Abramo: la preghiera di intercessione
2023/1, p. 32
Ancora una volta ci ritroviamo insieme per approfondire la spiritualità della preghiera così da viverla sempre meglio: della preghiera non se ne può fare a meno; essa è
il respiro dell’anima.
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Abramo: la preghiera di intercessione
Ancora una volta ci ritroviamo insieme per approfondire la spiritualità della preghiera così da viverla sempre meglio: della preghiera non se ne può fare a meno; essa è il respiro dell’anima.
Durante l’anno trascorso abbiamo sostato presso alcune scuole di preghiera: quella della Sacra Scrittura, della liturgia, della Presenza eucaristica, di Maria, dei Santi, della storia, della sofferenza e del creato. Adesso entriamo più dettagliatamente nella scuola della Sacra Scrittura andando a lezione da alcuni Oranti rappresentativi della vasta e variegata schiera biblica perché ci aiutino nel nostro cammino di fede che è, prima di tutto, un cammino umano fatto di miseria e grandezza e che non può procedere senza l’aiuto della preghiera. Partiamo dal patriarca Abramo in riferimento alla preghiera di intercessione. Tanti sono gli uomini e le donne del Primo e del Secondo Testamento che hanno fatto della loro preghiera anche una intercessione per gli altri: in lui li racchiudiamo tutti.
È ben noto l’episodio di Genesi 18,20-33: il Signore antropomorficamente rappresentato è in compagnia di Abramo e da un’altura contempla la città di Sodoma i cui abitanti sono estremamente corrotti. «Abramo stava ancora davanti al Signore. Allora gli si avvicinò e gli disse: “Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?”. Rispose il Signore: “Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città». Segue tutto un dialogo incalzante, vivacizzato dalla sintassi semitica del “disse-rispose-riprese”, in una sorta di proporzione ascensionale la quale, man mano che viene ridotto il numero dei giusti a favore della città, fa risaltare la misericordia divina.
Dio parla ad Abramo come ad un amico e con linguaggio umano. Pur nella sua infinita onnipotenza, il Signore predilige la logica dell’incarnazione. Si sceglie degli interlocutori che, spesso, diventano pure intercessori. Il testo biblico sottolinea come Abramo stesse davanti al Signore. Ogni forma di preghiera ci pone davanti a Colui che si riconosce Creatore e Padre, incommensurabile eppure vicino, infinito e nondimeno capace di scendere a patti con la creatura. Il salmo 37 così esorta: «Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui».
La preghiera di intercessione chiede qualcosa in più: non pensare solo a sé ma abbracciare gli altri. Santa Teresa Benedetta della Croce, in una lettera a Fritz Kaufmann, ebbe a definirla come uno «stare davanti a Dio per tutti». Se ogni cristiano è chiamato a intercedere per il prossimo, ancor più coloro che hanno votato la loro esistenza a questo scopo. Così ha scritto papa Francesco al n. 16 della Vultum Dei quaerere rivolgendosi alle contemplative: «Attraverso la preghiera di intercessione, voi avete un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa. Pregate e intercedete per tanti fratelli e sorelle che sono carcerati, migranti, rifugiati e perseguitati, per tante famiglie ferite, per le persone senza lavoro, per i poveri, i malati, per le vittime delle dipendenze […]. Con la vostra preghiera potete guarire le piaghe di tanti fratelli». È l’esperienza che facciamo anche noi come comunità monastica. Una nostra sorella ha battezzato il monastero “banca della preghiera”, tante sono le richieste che ci giungono da molte persone. E noi, pur con la nostra umanissima fragilità, cerchiamo di essere come sentinelle che precorrono l’aurora affidando al Signore tantissime intenzioni, i sogni e i sospiri di un’umanità sofferente che si aggrappa a noi per raggiungere il cuore di Dio. E ancora l’eco delle notizie che arrivano dai giornali e da altri canali di informazione, gli appelli del Santo Padre e le sollecitazioni da parte di uomini e donne di buona volontà: tutto accogliamo e presentiamo, come in una sorta di liturgia offertoriale, perché la nostra preghiera e il nostro lavoro, uniti al sacrificio del Salvatore, possano raggiungere ogni angolo della terra e consolare tanti cuori. Scriveva la giovane ebrea Etty Hillesum, morta come Edith Stein ad Auschwitz: «Si vorrebbe essere un balsamo per tante ferite»!
Tornando al testo biblico, è subito evidente come questo stare di Abramo in favore dei sodomiti diventi addirittura ardimento. Più volte Abramo, che si definisce «polvere e cenere», premette alla richiesta di riduzione la consapevolezza di “osare” fino ad accollarsi l’ira divina. Eppure non desiste in questo gesto solidale che da interessato, poiché a Sodoma abitava il nipote Lot con la sua famiglia, diventa inclusivo di quella umanità bisognosa di redenzione. C’è poi tutta un’arte di persuasione, addirittura di esaltazione ammaliatrice che vuole difendere il prestigio di Dio davanti a tutte le nazioni, volta ad ottenere quanto richiesto. La preghiera di intercessione coinvolge pienamente l’essere della persona che prega, tanto da diventare un vero e proprio gesto oblativo di carità, di amore sino a mettere l’altro prima di sé. L’insistenza è la misura rivelativa di quanto si è preso a cuore chi o ciò per cui si intercede. Il Signore, tuttavia, ci conduce ad una ulteriore maturazione che richiede totale fiducia nel suo agire provvidente. L’episodio che stiamo meditando si conclude con una frase piuttosto sbrigativa: «Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione». Sappiamo come di fatto, non trovandosi a Sodoma neppure dieci giusti, la città e i suoi abitanti, ad eccezione di Lot e delle figlie, non verranno risparmiati dal fuoco. Certamente si tratta di un linguaggio figurato, ma al cuore del testo vi è la consegna del vero volto di Dio che non è quello di un giudice implacabile e inamovibile, ma di un Padre che corre persino il rischio del fallimento pur di salvare e redimere. Quante richieste innalzate con fervore non sono state esaudite! Eppure si gioca qui la nostra fede e il modo in cui siamo capaci di testimoniarla continuando a rimanere davanti a Dio e accanto ai fratelli, aiutandoli non a rassegnarsi ma a riconsegnarsi, certi che quello che Dio opera nelle nostre vite è sempre più di quello che a noi pare giusto. Ecco perché intercedere è chiedere nell’ottica del bene maggiore che solo Dio vede e conosce. Si chiede con la fiducia che Lui può esaudire se è nella sua volontà. Come ha scritto Alessandro Manzoni ne I promessi sposi: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per darne una più certa e più grande».
Non sempre è facile da comprendere, spesso è drammatico e doloroso, addirittura assurdo. Eppure ci si affida confidando nuovamente in Lui: sono questi i veri miracoli, quelli della grazia.
SUOR MARIA CECILIA LA MELA OSBAP