La Mela Maria Cecilia
La cananea preghiera di supplica
2023/10, p. 31
Questa madre è tutta un sussulto, uno spasimo, alza la voce certamente per farsi sentire, ma ancor più perché pressata, angosciata, incapace di contenere la piena della sua sofferenza. Implora pietà, ossia la gratuità di un dono; chiede attenzione al suo problema, compassione, esaudimento.

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PREGARE CON LA VITA
La cananea
preghiera di supplica
Questa madre è tutta un sussulto, uno spasimo, alza la voce certamente per farsi sentire, ma ancor più perché pressata, angosciata, incapace di contenere la piena della sua sofferenza. Implora pietà, ossia la gratuità di un dono; chiede attenzione al suo problema, compassione, esaudimento.
Per approfondire la preghiera di supplica vogliamo soffermarci sulla figura della cananea che implora da Gesù la guarigione della figlia tormentata da uno spirito cattivo (Mt 15,21-28). Già dal suo entrare in scena, là verso la zona di Tiro e di Sidòne, la donna si presenta come lei stessa fatta supplica vivente. È tutta un grido di disperata e insieme fiduciosa richiesta: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!».
Questa madre che è tutta un sussulto, uno spasimo, alza la voce certamente per farsi sentire, ma ancor più perché pressata, angosciata, incapace di contenere la piena della sua sofferenza. Implora pietà, ossia la gratuità di un dono; chiede attenzione al suo problema, compassione, esaudimento. «Quando il Vangelo riferisce di qualcuno che prega, spesso mostra gente che grida. Solitamente gridiamo quando abbiamo l’acqua alla gola… Ecco, ci sono preghiere che diciamo e preghiere in cui crediamo in quello che stiamo dicendo. Ci sono preghiere che recitiamo e preghiere che professiamo. Questa è una donna che non sta pregando perché deve pregare; è una donna che ha un motivo serissimo per il quale pregare, e lo fa fino al punto di gridare […]. Chi ha vinto in questa storia? L’ostinazione. Solo chi è ostinato, solo chi è fedele, alla fine, ottiene […]. È una caratteristica, una genialità tipicamente femminile; è tipico delle donne comprendere che proprio il momento più difficile è anche quello più decisivo. Durante il quale non si scappa, ma nel quale bisogna restare».
Alle parole di implorazione seguono gesti, insistenza, caparbietà e soprattutto quell'audacia fiduciosa che non la fa arrendere neanche davanti all'iniziale rifiuto di Cristo e al suo apparente disprezzo. Ella continua a supplicare, forte della sua accorata tensione di madre. Quante volte le nostre mamme, quando siamo stati ammalati o presi da grandi problemi, non ci hanno detto a parole, a lacrime, a notti insonni che avrebbero voluto essere al posto nostro? Di aver preferito aver loro quel malanno o quelle difficoltà piuttosto che noi? In fondo averci portato nel grembo, averci allattati, averci educati e fatti crescere non è stato un modo continuo di darci la vita anche a prezzo di alti rischi? La cananea è una donna ed è una mamma. Nessun ostacolo potrebbe mai farla desistere e tornare indietro. Ella supplica, si mette in gioco, si fa piccola come i cagnolini pur di ottenere il bene grande che implora. Non si rivolge a Gesù solo perché mossa da ingente necessità ma anche perché ha fede; è certa che quell'uomo, quel grande e potente a cui si rivolge, nonostante le distanze, anche offensive che sa ben trincerare, è uno che ascolta, uno che accoglie, uno che sa valutare e apprezzare l'intenzione del cuore. E sa andare oltre perché sa farsi per primo lui piccolo e consegnarsi inerme. Eppure «egli non le rivolse neppure una parola».
Imparare a vedere e ad ascoltare
Chi dovrebbe rispondere tace e quanti dovrebbero stare zitti intervengono: «Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”». È un sentimento di pietà a muoverli o soltanto un senso di disturbo, di noia? I discepoli, come tutti noi del resto, sono uomini pragmatici, cercano la via più immediata e risolutiva a ciò che potrebbe presentarsi come una interferenza, un non previsto, una seccatura da sbrigare al più presto e a costo zero. E non è la prima volta che propongono soluzioni spicce e poco attente al dramma che si sta svolgendo davanti ai loro occhi. Occorre del tempo perché dalla vista esterna passi nei loro cuori. Anch’essi, anche noi abbiamo un cammino da fare per imparare a vedere e non solo a guardare, ad ascoltare e non solo a sentire.
Ed ecco che finalmente Gesù parla, risponde: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Al che la donna gli si fa più vicina sino a prostrarsi dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ed ecco che la supplica, messa alla prova e via via impreziosita da un incontro divenuto dialogo e reciproca conoscenza, diventa atto di fiducia che ottiene guarigione: «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Ancora una volta Gesù assurge come il Maestro che educa, che conduce a maturazione persone ed eventi. «Gesù, alla fine, si lascia vincere dalla insistenza della donna cananea, che dà prove sempre più convincenti di fede. Già il fatto che lei, pagana, si rivolge a Gesù per chiedergli di guarire la figlia, dimostra che ha fiducia in lui. Anche i titoli con cui lo interpella, in un continuo crescendo, testimoniano la sua fede: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide” (v. 22); “Signore, aiutami” (v. 25) […]. D’altra parte, è stato lui che positivamente ha contribuito sia a provocare sia a fare crescere quella fede».
Piccolezza nella quotidianità
Le nostre quotidiane mollichine possono nutrire la nostra fede e aprirci al miracolo continuo di un Dio che si è fatto pane per tutti. Alla fine Gesù arriva ad elogiare la fede della cananea – «donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» – ed è in quell’istante che la figlia viene guarita.
Tutto questo perché quella straniera è divenuta da madre figlia nella consegna di se stessa al Padre, perché solo se ci si fa piccoli, frammenti imploranti di umanità, è possibile accedere alla tavola di Colui che non si dà tregua finché tutti i figli non siano ritornati a casa. Lo spirito cattivo che tiene imprigionati, che lascia affamati, non potrebbe essere anche la nostra pretesa autosufficienza che ci chiude al dono, al pane, alla salvezza? Il Signore ci educa progressivamente a chiedere perché vuole portarci al centro della nostra domanda, al cuore dei nostri desideri, alla radice delle nostre malattie. Solo così è possibile intraprendere un cammino di liberazione che, raccogliendo briciole, porta alla vita vera, alla pienezza del nostro essere perché «la nostra è la religione della parola che si fa carne, visibilità, concretezza: la parola che si fa storia».
Il segno del pane
La preghiera di supplica è soprattutto virtù di costanza, di abbandono fiducioso alla volontà di Dio ma che ci sollecita ad essere desti, audaci, insistenti come figli, perché quello che conta veramente va conquistato. Solo allora ne comprendiamo il giusto valore. In una società del tutto subito e tutto facile, siamo chiamati a testimoniare valori più alti, la paziente attesa del seme che diventa spiga, poi grano perché l'uomo, trasformandolo in farina, possa ottenere quel pane di cui ogni briciola non va perduta. Nel foglietto La domenica per la solennità del Corpus Domini, celebrata lo scorso 11 giugno 2023, è stata riportata questa frase di san Charles de Foucauld: «Quando ci si rende conto di persona di quanta fatica ci voglia per produrlo, si dà il giusto valore al pane!». Sarà forse il segno del pane, di una tavola attorniata di figli, o la stessa icona di una mamma supplicante a far andare il nostro pensiero al dono dell'Eucaristia? Anche perché come benedettine dell'adorazione perpetua del SS. Sacramento ce l'abbiamo nelle vene... come del resto ogni cristiano dovrebbe averla.
E a proposito di Eucaristia, di vino e non solo pane, di mamme e di briciole, vorremmo concludere con la bellissima immagine tanto cara al cristianesimo delle origini, quella del pellicano femmina che, quando non ha nulla da dare per sfamare i propri piccoli che gemono per la fame, si ferisce il petto con il lungo becco e li nutre con il proprio sangue. Come Gesù che non ci dà qualcosa, ma ci dà se stesso, tutto ciò che è, sangue e vita, corpo e salvezza. Come Maria, la mamma ai piedi della croce trafitta dall'agonia del Figlio, chiamata a divenire madre dell'umanità, donna eucaristica.
SUOR MARIA CECILIA LA MELA OSBap