Il tempo delle verifiche
2022/9, p. 13
Negli ultimi mesi sono oltre una decina gli interventi che singoli vescovi o dicasteri romani hanno avviato per correggere, alimentare o censurare diverse nuove fondazioni comunitarie, movimenti ecclesiali e la prelatura Opus Dei. Un segnale importante da avvertire non tanto sul versante del disciplinamento, quanto piuttosto su quello della verifica, a distanza di 60 anni, di uno dei frutti importanti del Vaticano.
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COMUNITÀ, MOVIMENTI, PRELATURA
Il tempo delle verifiche
Negli ultimi mesi sono oltre una decina gli interventi che singoli vescovi o dicasteri romani hanno avviato per correggere, alimentare o censurare diverse nuove fondazioni comunitarie, movimenti ecclesiali e la prelatura Opus Dei. Un segnale importante da avvertire non tanto sul versante del disciplinamento, quanto piuttosto su quello della verifica, a distanza di 60 anni, di uno dei frutti importanti del Vaticano.
Il fenomeno delle nuove fondazioni e dei movimenti ecclesiali è stato particolarmente vivace e lussureggiante nell’immediato post-concilio, ma la sua ricezione nel corpo complessivo del popolo di Dio conosce i normali aggiustamenti di percorsi gravidi di novità, ma anche esposti a errori o incertezze. È indicativo che nelle centinaia di nuove famiglie ecclesiali vi siano una quindicina di fondatori sotto esame e circa 80 istituti “commissariati”. Gli interventi magisteriali si possono raccogliere secondo quattro indirizzi: il carisma, la governance, gli abusi e le censure teologico-liturgiche.
Ogni fondatore o fondatrice ha una propria e originale comprensione del Vangelo o di una parte di esso. Ed è questa radice evangelica e spirituale a dare forma istituzionale e stile di vita a una fondazione. Proprio perché è un patrimonio spirituale non ha la rigidità di una definizione giuridica ed è affidato all’implementazione e rinnovamento delle generazioni successive a quelle del fondatore.
C’è inoltre un criterio essenziale per il riconoscimento di un carisma: «la capacità di una comunità, di un istituto di integrarsi nella vita del popolo santo di Dio per il bene di tutti» (papa Francesco, 11 dicembre 2021).
Sul versante delle governance si può citare la lettera apostolica del 1 novembre 2021 (Authenticum charismatis) che impone ai vescovi di consultare per iscritto il dicastero dei religiosi prima di una nuova fondazione religiosa. Un passo similare è stato compiuto dal dicastero dei laici per il riconoscimento diocesano di associazioni laicali. Di particolare rilievo il decreto generale che il dicastero dei laici ha pubblicato l’11 giugno 2021. Esso prevede una disciplina comune in ordine alla scelta del moderatore o presidente e del suo consiglio: la scelta richiede la partecipazione, diretta o indiretta, di ciascun membro; il mandato è di cinque anni (rinnovabile una sola volta); il fondatore può rimanere più a lungo ma con il permesso del dicastero.
La questione degli abusi è una ferita che attraversa le nuove realtà ecclesiali e che riguarda l’intera Chiesa. Non ci si limita alla denuncia degli abusi sessuali, ma all’insieme di atti indebiti che riguardano il potere interno e l’influsso sulle coscienze. Più rari gli interventi che prendono di mira posizioni teologicamente scorrette o liturgicamente non tollerabili.
Comunione e liberazione
Dopo il commissariamento dei Memores Domini, le dimissioni del presidente Julián Carrón, la nomina pontificia di un presidente ad interim (Davide Prosperi), il prefetto del dicastero dei laici, card. Kevin Farrel, scrive al movimento una severa lettera (10 giugno 2022) per facilitare il passaggio da un “sistema ereditario” del carisma a un modello “collegiale o sinodale” dello stesso. I punti in discussione sembrano tre: una concezione del carisma come proprietà del gruppo originario e dei collaboratori più vicini al fondatore (L. Giussani); l’esposizione politica e civile che ha prodotto nei decenni scorsi una serie di gravi scandali (Formigoni, anzitutto); il pericolo che la nuova dirigenza venga delegittimata a priori (cf. settimananews.it/ministeri-carismi/cielle-deraglia/).
Opus Dei
L’intervento sull’Opus Dei (motu proprio 22 luglio) è giustificato dall’armonizzazione con la costituzione apostolica che regola la curia romana (Praedicate Evangelium, 19 marzo 2022), ma tocca alcuni punti rilevanti della costituzione apostolica Ut sit con cui Giovanni Paolo II ha eretto la prelatura (1982). In particolare: la struttura gerarchica, la qualità episcopale del prelato e i conseguenti statuti. Il motu proprio rende chiaro che la prelatura non appartiene alla struttura gerarchica della Chiesa e non ha un popolo proprio. Essa è una struttura clericale, similmente alle congregazioni e ordini maschili, e non può essere equiparata a una diocesi. La sua autorità si esercita sui circa 2.000 preti che ne fanno parte, ma solo in senso pattizio con i 90.000 laici e laiche che ad essa fanno riferimento. Conseguentemente nessun laico può essere sottratto all’autorità del proprio vescovo diocesano.
Quanto al prelato che sovraintende alla prelatura non sarà più un vescovo. L’attuale prelato, Fernando Ocariz Brana, sosteneva nel 1991: la natura teologica della giurisdizione del prelato «non può che essere una giurisdizione di natura episcopale: non c’è infatti altra possibilità teologica», ma subito dopo il motu proprio ha detto: «L’ordinazione episcopale del prelato non era e non è necessaria per la guida dell’Opus Dei». Conseguentemente cambieranno gli statuti interni. Come ha scritto G. Rocca su queste pagine: «i laici non sono più incorporati nella prelatura, ma hanno un rapporto pattizio che deve essere regolato negli statuti da rivedere dall’Opus Dei, che dovrà sottoporli all’autorità competente per l’approvazione » (il dicastero del clero)
(http://www.settimananews.it/ministeri-carismi/opus-dei-piu-carisma-meno-zucchetti/).
Schönstatt
Il 3 maggio il vescovo di Treviri (Germania), Stephan Ackermann, ha sospeso il processo diocesano di canonizzazione del fondatore del movimento di Schönstatt (Das Werk), p. Joseph Kentenich, in attesa che le accuse nei suoi confronti di abusi sulle suore vengano chiarite fino in fondo. Non è un giudizio finale e tanto meno un giudizio sull’opera, quanto una decisione prudenziale dopo le recenti ricerche storiche nei suoi confronti. L’opera di Schönstatt è una confederazione di una dozzina di varie comunità e associazioni (preti, laici, famiglie). Conta 140.000 membri ed è diffusa in 42 paesi del mondo.
Verbe de Vie
Il 25 giugno, il card. Jozef De Kesel di Bruxelles ha ordinato la chiusura della comunità Verbe de Vie (Verbo di vita), estesa nell’ambito francofono. Il centinaio di partecipanti troverà soluzioni individuali entro il 1 luglio 2023. La drammatica decisione è dovuta a gravi disfunzioni interne che comprendono abusi spirituali, spiritualizzazioni eccessive, mancanza di realismo, abusi di potere, fino al tradimento del segreto della confessione. In generale si è notata la mancata distinzione tra foro interno (la coscienza personale) e foro esterno (i comportamenti).
«Tutti i tentativi fatti per precisare il carisma, costruire una regola di vita stabile, assicurare un governo credibile e garantire a ciascuno rispetto e fiducia, sono falliti» (De Kesel). Fondata nel 1986 la comunità che comprende religiosi/e, famiglie e preti ha visto la fuoriuscita di 230 persone in questi decenni.
Attualmente i membri residenziali sono una quarantina, 27 le suore, 8 i fratelli, oltre a quelli che vivono sospensioni più o meno lunghe.
Guidata per lungo tempo da una coppia discussa, Marie-Josette e George Bonneval (poi trasferitasi in Brasile), aveva un sistema di governo centralizzato, confuso e assoluto. Una prima visita canonica del 2003 aveva già dato le indicazioni da seguire. Senza esito. Una seconda, richiesta nel 2011, si è rivelata inconsistente per la scarsa convinzione dell’allora arcivescovo di Bruxelles, mons. Leonard. Infine, l’attuale (2022), ha dato le indicazioni di chiusura.
Per il vescovo F. Touvet, amministratore apostolico per questi ultimi mesi di chiusura, riconosce «che la Chiesa non è stata sufficientemente vigilante. Si registra da un lato una mancanza dell’istituzione ecclesiale e dall’altro una debolezza di governo nella comunità, incapaci di accogliere le parole di sofferenza diffusa e di interpretare le numerose uscite. La somma delle due debolezze ha dato fiato al sistema». «Certamente vi sono state persone convertite al Vangelo, che hanno incontrato Gesù, che hanno scoperto la lode, l’adorazione e il senso della missione. Tutto questo è formidabile e dobbiamo rendere grazie per l’impegno dei membri del Verbe de Vie per la testimonianza, l’ardore e la capacità di diffusione. Ma purtroppo c’erano anche frutti meno buoni».
Eucharistein
Fondata in Svizzera nel 1996 propone ai suoi membri una vita comunitaria fondata sull’adorazione eucaristica e sull’accoglienza ai giovani in difficoltà. Ha oggi una quarantina di membri. In seguito a una visita canonica del 2021 si sono sollevate domande sul sistema di governo («piramidale, abusivo, infantilizzante») poco rispettoso delle persone e del loro equilibrio psichico. Otto dei membri sono attualmente sotto cura psicologica. Anche in questo caso si lamenta una certa distrazione del vescovo di riferimento mons. Rey di Frejus-Toulon. Il prossimo anno sarà dedicato alla revisione del governo e del sistema di vita. Il noviziato sarà chiuso. Ma si prevede la possibile ripresa fra un anno. «Grazie alla visita canonica abbiamo ora una diagnostica precisa del nostro stato di salute» sottolinea l’attuale moderatore, C. Jacquot.
Totus tuus
Il vescovo di Münster, mons. Felix Genn, ha chiuso nel novembre scorso l’associazione laicale Totus tuus, attiva dal 2004, che conta in Germania 135 membri e che si occupa dei pellegrinaggi a Medjugorje, di corsi per i cresimandi e incontri di preghiera per i giovani. I responsabili dell’associazione si sono rivolti a Roma e il 13 luglio il dicastero per i laici ha confermato la dissoluzione dell’associazione. Le ragioni del provvedimento sono gli abusi spirituali su diversi membri che la direzione non ha saputo riconoscere.
La centralizzazione del governo ha fatto scattare il sospetto davanti ad ogni critica interna e non ha favorito la maturità umana e spirituale. In questo caso non si registrano comportamenti di carattere penale, ma forme di violazione delle coscienze che oggi non sono più tollerabili nella comunità ecclesiale. La revoca del riconoscimento ecclesiale ha anche lo scopo di prevenire ulteriori danni per il futuro.
Fraternità di Gerusalemme e Suore apostoliche di san Giovanni
I due istituti sono impegnati in un coraggioso rinnovamento, ma ambedue risentono dei contraccolpi del sofferto riconoscimento di abusi da parte dei rispettivi fondatori, Pierre-Marie Delfieux (Fraternità di Gerusalemme) e Marie-Dominique Philippe (Suore apostoliche).
La Fraternità, composta oggi da una cinquantina di fratelli e duecento suore, è sollecitata dai fuoriusciti e dalle vittime a riforme più coraggiose e chiare. Non hanno gradito una lettera del priore generale, J.-C. Calmon che, pur riconoscendo la sofferenza, l’ingiustizia e la responsabilità collettiva, non giunge alle conclusioni attese nelle riforme interne.
Il dicastero dei religiosi ha provveduto da maggio scorso ad affiancare il priore e la priora (R. Bulzaga) con due assistenti apostolici per accompagnare il processo di discernimento e di riforma. Sul versante delle Suore apostoliche di san Giovanni (circa 200), una delle quattro fondazioni che fanno capo al fondatore, si avverte la necessità urgente di rivisitare il carisma, le costituzioni interne e il governo. «È un periodo molto duro – ammette la responsabile della formazione, suor Domenica – ma ci sono risorse e le suore sono impazienti di lavorare con quanti saranno nominati da Roma per costruire un rapporto finale secondo la richiesta del capitolo generale».
Mission Thérésienne
Il vescovo di Bayeux-Lisieux, mons. J. Habert, ha decretato la soppressione dell’associazione Mission Thérésienne che dal 1975 organizzava una particolare preghiera per le vocazioni. La sua rete si è allargata dalla Francia, al Belgio, all’Italia e alla Polonia. La decisione sulla chiusura è del 30 maggio scorso. «Ci sono disfunzioni importanti nella vita dell’associazione», ha detto il vescovo. Si parla di problemi di governo e di orientamento pastorale. Non si registrano abusi sessuali quanto piuttosto la scarsa distinzione tra foro interno e esterno. Si lavora per il rinnovamento e il rilancio dell’associazione.
I casi italiani
Quanto è stato registrato si riferisce in prevalenza ai contesti territoriali di lingua francese e tedesca, ma la tendenza alla revisione delle nuove forme di consacrazione di vita è assai più diffusa. Il caso più noto in Italia (a parte Comunione e liberazione già trattata) è la comunità monastica di Bose. Il decreto vaticano che ha allontanato dalla comunità tre fratelli e una sorella, fra cui il fondatore Enzo Bianchi, ha avuto un enorme clamore. Su Settimananews gli articoli in merito sono oltre la decina (l’ultimo: http://www.settimananews.it/vita-consacrata/bose-dal-conflitto-al-futuro/). Ma ci sono anche i casi della soppressione dell’associazione Discepoli dell’Annunciazione (Prato), del Movimento apostolico (Catanzaro), dell’associazione Fraternità di Nazareth (Ragusa), dell’associazione Innamorati di Gesù (Cesena), della Fraternità sacerdotale Familia Christi (Ferrara), ecc. L’esercizio del governo dei vescovi e dei dicasteri è un segno importante di responsabilità, di guida e di sostegno per garantire il cammino del popolo di Dio e per dare futuro alle forze più affidabili e coraggiose nella testimonianza del vangelo oggi.
LORENZO PREZZI