Luciani Rafael
Corresponsabili per una missione condivisa
2023/10, p. 1
Da una Chiesa che ascolta a una Chiesa che impara da ciò che sente (1° parte)

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Testimoni
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IL POPOLO DI DIO
Corresponsabiliper una missione condivisa
Da una Chiesa che ascolta a una Chiesa che impara da ciò che sente
(1° parte)
Ciò che oggi intendiamo per sinodalità è frutto della grande svolta ecclesiologica promossa dal Concilio Vaticano II con l'incorporazione della categoria di Popolo di Dio che «sottolinea la comune dignità e missione di tutti i battezzati nell'esercizio della multiforme e ordinata ricchezza dei loro carismi, della loro vocazione e dei loro ministeri» (CTI, Sin 6). La sinodalità è l'approfondimento, la maturazione e l'articolazione di questa ecclesiologia «nella prospettiva di un popolo di Dio pellegrino e missionario» (CTI, Sin 10, 49) che esce da se stesso, in uno stato permanente di conversione, per formare un grande «noi ecclesiale» (CTI, Sin 107). Pertanto, «il tema della sinodalità non è il capitolo di un trattato di ecclesiologia, e ancor meno una moda, non è uno slogan o un nuovo termine da usare e strumentalizzare nelle nostre riunioni. La sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile e la sua missione. Perciò parliamo di Chiesa sinodale, evitando di considerarla un titolo tra gli altri o un modo di pensarla prevedendo alternative» (Francesco alla Diocesi di Roma, 18 settembre 2021). Pertanto, «la sinodalità è lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio» (CTI, Sin 6) che si realizza camminando insieme.
Ma cosa significa camminare insieme? Il Documento Preparatorio (DP) del Sinodo sulla Sinodalità lo riferisce alla «vita interna delle Chiese particolari, alle relazioni tra i soggetti che le costituiscono (… anche attraverso gli organi di partecipazione…) e alle comunità in cui si articolano (… le parrocchie)» (DP 28). Visto in questo modo, camminare insieme implica rivedere le nostre identità e relazioni (essere), le dinamiche e i modi in cui ci comunichiamo (operare), e le strutture e le istituzioni (fare) in cui viviamo. È un ri-apprendimento di una nuova cultura ecclesiale che fa possibile questa dimensione costitutiva di tutta la Chiesa.
Situarsi come Popolo di Dio
La categoria Popolo di Dio era stata proposta dal cardinale Suenens, che aveva aggiunto allo schema De Ecclesia un capitolo intitolato De Populo Dei. Il cambiamento sarà incorporato nel textus emendatus collocando il capitolo sul Popolo di Dio (De Populo Dei) prima del capitolo sulla gerarchia. Così, la Lumen gentium collocherà il capitolo sul Popolo di Dio [II] prima di quello sulla Gerarchia [III]. Con la nuova sequenza, i Padri conciliari hanno scelto di riconoscere la radicale uguaglianza di tutti i membri del Popolo di Dio in ragione della loro dignità battesimale e hanno sottolineato il fatto che «la gerarchia ecclesiastica è posta al servizio del Popolo di Dio» (CTI, Sin 54). Così facendo, il Concilio ha scelto di distinguere tra il permanente, che risiede nell'unica vocazione cristiana, e il transitorio o temporaneo, che corrisponde alle funzioni, ai ruoli o ai servizi per svolgere la missione della Chiesa nel mondo. Congar ha sostenuto che «si è realizzato un decentramento orizzontale della comunità e del Popolo di Dio, [nel senso che] il Popolo di Dio è strutturato da una gerarchia il cui carattere funzionale si manifesta nella sua natura di servizio» alla missione evangelizzatrice della Chiesa, piuttosto che alla propria autoconservazione.
Alla luce della sequenza ermeneutica della Lumen gentium possiamo affermare che «tutti siamo corresponsabili della vita e della missione della comunità e tutti siamo chiamati ad agire secondo la legge della mutua solidarietà nel rispetto dei ministeri e dei carismi specifici, in quanto ciascuno riceve la sua energia dall'unico Signore (cf. 1 Cor 15,45)» (CTI, Sin 22). La mens dei testi conciliari poneva la sfida di mettere in pratica una nuova ermeneutica ispirata alla Chiesa come totalità organica di fedeli, nella cui reciproca interazione essi sono costituiti come popolo di Dio. Il cardinale Suenens ha sottolineato questa novità quando ha detto: «se mi chiedessero qual è il seme di vita più ricco di conseguenze pastorali dovuto al Concilio, risponderei senza esitazione: la riscoperta del Popolo di Dio come insieme, come totalità, e di conseguenza la corresponsabilità che ne deriva per ciascuno dei suoi membri».
Alla luce di questa ecclesiologia «il concetto di sinodalità si riferisce alla corresponsabilità e alla partecipazione di tutto il popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa» (CTI, Sin 7). Pertanto, se «una Chiesa sinodale è una Chiesa partecipativa e corresponsabile, [allora è] chiamata ad articolare la partecipazione di tutti, secondo la vocazione di ciascuno» (CTI, Sin 67). Questa articolazione «si basa sul fatto che tutti i fedeli sono abilitati e chiamati a mettere al servizio degli altri i rispettivi doni ricevuti dallo Spirito Santo» (CTI, Sin 67). Questa reciprocità inter fideles non è qualcosa di esterno o ausiliario all'essere e all'operare della Chiesa. La Lumen gentium ci ricorda che «ogni membro è al servizio degli altri membri… [così che] i Pastori e gli altri fedeli sono legati gli uni agli altri da una reciproca necessità» (LG 32). Alla luce di questo quadro ecclesiologico possiamo parlare di una Chiesa sinodale.
Siamo tutti corresponsabili
nella missione condivisa
La nozione di fedelechristifideles offre un'importante chiave di lettura della sinodalità. Si riferisce alla reciproca identità e al carattere co-costitutivo dei soggetti ecclesiali tra di loro, che li rende corresponsabili della vita e della missione di tutta la Chiesa secondo il suo modo et pro sua parte (LG 31). Monsignor De Smedt ha sottolineato durante il Concilio che «nel Popolo di Dio siamo tutti uniti gli uni agli altri, e abbiamo le stesse leggi e gli stessi doveri fondamentali. Tutti partecipiamo al sacerdozio regale del Popolo di Dio. Il Papa è uno dei fedeli: vescovi, sacerdoti, laici, religiosi, siamo tutti fedeli. Parlare di fedeli non solo evidenzia la diversità dei soggetti ecclesiali all'interno del Popolo di Dio, ma anche la loro reciproca interdipendenza per realizzare la propria vocazione». Come ha spiegato il cardinale Suenens, «nel Popolo di Dio, funzioni, compiti, ministeri, stati di vita e carismi sono organicamente uniti in una rete multiforme di legami strutturali e di relazioni vitali (LG 13)» in funzione della missione evangelizzatrice della Chiesa.
Questo è un asse fondamentale per comprendere l'ermeneutica conciliare. Mons. De Smedt ha precisato che «[…] la parola fedele designa tutti coloro che hanno ricevuto la dignità di membri della Chiesa a motivo del battesimo […]. Quando si parla di Popolo di Dio, ci si riferisce alla comunità costituita da tutti i battezzati, cioè da tutti i fedeli». Il Concilio affermerà in seguito che «tutto ciò che è stato detto sul Popolo di Dio si rivolge ugualmente ai laici, ai religiosi e al clero» (LG 30). La categoria di Popolo di Dio implica, quindi, questa dinamica co-costitutiva e vincolante che è alla base di tutta l'ecclesiologia conciliare e che trova la sua radice nella realtà battesimale che ci rende partecipi dei tria munera o funzioni sacerdotali, profetiche e regali di Cristo e, quindi, corresponsabili nella realizzazione della missione della Chiesa. Il battesimo non solo conferisce diritti e doveri personali in relazione alla missione evangelizzatrice (CIC 204 § 1), ma attraverso di esso «la Chiesa (stessa) è chiamata ad attivare in sinergia sinodale i ministeri e i carismi presenti nella sua vita per discernere, in atteggiamento di ascolto della voce dello Spirito, le vie dell'evangelizzazione» (CTI, Sin 48).
Il Decreto Apostolicam Actuositatem offre un'altra informazione per approfondire ulteriormente ciò che questa visione ecclesiale implica in relazione alla sinodalità. Essa afferma che «l’apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a vicenda» (AA 6: mutuo se complent), e non solo si complimentano o aiutano uno all’altro. Da ciò deriva l'invito ai ministri ordinati a non agire o esercitare la loro autorità al di fuori dell'insieme dei fedeli. Siamo tutti soggetti attivi co-costituenti nella e per la missione in modo tale che il modo stesso di essere di ogni fedele si qualifica e si completa camminando insieme agli altri, cioè: inter, cum et pro fideles. Risuonano le parole di Congar quando avverte che «il disegno totale di Dio non si esaurisce nel principio gerarchico, ma presuppone il complemento e la reciprocità di un regime comunitario, la cui pienezza finale dipende da entrambi». Alla luce di ciò, possiamo dire che una lettura dei capitoli III [Gerarchia], IV [Laici] e VI [Vita religiosa] della Lumen gentium, che non abbia come asse ermeneutico il capitolo II [Popolo di Dio], rischia di caratterizzare le diverse identità ecclesiali e le loro molteplici forme di realizzazione della vocazione in modo frammentario, addirittura deficitario e autoreferenziale, senza la necessità di una reciproca completezza (AA 6) nella Chiesa.
In questo contesto, la sinodalità apre e approfondisce un percorso che ci permette di pensare a nuove modalità relazionali e dinamiche comunicative che generano il legame o vincolo corresponsabile necessario per una missione condivisa. Ma come si può raggiungere questo obiettivo? È questo il contributo del testo della Lumen gentium 12, che non solo salva la teologia del sensus fidei, ma anche la sua pratica. Alla luce della nozione di christifideles, la sinodalità offre il quadro ermeneutico più appropriato per attivare il sensus fidei fidelium – di tutti i fedeli – attraverso la pratica delle dinamiche comunicative che ci costituiscono come popolo di Dio. Da questo punto di vista, è in gioco la possibilità di diventare una Chiesa sinodale.
RAFAEL LUCIANI