Un gioiello di altissimo valore musicale e teologico
2022/7, p. 22
L’Ordo Virtutum si presenta come una sacra rappresentazione
in cui il soggetto drammaturgico non è tratto dalla Bibbia o dall’agiografia,
ma fa ricorso all’allegoria per mettere in scena il contrasto tra Vizi e Virtù.
È un’intensa meditazione sul senso profondo del cammino esistenziale dell’uomo.
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L’ORDO VIRTUTUM DI ILDEGARDA DI BINGEN
Un gioiello di altissimo
valore musicale e teologico
L’Ordo Virtutum si presenta come una sacra rappresentazione in cui il soggetto drammaturgico non è tratto dalla Bibbia o dall’agiografia, ma fa ricorso all’allegoria per mettere in scena il contrasto tra Vizi e Virtù. È un’intensa meditazione sul senso profondo del cammino esistenziale dell’uomo.
Ego humilitas, regina virtutum, dico:
Venite ad me, virtutes, et enutriam vos
ad requirendam perditam drachmam
et ad coronandum in perseverantia felicem.
Io umiltà, regina delle virtù, dico:
Venite a me, virtù, ed io vi sosterrò
nella ricerca della dracma perduta
e nel coronare chi è felice in perseveranza.
L’Ordo Virtutum di Ildegarda di Bingen è un gioiello di altissimo valore musicale e teologico che, nella breve misura di 230 versi, – poco più di un’ora di esecuzione –, dispiega un’intensa meditazione sul senso profondo del cammino esistenziale dell’uomo. Composta tra il 1141 e il 1151, quando Ildegarda, nata nel 1098, era una donna ormai matura, l’opera viene considerata come il più antico dramma morale di carattere allegorico a noi pervenuto. Si presenta, infatti, con i tratti del Morality play, una sacra rappresentazione in cui il soggetto drammaturgico non è tratto dalla Bibbia o dall’agiografia, ma fa ricorso all’allegoria per mettere in scena il contrasto tra Vizi e Virtù.
Il testo con notazione musicale dell’Ordo virtutum, contenuto nella parte finale dello Scivias, ci è stato tramandato grazie ad un prezioso manoscritto miniato, il Wiesbaden Codex o Rupertsberger Riesencodex (Codice gigante). In questo ponderoso codice, del peso di circa 15 Kg, sono contenute tutte le opere di Ildegarda, ad eccezione dei testi di carattere medico-naturalistico. Redatto alla fine del XII secolo, subito dopo la morte di Ildegarda, dal suo ultimo segretario Guilberto di Gembloux, il Codice gigante probabilmente era stato realizzato allo scopo di assemblare tutta la documentazione utile per avviare il processo di canonizzazione della badessa, processo che, però, non fu mai portato a compimento. Benché nella sensibilità popolare Ildegarda sia stata considerata santa già in vita, la proclamazione ufficiale si è avuta soltanto dieci anni fa, il 10 maggio 2012, quando Benedetto XVI ha esteso alla Chiesa universale il suo culto, con decreto di canonizzazione equipollente. L’interesse verso la produzione teologica, letteraria e artistica di Ildegarda è andato maturando nel corso della seconda metà del Novecento. La prima edizione critica dell’Ordo Virtutum è stata curata da Peter Dronke, grande studioso della lirica latina medievale, nel 1970; nel 1982 l’Ensemble Sequentia di Barbara Thornton ne ha realizzato la prima registrazione moderna. Negli ultimi anni l’attenzione verso questo gioiello musicale e spirituale è ulteriormente cresciuta, come dimostra la fioritura di studi, pubblicazioni e nuove registrazioni.
Ordo Virtutum
Ordine delle virtù, alla lettera. Ma cos’è Ordo, e cosa sono Virtutes, nella prospettiva ildegardiana?
La parola latina ordo ha in sé la radice or-, presente nel verbo orior (nasco, sorgo; prendo origine) e nel verbo ordior (comincio, inizio; preparo i fili della trama per farne un tessuto): ordine è un movimento che, prendendo le mosse da un’origine, procede seguendo un ordito, cioè una disposizione armonica (ordinata, appunto). Ordine ricomprende in sé sia il modo di procedere (pensiamo ai numerali ordinali, che indicano la posizione nello spazio e nel tempo), sia l’esito di questo procedere (ciò che fa che ogni cosa si trovi al proprio posto, in ordine, appunto). Per metonimia, ordine può diventare l’atto linguistico che, in vista del conseguimento di un dato risultato, dà precise e perentorie indicazioni operative (dare gli ordini, ordine di marcia, in ordine chiuso, in ordine sparso, ordine del giorno); ma anche l’insieme di persone che si trovano collocate all’interno della stessa categoria professionale (Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Ordine dei Farmacisti, Ordine degli Avvocati). Se il titolo dell’opera ildegardiana ci fa pensare, in via immediata, alla parola ordine secondo quest’ultima accezione (Ordo Virtutum semplicemente come “insieme delle virtù”, insieme unitario di realtà che si riconoscono sotto la medesima definizione), grazie allo scavo etimologico possiamo recuperare il senso della parola in prospettiva ologrammatica, aprendoci anche per questa via al significato profondo dell’operazione artistica e teologica di Ildegarda: nell’Ordo Virtutum le Virtù operano insieme, legate fra loro da un vincolo solidale di reciprocità; parlano in modo autorevole e con piena consapevolezza di sé; le loro parole guidano Anima nel suo cammino di ricerca e la introducono a quell’ordine superiore che è pienezza di vita, di armonia e di libertà.
Pensato per le monache del suo monastero
L’Ordo Virtutum sicuramente era stato pensato da Ildegarda per le monache del suo monastero; si è ipotizzato che la sua esecuzione fosse legata o ad un singolo, preciso evento, cioè la solenne consacrazione del monastero di Rupertsberg dopo la sua fondazione, oppure che venisse ad inserirsi nella normale scansione della vita liturgica del convento. Convincente è anche la proposta di leggere l’Ordo virtutum come un testo propedeutico alla liturgia celebrata in occasione del solenne rito della velatio, quando la monaca, Sponsa Christi, dopo essere stata presentata al vescovo riceve l’abito e il velo che indosserà nella nuova vita claustrale. Il dramma liturgico andrebbe perciò a raffigurare, nella vicenda di Anima, il cammino esistenziale della giovane professa che, dopo aver attraversato lotte interiori, turbamenti, scelte e decisioni, giunge infine ad affidare tutta se stessa a Dio, fortificata nel suo cammino dalle Virtutes che l’accompagnano, la sostengono, la guidano. In consonanza con la sensibilità medievale che ricorre all’allegoria per dare visività a concetti astratti, le Virtutes si presentano come figure femminili caratterizzate da bellezza, eleganza e soavità di voce e di canto. A contrastarle, con scherno e animosità, il personaggio maschile del Diabolus, i cui interventi non sono mai proposti in forma musicale ma solo come strepitus, grida scomposte e disarmoniche. Evidente il significato teologico di questa scelta: per Ildegarda il canto, vissuto in prospettiva sacramentale, porta a compimento ciò di cui è simbolo, e l’armonia espressa e realizzata nel canto diventa essa stessa essenza della Presenza divina. Per tale ragione, canto e melodia non sono pensabili sulle labbra del Calunniatore.
Nei testi ildegardiani Virtus è parola che deve essere compresa non in accezione moralistica, ma alla luce del suo legame con Viriditas, il principio verdeggiante attivo nella natura e grazie alla natura, e con Vis, la forza che anima e vivifica macro e microcosmo. Nel prologo dell’opera sono le Virtutes stesse a presentarsi: Verbum Dei clarescit in forma hominis, et ideo fulgemus cum illo, aedificantes membra sui pulchri corporis.
La Parola è luce vivente che risplende in forma hominis: in Ildegarda è forte la consapevolezza dell’importanza del corpo, che non deve essere disprezzato, ma amato e valorizzato, proprio perché in esso – anche in esso –, può sfolgorare la Luce vivente. Ancora qualche anno e a Greccio, durante il Natale del 1223, Francesco d’Assisi avrebbe fatto memoria del Bambino nato a Betlemme inventando il primo presepio – un segno che restituiva concretezza di carne all’umanità di Dio. Mistero dell’Incarnazione. Il corpo non come luogo di peccato, ma come luogo del sublime incontro fra umano e divino. Le Virtutes, nella prospettiva di Ildegarda, sono pienamente partecipi di questo legame: portatrici della luce divina, sono presenze indispensabili nel percorso di realizzazione dell’umano, cioè di quella qualità compiuta dell’umano che trova espressione nei due verbi fulgere e aedificare. Luce, luminosità, e forza attiva e trasformativa. L’umano si costruisce dentro un percorso di rinnovamento di sé, di crescita, di miglioramento. Al cuore dell’Ordo Virtutum si pone la riflessione sulle possibilità di Anima – cioè di ciascuno e di tutti – di affrontare un cammino di trasformazione: per quanto gravati dalle fatiche del vivere e dal peso della nostra stessa spesso problematica individualità, non dobbiamo pensarci come un dato immodificabile, schiacciato in una dimensione asfittica e priva di orizzonte. Anzi, proprio quando siamo travolti dall’incertezza e dalla mancanza di prospettive (Nescio quid faciam aut ubi fugiam – non so che fare o dove fuggire –, canta Anima all’inizio del cammino), ecco che dal coro delle Virtù ci si fa incontro Scientia Dei (Conoscenza di Dio), che ci spinge a rivolgere uno sguardo di consapevolezza alla nostra essenza profonda, al nostro essere creature la cui esistenza è fondata in profunda altitudine sapientiae Dei – nella profonda altezza della sapienza di Dio.
La danza delle virtù
Nel percorso narrativo e musicale dell’opera, dopo Scientia Dei è Humilitas a prendere la parola; rivolgendosi a tutte le altre Virtù, che vengono da lei chiamate dilectissimae filiae, Humilitas esplicita il legame materno e sororale che unisce fra loro le Virtutes e le Virtutes con Anima. Poi, una alla volta, tutte le diciassette Virtù si presentano, qualificandosi con una aggettivazione sobria ed essenziale, ma capace di grande forza evocativa:
Ego caritas, flos amabilis…
Ego lucida obedientia…
Ego fides, speculum vitae…
Ego, contemptus mundi, sum candor vitae…
Ego discretio sum, lux et dispensatrix omnium creaturarum…
Ad Humilitas è affidato lo spazio melodico di più ampio respiro: è lei la vera medicina che assicura aiuto ad Anima nella sua debolezza e l’accoglie e abbraccia per lenirne le ferite; è lei la regina virtutum che ordina a Victoria e alle altre sorelle di legare il Diabolus, così da permettere ad Anima di giungere alla presenza di Dio: Omnes ligate Diabolum hunc (…) Ligate ergo istum, o virtutes praeclarae. Nel presentarsi, Humilitas rivolge a tutte le altre Virtù l’invito a mettersi alla sua scuola per imparare da lei a cercare la dracma perduta. Il rimando è alla seconda delle tre parabole, dette “della misericordia”, presenti nel capitolo 15 di Luca. Incastonati fra la parabola della pecora perduta e la lunga parabola del figlio prodigo, i tre lapidari versetti dedicati alla moneta smarrita ci raccontano il volto femminile di Dio: una donna, dopo aver perduto una delle sue dieci monete, accende la lampada e comincia a spazzare tutta la casa, cercando meticolosamente finché la dracma smarrita non è ritrovata; quindi chiama amiche e vicine per fare festa e condividere la gioia. La casa è il luogo dell’intimità e della familiarità, e la donna di casa è figura di questa familiarità, fatta di conoscenza e di cura. Ma anche dentro la casa qualcosa, qualcuno, si può smarrire. Come sottolinea Lidia Maggi, in questa parabola Dio è paragonato ad una casalinga che non si dà pace finché non ha ritrovato ciò che si è perso dentro la casa, “perché Dio sa che ci si può perdere anche nei luoghi del sacro”. Il dramma di Anima può essere letto, dunque, come il dramma di chi si perde pur essendo dentro; ed Humilitas, regina virtutum, è la prima interlocutrice nel processo di ricomposizione interiore che permette, a chi si è perduto, di ritrovarsi.
Mettetevi alla scuola di Humilitas e di tutte le Virtutes e inginocchiatevi davanti al Padre, ut vobis manum suam porrigat: è questo il messaggio che Ildegarda ci affida nell’epilogo dell’Ordo Virtutum, questa la meditazione che ci invita a far risuonare nelle profondità della nostra anima, dentro la nostra vita. L’opera si chiude su un lunghissimo melisma melodico di trentasette note, articolato sulla prima sillaba del porrigat conclusivo: pura essenza vocale che raffigura, con una meravigliosa immagine musicale, l’accogliente protendersi della mano divina verso la nostra umanità.
ANITA PRATI