Chiaro Mario
Anelli deboli nel Paese
2023/1, p. 20
Nei mass-media, prima e durante i giorni dell’insediamento del nuovo governo di centrodestra, tutti i partiti hanno cercato di mettere la loro bandierina sulla grave situazione di povertà che continua a crescere nel Paese. In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, il dibattito si è particolarmente inasprito a partire dalla pubblicazione del Report 2022 di Caritas italiana dal titolo “L’anello debole”, che approfondisce i dati prodotti dagli oltre 2.700 centri di ascolto e servizi di contrasto alla povertà ed esclusione sociale diffusi sul territorio nazionale.

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REPORT 2022 DI CARITAS ITALIANA
Anelli deboli nel Paese
Nei mass-media, prima e durante i giorni dell’insediamento del nuovo governo di centrodestra, tutti i partiti hanno cercato di mettere la loro bandierina sulla grave situazione di povertà che continua a crescere nel Paese. In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, il dibattito si è particolarmente inasprito a partire dalla pubblicazione del Report 2022 di Caritas italiana dal titolo “L’anello debole”, che approfondisce i dati prodotti dagli oltre 2.700 centri di ascolto e servizi di contrasto alla povertà ed esclusione sociale diffusi sul territorio nazionale.
Dalla ricerca emerge che non esiste una sola povertà: ce ne sono tante, acuite dagli effetti della pandemia e dalle ripercussioni della guerra in Ucraina. Nel 2021 i poveri assoluti sono stati circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini; il 10% delle famiglie in povertà assoluta si trova nel Mezzogiorno; oltre 32% l’incidenza della povertà assoluta tra i cittadini stranieri residenti (dati Istat). Tra gli “anelli deboli” troviamo i giovani, colpiti da gravi forme di povertà: povertà ereditaria, che si trasmette “di padre in figlio” (oggi occorrono cinque generazioni affinché chi nasce in una famiglia povera possa raggiungere un livello medio di reddito); povertà educativa, per cui solo l’8% dei giovani, con genitori senza titolo superiore, riesce a ottenere un diploma universitario. “Leggere la realtà con gli occhi dei poveri, è un contesto molto complesso che ci chiama ad alzare lo sguardo per nutrire speranza e per dare speranza, una speranza creativa” (Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana). “Credo – ha osservato don Pagniello – che i dati che abbiamo presentato indicano una via, un percorso da fare. C’è una povertà culturale del nostro paese, facciamo fatica a imparare dalle nostre esperienze, a mettere a sistema quello che la vita ci insegna, quello che, per esempio, la pandemia ci ha insegnato, quello che i giovani continuamente ci chiedono”.
La persistenza all’interno di un sistema sociale di una serie ininterrotta di “anelli deboli” determina nel tempo una diffusa e crescente paura di diventare poveri. Questo sentimento non ha contagiato solo coloro che sono stati colpiti dal Covid-19 in prima persona o coloro che hanno registrato delle conseguenze in termini economici. Siamo di fronte piuttosto a un diffuso atteggiamento di insicurezza e preoccupazione che nel tempo rischia di produrre immobilismo sociale, conformismo, incapacità di progettarsi e ricollocarsi. Uno studio sui giovani europei in situazione di difficoltà, condotto da Caritas Europa e Don Bosco International, dimostra l’impatto negativo della pandemia nell’orientare le scelte del proprio futuro scolastico e lavorativo.
I lavoratori poveri nei Centri di ascolto
Nel 2021 quasi 2.800 Centri di ascolto Caritas hanno effettuato oltre 1,5 milioni di interventi, per quasi 15 milioni di euro, con un aumento del 7,7% delle persone bisognose rispetto al 2020. I dati raccolti nel 2022 confermano questa tendenza. Non si tratta sempre di nuovi poveri, ma anche di persone che oscillano tra il dentro e fuori dallo stato di bisogno. Il 23,6% sono lavoratori poveri. Il 29,4% degli stranieri è un lavoratore povero: cresce l’incidenza delle persone straniere che si attesta al 55% (con punte che arrivano ben oltre il 60% nelle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est), mentre nel Sud e nelle Isole prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana (tra il 68,3% e il 74,2% dell’utenza). L’età media dei beneficiari si attesta intorno ai 46 anni. Si rafforza la correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione: cresce il peso di chi possiede la licenza media (circa il 70%); si contano anche persone analfabete o con sola licenza elementare. Strettamente correlato al livello di istruzione è il dato sulla condizione professionale: a seguito della pandemia, nel 2021 cresce l’incidenza dei disoccupati o inoccupati (dal 41% al 47%); si contrae la quota degli occupati che scende dal 25% al 24% circa. Aumenta il peso delle povertà multidimensionali per il 54,5% dei beneficiari. In tal senso prevalgono le difficoltà legate a uno stato di fragilità economica, i bisogni occupazionali e abitativi; seguono i problemi familiari (separazioni, divorzi, conflittualità), le difficoltà legate allo stato di salute o ai processi migratori.
La povertà intergenerazionale
Di tutta evidenza è il blocco dell’ascensore sociale: «In Italia il raggio della mobilità ascendente risulta assai corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano invece scarse possibilità di accedere ai livelli superiori (da qui le espressioni “dei pavimenti e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”)». Con questa consapevolezza, Caritas Italiana ha condotto il primo studio nazionale su un campione rappresentativo di beneficiari, per quantificare le situazioni di povertà ereditaria. Emergono casi di povertà intergenerazionale che pesano per il 59%. Il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità, è di fatto molto alto. Il nesso tra condizione di vita degli assistiti e condizioni di partenza si mostra in vari fronti. Sul fronte del lavoro emergono elementi di netta continuità: oltre il 70% dei padri risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece molto elevata l’incidenza delle casalinghe (quasi il 64%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Il raffronto tra le generazioni mostra che circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e che circa il 43% ha invece sperimentato una mobilità discendente. Più di un terzo ha vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica non trova sempre una corrispondenza in termini di impiego (data l’alta incidenza di disoccupati) o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo.
Interessante a questo proposito la ricerca qualitativa svoltasi in 6 diocesi: si è data voce alle persone provenienti da contesti familiari in cui la povertà è stata trasmessa per almeno tre generazioni. «Emerge un quadro in cui ai fattori fondamentali che determinano la trasmissione della povertà (educativa, lavorativa ed economica), si aggiungono la dimensione psicologica (bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza di speranza e progettualità, stile di vita ‘familiare’), conseguenza di un vissuto lungamente esposto alla povertà e una più ampia dimensione socio-culturale (territorialità, contesto familiare, individualismo, sfiducia nelle istituzioni e nella comunità, povertà culturale), che coinvolge tutta la società ma si amplifica nelle fasce di popolazione in situazione di disagio. Ne deriva la necessità di interventi e presa in carico che vadano oltre gli indispensabili aiuti materiali che, nel caso delle povertà multigenerazionali, non appaiono sempre risolutivi. I due elementi chiave nelle storie con esito positivo sono la cura della relazione di fiducia con accompagnamenti prolungati nel tempo e l’inserimento attivo nelle comunità, costruendo reti di sostegno e di reciprocità, sensibilizzando e attivando le comunità verso la prossimità».
Il monitoraggio del Reddito di Cittadinanza
Il Rapporto Caritas si conclude evidenziando priorità e politiche per il contrasto alla povertà, con una riflessione in tre direzioni: come realizzare buone politiche contro la povertà assoluta; quali interventi pubblici sono adeguati al fine di fronteggiare l’alto rischio di povertà ed esclusione sociale; quale ruolo la rete delle Caritas può svolgere in uno scenario di politiche pubbliche profondamente mutato negli ultimi anni, in cui lo Stato assume un rinnovato ruolo di centralità.
«La misura di contrasto alla povertà esistente nel nostro paese, il Reddito di cittadinanza (RdC), è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%). Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale. Ma al momento una serie di vincoli amministrativi e di gestione ostacolano tale aspetto».
In un precedente studio la Caritas ha già prodotto uno specifico monitoraggio plurale del Reddito di Cittadinanza, da cui nascono le prospettive per rilanciare questo strumento di contrasto alla povertà. Il RdC è un’opportunità che va accompagnata a livello locale, prevedendo un ingaggio robusto degli attori territoriali, che si devono sentire responsabilizzati rispetto alla realizzazione dei percorsi di inclusione per le persone. Il RdC, in quanto misura di contrasto alla povertà, è uno strumento di promozione umana che può liberare dal peso della privazione economica e della mancanza di opportunità. Ma ad oggi, la strada è ancora lunga per poter garantire a coloro che ricevono questa misura di guadagnare la piena autonomia e reinserirsi completamente dal punto di vista sociale e nel mercato del lavoro. Occorre passare dalla logica dei bisogni a quella dei diritti. Adottando questa prospettiva si colgono gli aspetti del RdC su cui è urgente e necessario intervenire per “riordinare” adeguatamente la misura, per esempio l’accompagnamento e la presenza di tutor nei percorsi di inclusione per garantirne l’efficacia e per superare forma di opportunismo. Il vero tema riguarda l’impegno nella promozione di una rinnovata coscienza civica. Sul fronte del contrasto alla povertà oggi più che mai, dopo la pandemia, un sostegno alle persone in povertà è necessario ed è un bene prezioso che va mantenuto e migliorato, avendo a cuore soprattutto le condizioni dei più “fragili”.
Particolare attenzione va data ai nuovi progetti e programmi in partenza, finanziati dal Pnrr, tra cui emerge il programma “Garanzia Occupabilità Lavoratori” (Gol), pensato per rafforzare i percorsi di occupabilità di disoccupati, lavoratori poveri o fragili/vulnerabili (per esempio, i Neet=giovani che non studiano e non lavorano; le persone mature), beneficiari di RdC e di ammortizzatori sociali in costanza o assenza di rapporti di lavoro. Si tratta di 3 milioni di persone da formare o riqualificare entro il 2025, di cui il 75% saranno donne, disoccupati di lunga durata, giovani under 30, over 55.
MARIO CHIARO