Avolio Giuseppina
L’arte di comunicare con il cuore
2023/10, p. 11
I mezzi di comunicazione, essendo in costante evoluzione, sono anche continui generatori di nuovi luoghi di relazioni da curare, luoghi nei quali le consacrate dell’Ordo virginum si sentono chiamate a entrare con il «cuore», come invita papa Francesco, con tutta la propria persona, storia e fede.

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ORDO VIRGINUM
L’arte di comunicare con il cuore
I mezzi di comunicazione, essendo in costante evoluzione, sono anche continui generatori di nuovi luoghi di relazioni da curare, luoghi nei quali le consacrate dell’Ordo virginum si sentono chiamate a entrare con il «cuore», come invita papa Francesco, con tutta la propria persona, storia e fede.
«L’arte di comunicare con il cuore» è stato il tema dell’Incontro nazionale dell’Ordo virginum svoltosi presso il «Federico II Palace Hotel» di Enna, in Sicilia, dal 24 al 27 agosto. I circa 200 partecipanti – consacrate, donne in formazione o interessate al carisma, vescovi e delegati – accompagnati da esperti della comunicazione, hanno approfondito il tema ispirato al Messaggio del Papa per la 57ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali «Parlare con il cuore. “Secondo verità nella carità” (Ef 4,15)».
Le relazioni
Tra i relatori, don Luigi Maria Epicoco, filosofo e scrittore, docente alla Pontificia Università Lateranense di Roma, nel suo intervento su «Le donne nella Bibbia: una comunicazione ‘altra’», ha spiegato che «la relazione è il modo in cui i cristiani sono chiamati ad abitare il mondo e la comunicazione è l’alfabeto delle relazioni». La nostra fede ci dice che siamo nati per essere in relazione con Dio. E possiamo farlo in due modi: uno interiore e uno esteriore. Don Epicoco, partendo da alcune figure bibliche femminili – Marta e Maria, Maria di Nazaret, Noemi e Rut, la Cananea e Maria Maddalena – ha invitato ad avere prima di tutto a cuore la cura della comunicazione con se stessi. «Se non si è capaci di comunicare con se stessi non si comunica con l’esterno – ha chiarito – ecco perché abbiamo bisogno di continuo discernimento, per capire se la vita spirituale ci mette in contatto con Dio, con il male o ci imprigiona in noi stessi». Chi non è capace di vivere una reale comunicazione interiore, vive male, perché prende possesso della propria vita e genera ansia, paura, divisione, rabbia, invidia, gelosia… tutto ciò che è opposto alla mitezza, bontà, gioia… doni dello Spirito santo e non solo frutto dei nostri sforzi umani. Comunicazione è dunque discernimento ma, ha concluso don Epicoco, anche condivisione, cercando e offrendo affidabilità nella relazione; ostinazione, avendo chiaro cosa chiediamo all’interlocutore; conversione, perché si comunica quando si è disposti a cambiare; presenza, perché ci sono cose che solo i gesti gratuiti possono rendere visibili.
La necessità della cura delle relazioni, con se stessi e con l’altro, è stata sottolineata anche da Cristina Vonzun – consacrata Ordo virginum della diocesi di Lugano, membro della Commissione per la comunicazione della Conferenza dei vescovi svizzeri – intervenuta su «Donne consacrate nell’era della comunicazione digitale». «Gli strumenti di comunicazione – ha evidenziato la relatrice – sono parte di noi, e ci inseriscono in una realtà sempre più collegata ma anche con meno punti di riferimento. In questa realtà siamo chiamati a stare con coscienza critica e responsabile, a imparare a filtrare e decodificare i contenuti e conoscere l’ambiente digitale, a negoziare tra online e offline per essere responsabili del nostro tempo». Infine la Vonzun ha invitato i presenti ad abitare l’online accogliendo «l’immensa sete di storie che ha il mondo. Bisogna, infatti, proporre narrazioni che aiutino a recuperare la capacità di contemplazione della bellezza che è porta privilegiata d’accesso al mistero di Dio».
La tavola rotonda
Tre testimoni hanno raccontato la propria esperienza di impegno attraverso «I linguaggi della cura». Nelle tre testimonianze, comunicare per curare è divenire parte della vita dell’altro, mettendosi nella disponibilità ad accogliere il linguaggio altrui.
Linguaggio che, nel racconto di Cristina Fazzi – dell’Unione medico missionaria italiana, presidente di Twafwane Association – intervenuta in collegamento dallo Zambia, è «linguaggio della malattia», da usare, nel paese in cui opera, spesso in situazioni critiche: «Quando ci si trova davanti a richieste di aiuto, la comunicazione non può che essere dono d’amore, soprattutto nelle situazioni di emergenza – ha raccontato la Fazzi -. È necessario mettersi in ascolto delle vite incontrate, per comprendere le storie di queste vite, evitando il giudizio. Salire su un piedistallo contribuisce invece a rompere ogni possibilità di comunicazione». Come aveva capito anche fratel Biagio Conte che ha usato il «linguaggio della povertà» per curare i poveri, i senza dimora della stazione di Palermo, condividendo il loro quotidiano. A raccontarlo, durante la tavola rotonda, don Pino Vitrano, della Comunità Speranza e Carità di fratel Biagio, ricordando gli inizi della scelta del missionario siciliano, dalla crisi spirituale al ritorno a Palermo, in attesa di capire dove il Signore lo avrebbe mandato. «Ma girando per la sua città, fratel Biagio si accorse del degrado dei quartieri e capì che il Signore lo chiamava a restare lì – ha spiegato Vitrano – tra i poveri di Palermo, iniziando a lottare per loro, anche con lo sciopero della fame, perché si era reso conto che i poveri non interessavano a nessuno». Fratel Biagio Conte è stato, per la società, una pietra di inciampo. «Come don Pino Puglisi», ha aggiunto il professore Gregorio Porcaro, responsabile del Centro di accoglienza Padre Nostro di don Pino Puglisi. Porcaro ha parlato dell’impegno nell’uso del «linguaggio del sorriso» di don Puglisi: «Col sorriso diventava tutt’uno con i suoi ragazzi e con la sua gente – ha evidenziato -. Li incontrava per liberarli dal male che li circondava, mettendoli in condizione di curare i loro talenti. Il suo sorriso lo ha accompagnato fino alla fine e fino alla fine ha amato la sua gente: questo amore aveva messo in crisi i mafiosi perché avevano smesso di essere miti da seguire».
Una comunicazione generativa quella delle «vite ascoltate» durante la tavola rotonda, perché fatta secondo lo stile di Gesù a Emmaus, richiamato dal direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, intervenuto su «Comunicare è narrare: a servizio della Chiesa in uscita di papa Francesco».
Monda ha spiegato che prima da professore e attualmente da direttore del «giornale del Papa», si è reso conto di quanto sia cruciale la dimensione e il taglio narrativo. Chi adotta ancora questo stile è papa Francesco. «Da dieci anni – ha raccontato – in tutti i suoi discorsi emerge un fortissimo taglio narrativo». Bergoglio ha «chiaro nel suo cuore e nella sua testa che raccontare è generare. Avverte l’urgenza di una rinascita della dimensione poetica». Per Monda raccontare una storia significa «riconoscersi in essa» e allo stesso tempo «essere riconoscente di ciò che la vita ha donato».
L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo. «Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo». La conoscenza di Dio si trasmette soprattutto raccontando, di generazione in generazione, come Dio continua a farsi presente. L’uomo è l’unico essere che ha bisogno di raccontarsi, di «rivestirsi» di storie per custodire la propria vita. Le storie di ogni tempo hanno un «telaio» comune: la struttura prevede degli «eroi», anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita.
Per il direttore, nella comunicazione bisogna impegnarsi, come Gesù, ad andare incontro all’umanità, entrando nelle conversazioni degli uomini, essendo loro vicini, come fa e invita a fare il papa. «Lo stile di Gesù è quello del narratore di storie, le parabole, capaci di affascinare e attirare la curiosità, la sete di bellezza, verità e speranza che è nel cuore di ogni uomo. E per essere vicini, ha concluso Monda, citando la poesia di Mary Oliver, Istruzioni per vivere una vita, «dobbiamo imparare, soprattutto noi cristiani, a essere vigilanti, a cogliere l’eccedenza della vita, a stupirci e raccontarla».
I tempi della preghiera
Iniziato con la recita dei vespri e la messa – presieduti da mons. Rosario Gisana, vescovo di Piazza Armerina e da mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta – all’Incontro nazionale sono intervenuti anche mons. Giuseppe Schillaci, vescovo di Nicosia, mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento, mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, mons. Cesare Di Pietro, ausiliare di Messina, mons. Giuseppe Marciante, vescovo di Cefalù. La celebrazione eucaristica conclusiva è stata presieduta da mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. Per conoscere la realtà ecclesiale siciliana è stata preparata una veglia di preghiera incentrata sulla testimonianza di fede di quattro figure significative: sant’Agata vergine e martire, la beata Pina Suriano, il beato don Pino Puglisi e il beato Rosario Livatino.
Prospettive
Nel chiudere i lavori, mons. Paolo Ricciardi, vescovo ausiliare della diocesi di Roma e delegato della Conferenza episcopale italiana per l’Ordo virginum, ha manifestato ai presenti il desiderio di iniziare un discernimento comunitario dell’Ordo virginum: «per capire cosa lo Spirito vi sta dicendo. C’è nel racconto evangelico una presenza femminile radicata. Le donne portano l’annuncio della risurrezione ma i discepoli non credono alle loro parole, e non perché sono parole di donne ma perché era incredibile pensare alla risurrezione. Ecco perché è importante ripartire dalle parole di Emmaus, perché rimandano al cuore della fede di ogni cristiano e al cuore di ogni nostra vocazione. Però quante volte rischiamo di perdere di vista l’essenziale, il kerygma, che è l’annuncio di Gesù morto e risorto. Gesù Cristo non poteva, io penso, affidare questo annuncio della risurrezione se non alle donne, non solo perché più coraggiose ma perché, custodi della vita nascente, lo siete anche della vita eterna. Un aspetto che credo sia anche una delle essenze della verginità consacrata: essere immagini della Chiesa sposa, quindi spose, vergini, madri feconde, custodi della vita e della vita eterna. La Chiesa attende da voi l’annuncio della risurrezione con tanta semplicità, tenerezza e forza».
Il prossimo anno sarà il Piemonte ad accogliere l’Incontro nazionale dell’Ordo virginum, che si terrà a Torino, presso la Casa don Bosco, dal 25 al 28 agosto e verrà dedicato al tema della «cura della diocesanità».
GIUSEPPINA AVOLIO