In conversione permanente
2023/11, p. 1
Siamo tutti discepoli-missionari in stato permanente di conversione pastorale e sinodale
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Testimoni
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SINODALITÀ
Camminare insieme
in conversione permanente
Siamo tutti discepoli-missionari
in stato permanente di conversione pastorale e sinodale
All'inizio della nostra riflessione abbiamo accennato al fatto che il Documento Preparatorio (DP) del Sinodo sulla sinodalità offre due significati del camminare insieme. La prima ha a che fare con la Chiesa ad intra, nelle sue relazioni, dinamiche comunicative e strutture. Ma viene offerta una seconda definizione. «La seconda prospettiva considera come il Popolo di Dio cammina insieme a tutta la famiglia umana» (DP 29), cioè la Chiesa in pellegrinaggio e che vive in mezzo ad altri popoli e alle loro culture. In questa seconda accezione c'è una confluenza tra «conversione sinodale» e «conversione pastorale». Infatti, la Commissione Teologica Internazionale sostiene che «la Chiesa è chiamata a una costante conversione che è anche una “conversione pastorale e missionaria”, consistente in un rinnovamento di mentalità, atteggiamenti, pratiche e strutture» (CTI, Sin 104).
Questa seconda prospettiva del «camminare insieme» sottolinea il fatto che non può esistere una Chiesa missionaria senza la partecipazione attiva di tutti i suoi membri – fedeli – come soggetti corresponsabili della missione (CTI Sin, 6). Il motivo è che, in una Chiesa sinodale, «tutto il Popolo di Dio è oggetto dell'annuncio del Vangelo e, in esso, ogni battezzato è chiamato ad essere protagonista della missione» (CTI, Sin 48). In altre parole, «nella Chiesa la sinodalità è vissuta al servizio della missione [poiché] Ecclesia peregrinans natura sua missionaria est, [quindi] “esiste per evangelizzare”» (CTI, Sin 48).
Evangelizzare ed essere evangelizzati
Il legame tra sinodalità e conversione pastorale approfondisce l'ecclesiologia del Popolo di Dio missionario (LG-AG), che non permette di dissociare «la Chiesa che evangelizza» dalla «Chiesa che viene evangelizzata» (Evangelii nuntiandi 14-15), «perché siamo tutti discepoli-missionari» (CTI, Sin 48). In termini sinodali questo si traduce come «una Chiesa che ascolta» e «impara da ciò che ascolta» per prendere insieme «decisioni pastorali» (CTI, Sin 68). Questa prospettiva supera la tentazione dell'autoreferenzialità ed evita il ritorno alla disuguaglianza che esisteva nel modello di una Chiesa docente e di una Chiesa discente.
La domanda su «come il Popolo di Dio cammina insieme a tutta la famiglia umana» (DP 29) trova una risposta nella comprensione della sinodalità come esercizio corresponsabile di missione condivisa. Ciò presuppone l'integrazione di due dimensioni della conversione ecclesiale: quella «sinodale» e quella «pastorale». Entrambe si sviluppano simultaneamente nel quadro di un «processo organico». Infatti, possiamo parlare della necessità di una «conversione pastorale per l'attuazione della sinodalità» (CTI, Sin 105), perché «la grande sfida della conversione pastorale che la vita della Chiesa affronta oggi è quella di intensificare la collaborazione reciproca di tutti nella testimonianza evangelizzatrice, a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzarsi» (CTI, Sin 104).
Il concetto di conversione pastorale è apparso per la prima volta alla IV Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi a Santo Domingo (1992), dove è stato definito nei seguenti termini: «la Nuova Evangelizzazione richiede la conversione pastorale della Chiesa. Tale conversione deve essere coerente con il Concilio. Essa tocca tutto e tutti: nella coscienza e nella pratica personale e comunitaria, nei rapporti di uguaglianza e di autorità, con strutture e dinamismi che rendano la Chiesa sempre più chiaramente presente come segno efficace, sacramento della salvezza universale» (DS 30). La conversione pastorale non si riferisce principalmente a un semplice cambiamento del modello pastorale. Essa è l'asse organico e strutturante dell'intera genesi e organizzazione della missione evangelizzatrice, che riguarda «tutto e tutti/e». Di conseguenza, richiede una revisione della missione della Chiesa, sia nel suo essere che nel suo fare, in tutto ciò che riguarda il suo «stile» (coscienza, prassi ed esercizio dell'autorità), la sua «identità battesimale» (relazioni di uguaglianza) e i «modelli istituzionali» che la sostengono (strutture e dinamismi). Il magistero latinoamericano ha approfondito questa nozione nella V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, tenutasi ad Aparecida (2007). La Conferenza ha sottolineato che il compimento della missione evangelizzatrice richiede una «conversione pastorale permanente» (Aparecida 366) della stessa «struttura ecclesiale» e del suo «modo di relazionarsi» con la società (Aparecida 368). Il processo che si genera alla luce della reciprocità di entrambe le conversioni (sinodale e pastorale) costituisce e qualifica l'identità di tutti i soggetti ecclesiali – fedeli – legandoli tra loro come discepoli-missionari in uscita verso le periferie. Questo quadro ecclesiologico si dà sulla base dell'uguaglianza che scaturisce dalla dignità battesimale, ma si realizza nella misura in cui la Chiesa abilita spazi e organizzazioni in cui tutti, senza esclusione, possono partecipare e praticare dinamiche comunicative, come l'ascolto, il discernimento comunitario e la presa insieme di decisioni pastorali.
Passaggio pasquale dall’io al noi
Possiamo dire, con grande convinzione, che stiamo vivendo un Kairos che sta modellando uno stile di essere e fare Chiesa alla luce della corresponsabilità e della partecipazione attiva di tutti i fedeli alla missione condivisa. La conversione sinodale si realizzerà nella misura in cui la Chiesa si rinnoverà camminando inter et cum fideles e si riformerà pastoralmente sulla base di questa esperienza. In altre parole, si tratta di una conversione che si manifesta nel «passaggio pasquale dall’“io individualistico” al “noi ecclesiale”, in cui ogni “io”, rivestito di Cristo (cf. Gal 2,20), vive e cammina con i fratelli come soggetto responsabile e attivo nell'unica missione del Popolo di Dio» (CTI, Sin 107).
Vorrei concludere questa riflessione con una domanda posta da Congar alla luce della sua esperienza in una Chiesa in transizione dal Concilio al periodo post-conciliare. Egli diceva: «dobbiamo chiederci se sarà sufficiente un aggiornamento o se sarà necessario qualcos'altro. La questione si pone nella misura in cui le istituzioni della Chiesa sono state prese da un mondo culturale che non può più adattarsi al nuovo mondo culturale. I nostri tempi richiedono una revisione delle forme “tradizionali” che vada oltre i piani di adattamento o di aggiornamento, e che implichi piuttosto una nuova creazione». Questa domanda che Congar ci ha lasciato nel 1972 può essere letta oggi come un invito a continuare ad approfondire i processi di «riforme spirituali, pastorali e istituzionali», come hanno sostenuto i vescovi ad Aparecida nel 2007 (Aparecida 367). Tuttavia, ciò presuppone la parresia di «abbandonare le strutture obsolete che non favoriscono più la trasmissione della fede» (Aparecida 365) e che sono diventate un ostacolo all'annuncio e all'incarnazione del Vangelo. È in gioco la testimonianza della nostra «sequela di Gesù» come condizione indispensabile per il rinnovamento della Chiesa e il recupero della sua credibilità (Unitatis redintegratio 4.6).
RAFAEL LUCIANI