Chiaro Mario
Chi nasce povero resta povero
2023/10, p. 42
La Caritas, durante una speciale audizione parlamentare, ha denunciato che ancora manca una visione strutturale per fronteggiare la povertà. Inderogabile il diritto a una vita decente per chiunque cada in povertà, indipendentemente da caratteristiche demografiche e dal profilo professionale e fino a quando persista la condizione di bisogno.

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RAPPORTO ISTAT 2023
Chi nasce povero resta povero
La Caritas, durante una speciale audizione parlamentare, ha denunciato che ancora manca una visione strutturale per fronteggiare la povertà. Inderogabile il diritto a una vita decente per chiunque cada in povertà, indipendentemente da caratteristiche demografiche e dal profilo professionale e fino a quando persista la condizione di bisogno.
Lo rileviamo con tristezza: la povertà in Italia è ormai un fenomeno strutturale. Il 9,4% della popolazione oggi vive, secondo l’Istat, in una condizione di povertà assoluta. Circa quindici anni fa era il 3%. Non si può ignorare che il paese abbia subìto il contraccolpo delle crisi globali a partire dal 2008 – crollo della società di servizi finanziari Lehman Brothers (Usa), crisi del debito sovrano in Ue, pandemia da Covid-19, effetti del conflitto in Ucraina –, ma è inaccettabile che oggi si registrino 5mln e mezzo di poveri assoluti! C’è poi un’inflazione al consumo che ha raggiunto i suoi massimi livelli dal 1985 e sono proprio i poveri a pagare il prezzo più alto, rafforzando in questo modo le disuguaglianze tra le famiglie più benestanti e quelle meno abbienti. In questo drammatico scenario, si evidenzia che l’Italia e la Grecia sono stati gli ultimi due paesi in Europa a dotarsi di una misura nazionale contro la povertà. Nel 2017 si è introdotto il Reddito d’Inclusione (Rei) e il Reddito di Solidarietà ((Res). Nel 2019 il Rei è stato sostituito dal Reddito di Cittadinanza (RdC), che sarà a sua volta rimpiazzato, nel 2024, dalle nuove misure del governo Meloni: Assegno di inclusione (Adi) e Supporto per la formazione e per il lavoro (Sfl).
Una stagione di grave vulnerabilità sociale
La Caritas, alla luce dei dati provenienti dal suo continuo monitoraggio delle «bolle» di povertà, ha avvertito sia le imprese sia i politici di evitare due tentazioni: la prima è quella di fermarsi alle statistiche, la seconda è quella di utilizzare i numeri per vantarsi di opere e progetti realizzati. Le forze politiche (di entrambi gli schieramenti) necessitano di un impegno unitario, perché nell’autunno demografico che si profila all’orizzonte, in Italia c’è anche il rischio di trovarsi in presenza di una cospicua popolazione anziana, maggioritaria dal punto vista numerico, con scomparti sempre più ampi di precarietà, vulnerabilità e povertà economica, per le quali vanno messe in campo crescenti risorse umane e assistenziali. L’analisi dei bisogni rilevati, mostra le molte facce della vulnerabilità: fragilità economica (reddito insufficiente o assenza totale di entrate); sofferenza lavorativa (disoccupazione, precariato, lavoro nero e licenziamenti); la «questione casa» (mancanza di una abitazione, accoglienze provvisorie, sistemazioni precarie). Alle difficoltà di ordine materiale seguono altre ferite sociali: problemi familiari, fragilità legate alla salute o ai processi migratori. Tra i bisogni familiari spiccano gli effetti legati a separazioni e divorzi, alla conflittualità di coppia, alla morte di un congiunto. In ambito sanitario, si rilevano casi di depressione, malattie mentali, malattie cardio-vascolari e oncologiche, patologie odontoiatriche. Tra gli stranieri spiccano problematiche connesse allo status di migrante: lentezze burocratico-amministrative, difficoltà legate alle domande di asilo. Stabili rimangono le differenze tra italiani e stranieri: tra gli italiani spiccano la povertà economica, le fragilità familiari e i problemi legati all’ambito della salute; tra gli stranieri si confermano le vulnerabilità abitative e quelle relative all’istruzione (problemi di lingua).
Trasmissione intergenerazionale della povertà
Secondo il Rapporto 2023 dell’Istat, un fattore particolarmente preoccupante è la trasmissione intergenerazionale della povertà: quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà, proviene da famiglie che già versano in condizione finanziaria critica. La spesa pubblica per l’istruzione in rapporto al Pil mostra il minore impegno del nostro paese rispetto alle maggiori economie della Ue. Per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori spendiamo una quota rispetto al Pil pari a circa l’1%. Nella classe di età 30-34 anni, il 12% delle persone dichiara di non aver mai lavorato. L’effetto positivo del titolo di studio si rileva soprattutto tra le donne, mentre è molto più ridotto tra gli uomini. La mancanza di esperienza di lavoro rende difficile un successivo inserimento, con il rischio di rimanere esclusi o di dover accettare lavori meno qualificati. L’istruzione ha un ruolo importante nel favorire l’occupazione femminile. Si tenga presente però che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto legata ai carichi familiari, alla disponibilità di servizi per l’infanzia e la cura dei minori e/o dei membri della famiglia più fragili (persone disabili, non autosufficienti, anziani), oltre che ai modelli culturali. Nel 2022, il tasso di occupazione delle 25-49enni è stato poco meno dell’81% per le donne che vivono da sole, circa il 75% per quelle che vivono in coppia senza figli e oltre il 58% per le madri. Anche per quanto riguarda il fenomeno dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, le più colpite sono le ragazze (20,5%) rispetto ai coetanei maschi (17,7%). La fascia di età più interessata è quella tra i 25 e i 29 anni (un giovane su quattro è Neet), i residenti nelle regioni del Mezzogiorno sono quasi il 28%.
Il ruolo della Caritas per il contrasto alla povertà
La stampa ha dato grande rilievo all’audizione della Caritas presso il Senato, in merito al decreto-legge n.48 (4 maggio 2023) riguardante il Reddito di Cittadinanza (Rdc). A detta della Caritas, questa misura presenta due grandi difetti: «essere un unico programma con due obiettivi distinti (contrasto alla povertà e inserimento lavorativo) e relative governance separate […]; non riuscire a raggiungere un’ampia fascia di persone in povertà assoluta a causa di alcuni dei criteri di accesso fissati e delle soglie. Tuttavia in Italia a pregiudicarne l’attuazione sono stati due tratti tipici del nostro sistema di welfare: la storica debolezza delle politiche attive del lavoro e una estrema difficoltà a fare rete sui territori da parte dei soggetti pubblici e privati». Le stime quantificano intorno al 50-60% la quota di poveri assoluti non raggiunti dal RdC a causa di alcuni dei criteri di accesso fissati e delle soglie individuate. Ora chi resta escluso dall’ Adi (Assegno di inclusione) potrà richiedere il Sfl (Supporto per la formazione e per il lavoro) dal primo settembre 2023: 350 euro al mese per un anno se le persone hanno tra 18 e 59 anni e partecipano a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro. Purtroppo il requisito anagrafico non garantisce maggiore probabilità di trovare un impiego. Anzi, in questa fascia di età si trovano spesso persone con fragilità e vulnerabilità tali da rendere necessari interventi di supporto psico-sociale specifici piuttosto che di attivazione al lavoro. Inoltre per ricevere il Supporto è necessario avere un reddito da Isee (indicatore della situazione economica equivalente) inferiore a 6mila euro annui. Il rischio è che siano esclusi dalla misura i lavoratori poveri, discontinui, a tempo parziale o precari che già lavorano e avrebbero sicuramente bisogno di ulteriore sostegno economico e formativo per stabilizzare la propria situazione. Infine, dopo i 12 mesi previsti per i percorsi di formazione, per queste persone cade ogni forma di sostegno al reddito».
Un aiuto universale per tutti i poveri
Oggi dunque, al posto di un’unica misura, sono individuati due sottoinsiemi distinti: famiglie povere con alcune caratteristiche demografiche precise (presenza di minori, persone over 60, persone con disabilità e non autosufficienti) e carichi di cura; persone in povertà in età da lavoro (18-59 anni). Secondo la Caritas i principali effetti delle nuove norme sono i seguenti: a) scomparsa del tratto di universalità che caratterizza le politiche contro la povertà, sostituite da uno spezzettamento per categorie; b) creazione di sottoinsiemi di destinatari particolari che hanno un elevato grado di eterogeneità e richiedono interventi diversificati. Un esempio di area a rischio di sperequazione e iniquità riguarda la condizione delle persone senza dimora nella fascia di età tra i 18 e i 59 anni, che dovrebbero accedere al «Supporto per la formazione e per il lavoro» in quanto non vivono in nuclei con i requisiti richiesti dalla misura per le famiglie. «Tuttavia, considerando le storie personali di solitudine, inedia, a volte dipendenza di queste persone, le loro condizioni di salute e lo stato psicologico ed emotivo in cui versano, la debolezza o assenza delle reti familiari, amicali e sociali su cui contare, è assolutamente irrealistico immaginare che costoro possano essere incanalati direttamente in percorsi di formazione e qualificazione professionale, senza un aiuto preliminare da parte dei servizi sociali». In poche parole, l’esigenza di tutelare gruppi specifici non può essere messa al disopra del rispetto alla protezione universale dalla povertà. Solo una volta garantita una base di aiuto per tutti i poveri, riconoscendo il diritto universale a essere sostenuti in casi di povertà, si possono istituire forme di aiuto supplementari per particolari fasce della popolazione.
L’importanza di principi inderogabili
Durante l’audizione in Senato, Caritas Italiana ha suggerito alcuni correttivi alle nuove forme di sostegno (Adi e Sfl), indicando che alla base ci sono principi di fondo inderogabili rispetto alla costruzione di politiche pubbliche contro la povertà. Il primo principio riguarda il diritto a una vita decente per chiunque cada in povertà, indipendentemente dalle caratteristiche demografiche e dal profilo professionale e fino a quando persiste la condizione di bisogno. In questo modo l’Adi diventa una misura universale di contrasto alla povertà (un reddito minimo). Il Sfl si configura come misura di re-inserimento lavorativo, temporanea e destinata alle persone in difficoltà economica, occupabili e prive di sostegni pubblici per la disoccupazione. Gli altri principi puntano sulla centralità dell’accompagnamento sociale per garantire il potenziale effettivo delle persone, l’istituzione di una rete locale per l’inclusione e la cura della transizione al lavoro.
«È facile, parlando dei poveri, cadere nella retorica. È una tentazione insidiosa anche quella di fermarsi alle statistiche e ai numeri. I poveri sono persone, hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti, come tutti, ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro […]. Interessarsi dei poveri, quindi, non si esaurisce in frettolose elemosine; chiede di ristabilire le giuste relazioni interpersonali che sono state intaccate dalla povertà. In tal modo, “non distogliere lo sguardo dal povero” conduce a ottenere i benefici della misericordia, della carità che dà senso e valore a tutta la vita cristiana. La nostra attenzione verso i poveri sia sempre segnata dal realismo evangelico […]. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto all’amore» (papa Francesco, Messaggio per la VII Giornata dei poveri).
MARIO CHIARO