizio di alcune famiglie come istitutrice. È qui che trova un contesto favorevole nel quale i suoi interessi fioriscono. Durante il tempo libero, visitando le chiese dove spesso c’era il Santissimo Sacramento esposto, si trova di fronte ad un mistero a lei sconosciuto: «credevo che tutta quella gente fosse pazza ad adorare delle candele; cosa dicevano? Non avevo neppure voglia di saperlo. Quando tutti se ne erano andati io rimanevo a pregare. Questa religione non mi diceva niente, però qualcosa nelle chiese mi attirava irresistibilmente». La sua ricerca di Dio – «a tentoni» – si fa sempre più consapevole soprattutto dopo le vacanze estive dell’anno successivo quando un’amica da poco convertita al cattolicesimo le parlò della grazia dell’Eucaristia e lei ne fu folgorata: «Rivedo, quando voglio, la svolta della strada che noi seguivamo in cui queste parole mi fermarono; mi sembrò che anche tutta la natura fermasse il respiro e ascoltasse. Che meraviglia! Se io potessi riceverlo una sola volta, Egli mi guarirebbe!». Tornata a Milano trovò il coraggio per presentarsi ad un sacerdote nel confessionale del Duomo e questi la indirizzò alle Suore del Cenacolo per essere istruita nella fede cattolica: il battesimo e la prima comunione furono celebrati il 19 marzo 1928. Il cammino che la preparò a quel giorno, fu per Luisa la scoperta delle ricchezze nascoste nello scrigno della fede: «Ritrovo la bellezza della vita. I problemi che tanto mi avevano affaticata nella mia giovinezza trovano la loro soluzione. Da dove si viene? Dove si va? Tutto si mette in ordine nel mio cuore e non mi sento delusa in ciò che avevo sempre sperato dal Signore! Avevo incontrato il mio Dio».
Da allora per Luisa furono necessari ben dieci anni e tanti tentativi in vari conventi per trovare la propria vocazione e non fu facile. Quell’attrazione irresistibile per il chiostro che la mise in cammino alla ricerca di un convento fu vagliata al fuoco della prova per superare obiezioni e ostacoli: le ricadute di tubercolosi, la mancanza di dote, l’età avanzata e soprattutto la conversione ancora troppo recente. Il monastero delle clarisse a Gerusalemme fu la risposta concreta, il porto sicuro dove Dio l’attendeva. Vi entrò postulante nel 1938 prendendo il nome di suor Maria della Trinità e fece la sua prima professione il 29 agosto 1940. Una delle mediazioni preziose e decisive del suo discernimento vocazionale fu il sacerdote svizzero – mistico e teologo – Maurice Zundel (1897-1975) che di lei scrisse: «Mi ha colpito per la profondità della sua fede e l’intensità della sua intelligenza soprannaturale. Ha una vocazione spiccatamente contemplativa».
Due sono i tratti peculiari di suor Maria della Trinità, eredità viva oggi: una vita per l’unità e vivere la vita eucaristica.
Una vita per l’unità
Luisa sperimentò profondamente il dolore del padre e della famiglia per la sua conversione al cattolicesimo. Lei stessa era consapevole della distanza abissale che si era posta tra di loro, ma le era sempre più chiaro anche il motivo: «esiste tra i protestanti e i cattolici un muro enorme di idee false, di pregiudizi, di informazioni inesatte, reciprocamente. Quando si sarà riusciti a far cadere questo muro di antipatia, di opposizioni irreali, gli spiriti saranno più aperti alla luce della verità». Fino alla fine suor Maria della Trinità non trascurò alcuna opportunità per far «cadere questo muro» che impediva il dialogo. L’orizzonte di una comprensione più profonda della fede e dell’unità della Chiesa le si è dischiuso gradualmente grazie a piccoli tasselli frutto di una rete di amicizie. Fu l’amore a condurla a cercare ancor più il cuore dell’unità fino a dire: «Uno stesso amore per lo stesso Dio non dovrebbe separare anime di buona volontà, anime “missionarie” che lavorano per il Regno di Dio. Siamo uniti nella carità». Insistentemente nella preghiera chiedeva a Dio la conversione dei suoi e il ritorno dei protestanti alla Chiesa cattolica, ma la risposta del Signore era sorprendente: «Non dubitare della conversione dei tuoi; ho la mia ora, e i miei mezzi non sono i vostri mezzi. Hai capito bene che se entro nella loro vita, è con la croce che entro nella vita e nel cuore dei miei?». E ancora alla domanda: «Signore Gesù, le conversioni che vi sono richieste non le concedete?» ecco la risposta: «È nell’interno dell’anima che si operano le conversioni, esse non sono sempre manifeste, ma ‘sono’, e per l’eternità. Non dubitare più». Qui il capovolgimento di criteri e percorsi precorre i tempi di un vero e proprio ecumenismo della vita: «Ogni volta che hai una premura affettuosa, parola o atto, che favorisce la buona intesa tra voi, il sopportarvi, l’aiuto scambievole, contribuisci all’unità della mia Chiesa: ‘Che tutti siano una sola cosa’. La tua preghiera dilla così, con gli atti».
Il voto di vittima: vivere la vita eucaristica
Al cuore dell’esperienza umana e spirituale di suor Maria della Trinità c’è la scoperta dell’agire nascosto e silenzioso di Dio, spiccatamente eucaristico. Leggendo gli appunti si può cogliere il cammino nel quale il Signore l’ha condotta a comprenderne il senso, fino a pronunciare il voto di vittima cioè vivere la sua vita eucaristica: «Io desidero che le anime sappiano che mediante il voto di vittima entrano in una vita di unione con me. Bisogna che sappiano che io desidero ardentemente questo voto di vittima. È così che la società si ricostruirà. Bisogna che esse sappiano che il voto di vittima significa imitare la mia vita eucaristica». Il teologo Hans Urs von Balthasar, nella sua prefazione al libro, ne ha dato la più bella definizione: «Non si tratta di raggiungere un vertice nella partecipazione volontaria alla passione espiatrice, ma un grado sommo di disponibilità e di non-resistenza a tutte le decisioni di Dio. L’uomo non fa il voto (come qualche volta è accaduto) di “scegliere sempre il più perfetto”, ma di lasciar sempre che si compia (è il senso del fiat di Maria) ciò che Dio vuole, e che è naturalmente il più perfetto». Il fiat ‘passivo’ che si consegna lasciando il primato a Dio nell’agire, si traduce in un’adesione ‘attiva’ al bene, proprio lì dove il male si manifesta. Un ‘vincere’ con le armi dell’offerta, dell’assumere, del riparare, facendo un atto opposto al male che si è visto. Nulla di intimistico, né tantomeno di anacronistico, al contrario «è così che la società si ricostruirà». Era il 1942, si era in piena guerra. Possa la sua intercessione portare proprio oggi frutti di pace e di unità, soprattutto in Terra Santa e ovunque nel mondo intero.