Pellicci Chiara
Pauline Jaricot beata
2022/7, p. 33
Un pilastro della missione universale della Chiesa. La sua intuizione fu non solo di aver coinvolto tutta la Chiesa nella cooperazione missionaria, ma anche di avere sottolineato con forza che l’opera missionaria non trae la sua efficacia dalle risorse umane, ma solo da Dio.

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FONDATRICE DELL’OPERA DELLA PROPAGAZIONE DELLA FEDE
Pauline Jaricot beata
Un pilastro della missione universale della Chiesa. La sua intuizione fu non solo di aver coinvolto tutta la Chiesa nella cooperazione missionaria, ma anche di avere sottolineato con forza che l’opera missionaria non trae la sua efficacia dalle risorse umane, ma solo da Dio.
C’è chi l’ha definita una “missionaria social ante litteram”, per la sua intuizione di mettere in contatto o, meglio, in rete persone dedite alla preghiera con il cuore aperto al mondo. È una donna francese vissuta nell’Ottocento, Pauline Jaricot (1799-1862), beatificata lo scorso 22 maggio nella sua città natale, Lione, durante una partecipatissima celebrazione eucaristica presieduta dal prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, il cardinale Luis Antonio Tagle. Fondatrice dell’Opera della Propagazione della Fede, una delle Pontificie Opere Missionarie, era stata dichiarata venerabile da Giovanni XXIII nel 1963. Adesso ha concluso il suo iter verso la beatificazione, dopo il miracoloso risveglio dal coma di una bambina, Mayline Tran, nel 2020.
Chi è Pauline Jaricot
Ma chi è Pauline Jaricot? Certamente è un pilastro della missione universale della Chiesa, passata alla storia per la sua intuizione che risale a due secoli fa ma è più attuale che mai. Soprattutto in questo periodo storico in cui il sostegno alle missioni senza distinzioni – a tutte, non a questa o a quella in particolare – esige un’universalità ancora più urgente.
L’intuizione di questa donna, laica, nata in una famiglia borghese e profondamente cattolica, non è solo quella di aver coinvolto tutta la Chiesa nella cooperazione missionaria. È anche quella di avere sottolineato con forza che l’opera missionaria non trae la sua efficacia dalle risorse umane, ma solo da Dio. Tema, anche questo, più attuale che mai.
Per tradurre nei fatti la sua intuizione, Pauline, a soli 19 anni, dà vita alla raccolta fondi per le missioni coinvolgendo gli operai della fabbrica di suo padre: crea una vera e propria rete organizzata in “gruppi di dieci”, con una ramificazione di centinaia e poi migliaia di gruppi, in cui i partecipanti si incontrano per pregare e “donare un soldo” per le missioni, creando a loro volta altri gruppi. Ben presto il sistema si diffonde in tutta la Francia e in Europa, per istituzionalizzarsi successivamente nell’Associazione per la Propagazione della Fede (1822).
Diffusa in molte Chiese locali, nel 1922 papa Pio XI, con il motu proprio Romanorum Pontificum, conferisce all’Opera della Propagazione della Fede il carattere “pontificio”: sono passati 60 anni dalla morte di Pauline e 100 dalla fondazione dell’Opera per sua volontà.
Il “Rosario vivente”
Ma la capacità di Pauline di mettere in rete persone unite dalla preghiera si manifesta in una nuova intuizione: per incoraggiare la fede dei suoi contemporanei, nel 1826 inventa il “Rosario Vivente”, ovvero gruppi di persone a cui ogni mese, dopo una celebrazione eucaristica, viene affidato un Mistero del Rosario da pregare per le missioni. Alla morte di Pauline, in Francia si contano centinaia di migliaia di associati del Rosario Vivente, senza contare i membri di Paesi stranieri. L’azione di Pauline a sostegno delle missioni prosegue incessantemente e arriva sino agli orecchi di papa Gregorio XVI che la incoraggia nella sua opera a favore dell’evangelizzazione e della vita di preghiera.
Della biografia di questa donna che ha fatto la storia della missione universale e delle Pontificie Opere Missionarie, sono molti gli episodi che lasciano insegnamenti profondi. Entrando nelle pieghe della sua vita, saltano agli occhi le similitudini con alcuni colossi della fede. Basti pensare alla sua adolescenza, vissuta nella ricchezza e incentrata su mondanità ed eleganza: si converte radicalmente a seguito di una riflessione sulla vanità pronunciata da un sacerdote, durante un’omelia alla quale sta assistendo nella chiesa cittadina di Saint Nizier (luogo dove oggi riposano le sue spoglie).
Da quel momento, Pauline dismette gli abiti sontuosi delle dame ottocentesche e indossa la tuta delle operaie, rinunciando ai propri averi e dedicandosi completamente alla missione. La giovane ripete spesso di non voler entrare in convento, sebbene a 18 anni offra tutta la sua vita a Gesù con il voto segreto di castità e di dedizione totale alla causa dei poveri. Spiega questa scelta sottolineando che il suo monastero è il mondo, inteso come spazio in cui vivere la propria fede cristiana e, in questo senso, anche luogo da evangelizzare e da trasformare.
In seguito la giovane donna francese arriverà addirittura ad aprire una fabbrica in cui impiegare salariati dediti al lavoro e alla preghiera, secondo un nuovo modello di evangelizzazione della classe lavorativa. Nel 1845, infatti, con l’eredità del padre che in quell’anno muore, acquista uno stabilimento a Rustrel, nel dipartimento del Vaucluse, e propone ai lavoratori un alloggio nei dintorni, da abitare con le rispettive famiglie. Assicura anche l’istruzione ai loro figli e si preoccupa che nelle vicinanze ci sia una cappella dove poter pregare.
È interpellata in prima persona dalle difficoltà della classe operaia e risponde dando vita a una “fabbrica cristiana”, uno stabilimento dove ogni uomo si rapporta al lavoro vivendo in comunità con gli altri, eliminando i turni forzati, lo sfruttamento di mano d’opera minorile, riconoscendo la paga ai malati, creando sicurezza nei locali della fabbrica. Tutte regole che oggi sono assodate ma che nell’Ottocento erano una vera e propria rivoluzione sindacale, con logiche che appartengono al welfare moderno. Questa volta, però, il cambiamento non era dettato da rivendicazioni ideologiche ma dai valori fondamentali del Vangelo. Purtroppo nella gestione della fabbrica si affida a persone che poi si riveleranno abili truffatori e presto arriverà il fallimento.
Il tempo della prova
Comincia così per Pauline una vera Via Crucis: sperimenta il disonore della rovina finanziaria e il dolore di essere sommersa dai debiti e impossibilitata a rimborsare i piccoli creditori che le avevano accordato fiducia. Subisce anche il tradimento da parte di coloro che avrebbero potuto aiutarla, ma non lo fanno. Presto comprende che occorre rinunciare a trovare soluzioni umane: deve accettare di affidarsi completamente a Gesù. Nel febbraio 1853 si iscrive all’Ufficio di Carità di Lione e le viene rilasciato un certificato di indigenza che la annovera tra i poveri della città. Ormai è diventata quasi cieca e non esce più dalla sua stanza. Ha perdonato coloro che l’hanno fatta soffrire: non le resta che affidare nelle mani di Dio tutta la sua vita. Muore il 9 gennaio 1862.
Pazza o santa?
La Chiesa, beatificandola, ha dato il suo responso. E la conferma sta anche nelle parole del cardinale Tagle, pronunciate durante la Messa di beatificazione di Pauline: «Ha accettato la perdita di tutte le cose per guadagnare Cristo», finendo in miseria. «Servire Gesù nell’affamato, nell’assetato, nello straniero, nel nudo, nel malato, nel carcerato, porta alla beatitudine eterna. È la pace di Gesù. La pace di Cristo ha donato a Pauline Jaricot serenità, pazienza e coraggio per affrontare difficoltà fisiche, calunnie e umiliazioni», ha ricordato il Prefetto di Propaganda Fide. «La nuova beata – ha concluso – è divenuta amante di Gesù, missionaria della Chiesa, sorella dei poveri e strumento di fraternità universale».
Le Pontificie Opere Missionarie devono molto a questa figura: è la fondatrice dell’Opera che gestisce il Fondo Universale di Solidarietà che – alimentato dalle offerte della Giornata Missionaria Mondiale, nella penultima domenica di ottobre – sostiene ogni anno migliaia di piccole diocesi nelle nazioni più povere, sovvenendo alle loro necessità pastorali e spirituali (come, ad esempio, costruire una cappella, sostenere un convento di suore di clausura, dare vita ad una radio cattolica, contribuire all’istruzione di bambini o alla vita delle famiglie dei catechisti). Ma grazie all’idea di Pauline, è nata anche un’altra delle quattro Opere pontificie: quella dell’Infanzia Missionaria (o Santa Infanzia), fondata nel 1843 da monsignor Charles de Forbin Janson, vescovo di Nancy, che aveva chiesto a Pauline un consiglio in merito a come poter aiutare i bambini bisognosi dell’altra parte del mondo. Fu proprio dall’idea di “un’Ave Maria al giorno e un soldo al mese”, suggeritagli da Pauline, che nacquero i due impegni fondanti l’Opera della Santa Infanzia, organismo ancora oggi al servizio dei ragazzi di tutti i continenti.
La forza esemplare e l’attualità delle intuizioni di Pauline, oltre alla sua recente beatificazione, sono alla base della riscoperta di questa figura, colonna portante dell’evangelizzazione missionaria. Con la sua testimonianza di coraggio e determinazione è riuscita a superare ogni barriera sociale e culturale, guardando sempre alla missione della Chiesa universale che non ha confini geografici, né temporali. Lo dimostrano le migliaia di fedeli presenti alla cerimonia di beatificazione, tra cui i 120 direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie provenienti da ogni continente. Lo dimostra anche la rete mondiale di preghiera e carità da lei fondata a sostegno della Chiesa universale, che continua ad operare da due secoli, ovunque, senza particolarismi, insegnando quella fraternità di cui la missione non può fare a meno.
CHIARA PELLICCI