Cozza Rino
Desiderio di comunità autentiche e feconde
2023/10, p. 16
Quali sono le attese che accrescono il desiderio di comunità? Oggi è evidente che l’attuale modello di comunità, come si presenta nei suoi aspetti visibili di vita vissuta, fatica ad attrarre nuove persone di qualità e generative1. Dunque situazione difficile è la presente, ma nel contempo anche reale opportunità per ripensarsi nel quadro della contemporaneità.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
PERCORSI DI VITA CONSACRATA
Desiderio di comunità
autentiche e feconde
Quali sono le attese che accrescono il desiderio di comunità? Oggi è evidente che l’attuale modello di comunità, come si presenta nei suoi aspetti visibili di vita vissuta, fatica ad attrarre nuove persone di qualità e generative. Dunque situazione difficile è la presente, ma nel contempo anche reale opportunità per ripensarsi nel quadro della contemporaneità.
Le premesse di molti modelli di vita religiosa non sono più supportabili, non solo sotto l’aspetto sociologico ma neppure teologico, per aver via-via richiamato apporti arcaici che oggi costituiscono per l’osservatore una cortina densa che il messaggio cristiano non riesce ad attraversare per far percepire il suo fascino.
Che cosa può ridare a questa forma di vita discepolare l’attrattiva spirituale e umana, di una vocazione radicata nel desiderio di assumere l’attitudine di Gesù guarente, sanante, amante della vita, amico degli sconfitti e degli emarginati?
Una scelta questa che «porterebbe le persone a capire che è proprio Cristo ciò che di più essenziale, bello, grande, attraente, necessario si dà nel cristianesimo».
Apertura a nuove prospettive
Sta venendo meno un dato modello di comunità, ma non la tensione a una nuova prospettiva. L’attuale eredità della vita di comunità consiste oggi in comportamenti omologati, massificati per accumulo e sacralizzati a tal punto da portare a essere ripetizione nel modo più preciso possibile, immutabile di un modello di conoscenze e di vita ereditati dal passato. Da qui l’alto tasso di irriformabilità, da permettere alle attuali forme di continuare ad essere ripetizione del già accaduto. Soprattutto non tengono più gli schemi di concezione collettivistica, cioè quelli in cui a tenere assieme le persone (comunità) è il sistema di pensiero e di tradizioni, di norme, vale a dire l’«apparato», anziché la concretezza dell’agire interpersonale fatto di benevolenza, di solidarietà, di compassione.
E neppure tiene più la teorizzazione della Chiesa – e di conseguenza anche della vita religiosa – indicata dal card. Bellarmino, (XVI sec.), intesa come «società perfetta», intendendo una società esattamente uguale a quella – sono sue parole – «del popolo romano, o del regno di Francia o della repubblica di Venezia» vale a dire a una società gerarchica, piramidale». Evidentemente espressioni molto lontane dai modelli dell’orientamento di vita svelato da Gesù.
Oggi diversamente da allora si è nel tempo – è detto in «Per vino nuovo», – «in cui si è passati dalla centralità del ruolo dell’autorità alla centralità della dinamica della fraternità».
Nuova prospettiva è allora quella di un tipo di vita discepolare quale società fraterna percepita e vissuta come ricerca di quello a cui porta il desiderio di imparare a cogliere i sogni che Gesù aveva, e che fa capire che Dio stesso non è un concetto ma è il cuore dolce, forte e rassicurante della vita, il tutto espresso all’interno di un pluralismo di modelli di comunione che assumano le caratteristiche, la cultura, i valori umani e religiosi del momento che ci è dato di vivere. Tutto ciò richiederà innanzitutto una notevole flessibilità, il cui concetto non rimandi a un prodotto del pensiero debole ma ad una logica che fa parte di un mondo in rapida evoluzione e che sarà un elemento costituente del futuro.
La vita come processo evolutivo
«Ci è dunque richiesta la capacità di andare oltre i modelli ereditati».
Il motivo sta nel fatto che siamo in un’altra epoca mentale che ha anche segnato molti passi avanti in campo antropologico, sociologico, teologico, e nello stesso tempo sta facendoci capire che se non si entra nel processo della vita che è cambiamento, non si arriva a maturità perché nell’identità di ogni realtà vivente è insita l’esigenza di evoluzione. Si tratta però di guardarsi dal pericolo di contrabbandare per modello dell’orientamento di Cristo, quello che non lo è, tentazione nel passato abbondantemente assecondata. Non si entra nel processo della vita senza evolvere. Ogni progetto di avvenire ha significatività se accetta di essere perennemente evolutivo cioè se sa ospitare i nuovi temi della vita facendosi permeabile alle ricchezze della vita.
Tale convinzione papa Francesco l’ha espressa così: «Serve una Chiesa – e dunque anche una vita consacrata – capace di nuova immaginazione e perciò capace di ripensare se stessa all’interno del nuovo contesto culturale», che oggi si propone come stagione di potatura, alleggerimento e fantasia. Indicazione a cui fa eco l’indicazione del documento «Rallegratevi», in questi termini: «è evangelico impegnarsi a destrutturare modelli senza vita per narrare l’umano sognato da Cristo».
Sta però il fatto che nella vita consacrata anche in questi ultimi decenni è mancata la preoccupazione di incubazione di nuovi significati culturali, cosa anche questa attestata dal papa con il dire che in questi tempi si è piuttosto proceduto con il motto gattopardesco del «cambiare tutto per non cambiare niente», esito attribuibile al non saper pensare al nuovo, rimanendo all’interno di quel paradigma che ha portato a conservare immutata la situazione.
Ma oggi uno stile di vita non inculturato non è autentico, per cui non incuriosisce; infatti nessuno oggi ama essere riconosciuto come portatore e custode di un patrimonio di pensiero irretito in un universo culturale, carico di princìpi e sistemi di vita che non hanno la mutevolezza della vita.
Identità della fraternità
Quali elementi esprimono la fraternità? Fanno intravedere la sua identità:
– quell’attenzione a Dio che va di pari passo con l’attenzione all’uomo;
– le relazioni costruite sul paradigma relazionale della famiglia, con «l’accompagnarsi e l’incoraggiarsi mutuamente» (cf.GS, 99);
– lo stile di vita che non abbia nulla da spartire con quella spiritualità che vive sulle macerie dell’umano;
– il far trasparire ciò che è in grado di creare gioia nel vivere e nel donarsi, osando l’amore senza contraccambio;
– le relazioni che «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri» ;
– la comunione declinata assieme a uguaglianza, libertà, gratuità ;
Al contrario non esprimono fraternità:
– un modo di vivere spiazzato rispetto alle trasformazioni della storia;
– il sistema di pensiero e di vita che privilegia l’apparato istituzionale;
– gli appellativi che non odorano di vangelo, come, ad esempio i termini «superiori» e «sudditi», espressioni non più accettabili nella sensibilità di comunione;
il credere che per identificarsi sia necessario separarsi dal mondo;
– «uno stile di gestione è detto in “Per vino nuovo otri nuovi” – in cui all’autonomia economica di alcuni corrisponda la dipendenza di altri».
Esperienza cristiana della libertà evangelica
C’è l’attesa di una vita libera da sovraccarichi che la rendono schiava.
È Cristo stesso a dire che non si devono creare fardelli di leggi e riti (Mt 23,4.23), faticosi da portare, non essendo i carichi religiosi ad avere un valore assoluto, ma le persone. L’evangelista Matteo riporta questo comando di Cristo per confermare che il Maestro non ha voluto fondare una nuova religione, ma umanizzare ogni forma di religiosità, affrancando le persone dai timori da questa generati, riconducendo la legge, liberata da tutta una precettistica complicata, al suo centro, che è «la carità».
Dunque, Cristo, perché noi avessimo una vita meno pesata dall’istituzione, non ha esitato a liberarci da tabù cultuali, sacrali, tradizioni indiscutibili, accumulo di norme e riti, come quelli praticati dagli scribi e farisei. È stato questo uno dei conflitti che Gesù ebbe con il «tempo sacro» (il sabato) e con lo «spazio sacro» (il tempio), per manifestare la libertà sorprendente, e a quel tempo scandalosa, nei confronti della religione ufficiale.
Se questo è uno dei motivi per cui Gesù è venuto, allora il domani ci sarà per quelle forme discepolari capaci di lasciare le vie di quelle epoche che prediligevano sistemi organizzativi caratterizzati da spinte spersonalizzanti, in cui si pensava che l’evangelismo dovesse comportare scelte di vita sacrificali e penitenziali, anziché configurazioni che dessero un volto nuovo e originale alla santità. Perciò la vita di comunità può ritornare ad essere desiderata se sarà vista, come «un bel regalo che possiamo farci per essere felici, e nello stesso tempo ad aiutare gli altri ad esserlo».
La comunità ha da investire su ciò che è al cuore della Buona Notizia.
A modo di sintesi di quanto detto, è utile sottolineare che la bellezza del vivere la vita comunitaria, non è data da ciò che era ideale del mondo antico, come l’ordine statico e leggi immutabili, ma piuttosto dall’essere estensione nel tempo dei gesti di Gesù, affinché ognuno possa essere per gli altri una opportunità di incontro con Dio.
Ne consegue che per rendere possibile il futuro, la vita consacrata ha bisogno di liberare il nucleo centrale dalle sovrastrutture delle quali nel corso dei secoli è andata appesantendosi, per poi decidersi di vivere espressivamente per l’oggi la primitiva esperienza cristiana della libertà evangelica, con quell’impegno ma anche quella leggerezza originaria intravista nelle parole del Maestro: «il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per sabato».
A rendere maggiormente fecondo il riflettere sulla vita comunitaria è il ricordare che nei primi secoli, in risposta all’invito di essere tutti fratelli, la Chiesa è maturata e cresciuta «nelle case», come testimoniano gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline, per cui la connotazione familiare dovrebbe rimanere fondamentale in tutte le forme comunitarie di vita cristiana.
Infine si può certamente condividere quanto scrisse L. Bruni il quale affermò che «nell’ecosistema spirituale del XXI secolo sopravvivranno solo realtà più liquide e meno strutturate, decentrate e meno compatte, che non aggregano le persone tramite le regole e i vincoli giuridici, ma con la forza del messaggio del carisma e dell’esperienza concreta».
RINO COZZA csj