Gellini Anna Maria
Bellezza e verità del celebrare cristiano
2023/10, p. 26
A sessant’anni dalla promulgazione di «Sacrosanctum Concilium» e a un anno della lettera apostolica «Desiderio desideravi» (29 giugno 2022), il Centro Azione Liturgica, (CAL) unitamente alla Diocesi di Chiavari, ha offerto, dal 28 al 31 agosto, una preziosa occasione di riflessione e di formazione liturgica, con l’intento di restituire alla liturgia cristiana, bellezza e verità.

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73° SETTIMANA LITURGICA NAZIONALE
Bellezza e verità
del celebrare cristiano
A sessant’anni dalla promulgazione di «Sacrosanctum Concilium» e a un anno della lettera apostolica «Desiderio desideravi» (29 giugno 2022), il Centro Azione Liturgica, (CAL) unitamente alla Diocesi di Chiavari, ha offerto, dal 28 al 31 agosto, una preziosa occasione di riflessione e di formazione liturgica, con l’intento di restituire alla liturgia cristiana, bellezza e verità.
«È bello per noi essere qui. Bellezza e verità del celebrare cristiano»: questo il tema, presentato e condiviso nella preziosa grandiosità della cattedrale di Nostra Signora dell’Orto, introdotto e illuminato dallo splendore del brano evangelico della Trasfigurazione (Mt 17,1-9). La Trasfigurazione è «azione simbolica che predice la Pasqua» – ha sottolineato mons. Claudio Maniago – e ci dice quanto «abbiamo bisogno di essere presenti alla presenza reale del Signore», capaci di «silenzio», che è contemplazione, ascolto, verità, bellezza.
«Coniugare semplicità, bellezza e nobiltà sembra essere una sfida che il nostro tempo è chiamato a raccogliere. Quando celebriamo con tale stile, noi stessi diventiamo semplici, belli, nobili, partecipi di quella dignità che deriva dall’essere toccati dal dono di Dio». Lo ha scritto il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in un messaggio a mons. Claudio Maniago, presidente del CAL, portando i saluti di papa Francesco che oltre a ringraziare per le energie profuse a favore della liturgia, «incoraggia a continuare nell’impegno affinché, con convinzione e serenità, possiamo tendere verso la bellezza e la verità delle celebrazioni liturgiche». «Quando celebriamo con fede questo mistero d’amore, esprimendolo e condividendolo con le parole, con i gesti, con tutta la nostra persona – ha osservato il card. Parolin – ne veniamo anche noi trasfigurati. Perciò nella liturgia emerge anche la verità dell’umano, ciò che ogni donna e ogni uomo, per grazia, sono chiamati ad essere e a diventare […]. Celebrare nella bellezza è possibile quando ci anima la stupita riconoscenza per ciò che Dio ha compiuto a nostra salvezza: perché ci sentiamo amati da Lui e ci possiamo rivolgere a Lui come figli. Non si celebra per compiacere noi stessi e nemmeno per compiacere Dio, ma per rispondere al suo desiderio di noi e per fare spazio alla sua vita in noi». Quindi, è «ingiustificabile l’atteggiamento di chi confonde la semplicità liturgica con una sciatta banalità». Ma perché tutto questo diventi esperienza nella verità, mons. Giampio Luigi Devasini, vescovo di Chiavari, afferma che «abbiamo bisogno di formazione liturgica, di custodire lo stupore per il mistero pasquale che si compie nel rito, di contemplare la bellezza del Signore attraverso la bellezza delle celebrazioni, di crescere nella consapevolezza che il rito è chiamato a compiersi nella vita extra celebrativa a partire dalla grazia della celebrazione».
La bellezza risplende nella liturgia
Nella sua prolusione, mons. Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, ha trasmesso con competenza e passione come «Cristo sia la vera scuola della bellezza, luce che ci trapassa, che ci trasforma, splendore che illumina l’intelligenza. La bellezza non è una cosa che tu possiedi, ma è Qualcuno che ti possiede. È divina, eterna, sempre viva. La bellezza risplende nella liturgia come verità che salva, e come tale, è annuncio, celebrazione, dono della teofania di Dio». Di conseguenza, «l’ordine e la disciplina liturgica non sono altro che la custodia di questo dono e di una bellezza intesa come forma, armonia e pace, in un mondo segnato spesso dalla disarmonia e dalla frammentazione». Facendo riferimento all’esortazione apostolica «Sacramentum caritatis», (Benedetto XVI, 22 febbraio 2007), mons. Forte ha condotto a riflettere sul «rapporto tra mistero creduto e celebrato che si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. […] Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell'amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l'amore. […] Gesù Cristo ci mostra come la verità dell'amore sappia trasfigurare anche l'oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. Il memoriale del sacrificio redentore porta in se stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pietro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonianza, quando il Maestro, in cammino verso Gerusalemme, volle trasfigurarsi davanti a loro. La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell'azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l'azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria».
Narrare la verità celebrando
Nelle diverse relazioni del convegno, tante volte sono risuonati i richiami alla consapevolezza, alla verità, alla conoscenza, al ricentrarsi su Cristo per ridare alla liturgia senso, efficacia, sacralità e bellezza. Lo ha evidenziato anche il Presidente della CEI, card. Matteo Zuppi, nella omelia del 29 agosto: «La bellezza della liturgia è la vera partecipazione di tutti, non il protagonismo allargato o penosamente distribuito. Ma una bellezza tutta umana e divina, vicina, personale e comunitaria e tanto più larga perché mistero dell’amore infinito di Dio. In questo tempo tra pandemia e insulso individualismo, spezziamo il pane buono della parola e del corpo di Cristo per esserne testimoni, umani, attesi, credibili, ai tanti che hanno nostalgia di Dio e non trovano parole e luoghi per farne esperienza». In merito a questa realtà diffusa, don Vito Mignozzi, ha messo in evidenza che «la conoscenza del mistero di Cristo, questione decisiva per la nostra vita, non consiste in una assimilazione mentale di una idea, ma in un reale coinvolgimento esistenziale con la sua persona. In tal senso la liturgia non riguarda la “conoscenza” e il suo scopo non è primariamente pedagogico ma è la lode, il rendimento di grazie per la Pasqua del Figlio la cui forza di salvezza raggiunge la nostra vita. La celebrazione riguarda la realtà del nostro essere docili all’azione dello Spirito che in essa opera, finché non sia formato Cristo in noi. La pienezza della nostra formazione è la conformazione a Cristo» (cf. DD 41). Don Mignozzi ha concluso la sua riflessione invitando a una seria verifica del celebrare personale e comunitario; si è collegato alle parole di Romano Guardini, inserite in DD 50: «Dobbiamo renderci conto di quanto profondamente siamo ancora radicati nell’individualismo e nel soggettivismo, di quanto siamo disabituati al richiamo delle grandezze e di quanto sia piccola la misura della nostra vita religiosa. Deve risvegliarsi il senso dello stile grande della preghiera, la volontà di coinvolgere anche in essa la nostra esistenza. Ma la via verso queste mete è la disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida; un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e al nostro comportamento religioso».
La disciplina è una delle condizioni per rendere vera l’arte del celebrare. «L’ars celebrandi non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa — a volte selvaggia — creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire» (DD 48).
Analfabetismo simbolico e liturgia muta
È urgente una rieducazione liturgica e una rinnovata capacità di simboli. «Incapaci di simboli si diventa incompetenti anche nella celebrazione», ha affermato don Loris Della Pietra.«La domanda che ci poniamo è, dunque, come tornare ad essere capaci di simboli? Come tornare a saperli leggere per poterli vivere? La lettura simbolica non è un fatto di conoscenza mentale, di acquisizione di concetti ma è esperienza vitale». (DD 45) Per questo, riti e simboli non hanno bisogno di essere «spiegati», pena la perdita del loro valore intrinseco.
«L’uomo moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza. Ciò accade anche con il simbolo del nostro corpo. È simbolo perché intima unione di anima e corpo, visibilità dell’anima spirituale nell’ordine del corporeo e in questo consiste l’unicità umana, la specificità della persona irriducibile a qualsiasi altra forma di essere vivente. La nostra apertura al trascendente, a Dio, è costitutiva: non riconoscerla ci porta inevitabilmente ad una non conoscenza oltre che di Dio, anche di noi stessi. [...] Non si può dare valore al corpo partendo solo dal corpo. Ogni simbolo è nello stesso tempo potente e fragile: se non viene rispettato, se non viene trattato per quello che è, si infrange, perde di forza, diventa insignificante… L’aver perso la capacità di comprendere il valore simbolico del corpo e di ogni creatura, rende il linguaggio simbolico della liturgia quasi inaccessibile all’uomo moderno». (cf. DD 44). Per cui spesso, afferma don Loris, «anche la proclamazione della Parola non è più collegata al corpo che dovrebbe ascoltare la voce di chi la proclama. Si fanno veglie senza vegliare. Si fanno esperienze liturgiche che non attivano nessuna relazione con Dio». A queste constatazioni si collega quanto affermato da mons. Piero Marini: «prima si crede alla presenza di Dio, poi si crede alla Parola proclamata. Solo così si è consapevoli che il Libro sull’altare indica che il popolo di Dio si nutre della Parola».
Quando questa consapevolezza manca, «si vivono liturgie mute», ha aggiunto Rosanna Virgili (Istituto Teologico Marchigiano); «per questo dobbiamo chiederci: rispetto a cosa oggi siamo preoccupati: delle chiese vuote o dell’inefficacia delle liturgie? Cosa ci interessa di più: la chiesa piena o la vita della gente rinnovata, trasformata, riscattata, salvata?». E mettendo in relazione storia della salvezza e liturgia, attraverso un ricco e appassionato excursus storico-biblico, la Virgili ha mostrato quante volte «la liturgia è stata infranta: quando la bellezza è diventata “maschera” a causa della mancanza di verità; o quando una bellezza superficiale ha preteso di dissimulare la verità del comportamento etico. Gesù spoglia la liturgia di una “bellezza” finta per celebrare una liturgia sacramentale: lì dove la sete di una donna si unisce alla sete del Figlio di Dio, sgorga una fonte d’acqua zampillante di verità e di Spirito; là dove l’ansia del potere rende impossibile la fraternità e la comunione, Gesù consegna se stesso nel pane e nel vino dell’Ultima Cena».
Anche p. Enzo Fortunato, saggista e giornalista, esaminando la liturgia nell’attuale «cambiamento d’epoca», ha messo in risalto come tante nostre liturgie siano «povere di tutto, di bellezza, di arte, di armonia. Sono piene di parole che non corrispondono alla consapevolezza di chi siamo. Il nostro cuore desidera l’infinito, eppure lo riempiamo di tanta zavorra». Orientando la sua riflessione su tre orizzonti, – uno color oro, simbolo della bellezza, uno color rosso, simbolo della fede, e uno color bianco, simbolo del sogno, – ha aggiunto che «le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale devono cambiare (cf. EG 27) per ritrovare quel centro da cui partire e a cui ritornare, fonte e culmine per diventare uomini e donne di gioia liturgica ed eucaristica».
Incarnazione,
via per la comunione
Mons. Vittorio Viola, con semplicità francescana e cuore traboccante di passione per Dio e per l’uomo vivente, ha presentato in modo affascinante la liturgia come scuola per il nostro animo, via aperta all’incontro appassionato tra il divino e l’umano, condizione indispensabile per una più piena consapevolezza dell’incarnazione. «La liturgia è fatta di cose che sono esattamente l’opposto di astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, profumo, fuoco, cenere, pietra, stoffa, colori, corpo, parole, suoni, silenzi, gesti, spazio, movimento, azione, ordine, tempo, luce. Tutta la creazione è manifestazione dell’amore di Dio: da quando lo stesso amore si è manifestato in pienezza nella croce di Gesù tutta la creazione ne è attratta. È tutto il creato che viene assunto per essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo incarnato, crocifisso, morto, risorto, asceso al Padre. Così come canta la preghiera sull’acqua per il fonte battesimale, ma anche quella sull’olio per il sacro crisma e le parole della presentazione del pane e del vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo» (cf. DD 42). «Qui sta tutta la potente bellezza della liturgia. Se la Risurrezione fosse per noi un concetto, un’idea, un pensiero; se il Risorto fosse per noi il ricordo del ricordo di altri, per quanto autorevoli come gli Apostoli, se non venisse data anche a noi la possibilità di un incontro vero con Lui, sarebbe come dichiarare esaurita la novità del Verbo fatto carne. Invece, l’incarnazione, oltre ad essere l’unico evento nuovo che la storia conosca, è anche il metodo che la Santissima Trinità ha scelto per aprire a noi la via della comunione (cf. DD 44). La fede cristiana o è incontro con Lui vivo o non è».
«Desidero la concretezza dell’ultima cena! Non so che farmene di un ricordo!» ha quasi implorato, invocato, mons. Viola. La liturgia ci garantisce questa concretezza. «A noi non serve un vago ricordo dell’ultima Cena: noi abbiamo bisogno di essere presenti a quella Cena, di poter ascoltare la sua voce, mangiare il suo Corpo e bere il suo Sangue: abbiamo bisogno di Lui! Nell’Eucaristia e in tutti i sacramenti ci viene garantita la possibilità di incontrare il Signore Gesù e di essere raggiunti dalla potenza della sua Pasqua». (cf. DD 10-11) E ha concluso con l’immagine simbolico-parabolica dei discepoli di Emmaus: «il pane spezzato quella sera è stato nutrimento per la loro stanchezza mortale, per il loro disorientamento… Poi due uomini che corrono nella notte, portando il corpo di Cristo con un unico scopo: andare a dire ai fratelli che Lui è vivo. Questo è l’obiettivo della formazione liturgica, dell’urgenza di ricentrare la vita e la vita cristiana: correre nella notte del mondo per dire che Lui è vivo! La liturgia riaccenderà il fuoco dell’amore. Potremo vivere il mistero in tutte le sue implicazioni: teologiche, celebrative, spirituali».
E ritroveremo la bellezza in tutte le sue infinite e sorprendenti sfaccettature. «Lo stupore dell’arte, il mistero e il fascino della musica faranno della liturgia veri momenti di incontro tra l’umano e il divino, sperimentandone la gioia e la forza», ha detto mons. Marco Frisina, compositore e biblista, che ha arricchito la sua riflessione, piena di armonia e di incanto, con alcuni brani selezionati, eseguiti magistralmente dal coro della Cappella musicale della Cattedrale di Genova.
Una particolare sottolineatura della bellezza è stata fatta da Mons. Marco Tasca, arcivescovo metropolita di Genova, che nell'omelia del 30 agosto, ha offerto una riflessione a partire dal tema della Settimana liturgica – «È bello per noi essere qui» – raccontando della recente esperienza vissuta alla GMG di Lisbona. «È stato bello vedere giovani che hanno pregato, discusso, ascoltato e condiviso, calare nel silenzio in adorazione». Soffermandosi poi sul vangelo del giorno (Mt 23,27-32), ha commentato: «Più si è puntigliosi nell'adempiere obbligazioni secondarie meno si è osservanti delle cose principali»; in questo senso è necessario agire cambiando prospettiva e l'invito è far sì che «l'osservanza di ciò che è essenziale liberi l'uomo dalla necessità di curare l'apparenza. Il Signore ci chiede di partecipare alla Sua gloria facendo fiorire la nostra umanità come giustizia, misericordia, verità e bellezza».
ANNA MARIA GELLINI