Zenere Marco
Umberto Betti nel centenario della nascita
2022/7, p. 16
La circostanza diviene occasione propizia per porre in evidenza il contributo da lui offerto ai lavori della Commissione che aiutò Giovanni Paolo II nell’ultima revisione dello Schema novissimum del Codice di diritto canonico promulgato il 25 gennaio del 1983.

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Testimoni
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FRANCESCANO, CARDINALE, TEOLOGO CANONISTA NEL VATICANO II
Umberto Betti
nel centenario della nascita
La circostanza diviene occasione propizia per porre in evidenza il contributo da lui offerto ai lavori della Commissione che aiutò Giovanni Paolo II nell’ultima revisione dello Schema novissimum del Codice di diritto canonico promulgato il 25 gennaio del 1983.
La celebrazione del centenario della nascita di Umberto Betti (1922-2009), frate minore, creato cardinale da papa Benedetto XVI nel concistoro del 24 novembre 2007, diviene occasione propizia per porre in evidenza il contributo da lui offerto ai lavori della Commissione che aiutò Giovanni Paolo II nell’ultima revisione dello Schema novissimum del Codice di diritto canonico promulgato il 25 gennaio del 1983.
Tale processo costituiva il punto d’arrivo di quanto Giovanni XXIII, il 25 gennaio del 1959, aveva annunciato nella Sala capitolare della Basilica di San Paolo a Roma. La celebrazione di un Sinodo diocesano per la città di Roma e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale, avrebbero condotto all’auspicato ed atteso aggiornamento del Codice. La rinnovata architettura ecclesiologica elaborata dal Vaticano II necessitava, infatti, di essere tradotta in un linguaggio canonistico, al fine di orientare la vita e la missione della Chiesa.
Un apporto di particolare rilievo
L’apporto del frate toscano nell’ambito del processo di revisione di quello che sarebbe divenuto il nuovo codice risulta di particolare rilievo: egli, infatti, in quanto esperto di teologia dogmatica pose le sue competenze a servizio della scienza canonica. La nuova normativa codiciale, in modo specifico nel Libro II riguardante il Popolo di Dio: Fedeli cristiani, Costituzione gerarchica della Chiesa, Istituti di vita consacrata, costituisce il frutto di quanto l’assise ecumenica aveva formulato. La dimensione di Chiesa intesa come popolo santo di Dio pellegrinante nel tempo e nello spazio diviene categoria fondante: dalla rinnovata centralità attribuita al sacramento del battesimo ogni fedele gode di una vera uguaglianza nella dignità e nella comune missione. L’affermazione dell’universale vocazione alla santità (LG 40) diviene l’orizzonte di riferimento entro il quale vivere la propria forma di vita.
Disputa su alcuni aspetti della vita consacrata
Nell’ambito dei lavori di revisione operati dalla commissione, tra le molteplici questioni affrontate, la testimonianza di Betti risulta di indubbio interesse in relazione ad alcuni aspetti sulla vita consacrata. La natura della consacrazione religiosa e l’autore di tale consacrazione, costituivano, infatti, tematiche ampiamente dibattute, sia dagli studiosi di teologia che di diritto canonico.
La rivista Vita Consacrata negli anni 1971-1972, divenne lo scenario che ospitò tale confronto mediante la presentazione della cosiddetta controversia o disputa tra il francescano ligure Andrea Boni (1927-2014) e il gesuita torinese Paolo Molinari (1924-2014). I quattro articoli pubblicati permisero di evidenziare le diverse interpretazioni concernenti il termine «consecratur» utilizzato nella costituzione dogmatica Lumen gentium 44. Boni, ribadiva il concetto tradizionale di consacrazione nella quale il protagonismo del soggetto risulta l’elemento centrale, Molinari, invece, affermava la centralità di Dio nell’ambito del processo consacratorio. Le prospettive interpretative dei due studiosi divengono sintesi contrapposte di quanto già era emerso nel Concilio e nella riflessione successiva. Il canonista francescano pone al centro della sua riflessione la libera risposta del soggetto il quale nella professione religiosa promette di porre a servizio di Dio tutte le proprie facoltà teologali, così da poter raccogliere copiosi frutti del battesimo. La relazione tra Dio ed il soggetto assume i tratti di un patto d’amore: il religioso è in grado di emettere i consigli evangelici nella forma dei voti solamente in forza dell’amore con cui egli si sente amato da Dio che già lo possiede sin dal battesimo. La mediazione esercitata dalla Chiesa, in questa prospettiva, è solamente strumentale (cfr. LG 45). Il teologo torinese, dal canto suo, evidenzia il ruolo di Dio che diventa il soggetto protagonista ed operante la consacrazione religiosa. All’interno della dinamica consacratoria il ruolo centrale è attribuito a Dio che consacra il soggetto.
Domande ancora oggi attuali
Le molteplici argomentazioni che hanno guidato la controversia offrono domande ancora attuali e bisognose di approfondimento in modo particolare dalla riflessione teologica. Risulta interessante annotare, infatti, che anche nei documenti postconciliari le due vie interpretative si intrecciano trovandosi spesso a confronto.
Una possibile prospettiva di lettura per comprendere la mens che ha guidato l’opera del Legislatore nella revisione del CIC viene offerta dalla preziosa testimonianza di Betti. In relazione alla redazione dell’attuale can. 573 §1e del can. 654, egli affermò che ci furono pressioni da parte di alcuni studiosi per esplicitare maggiormente l’azione divina nella consacrazione.
Egli, infatti, afferma: «Io intervengo solo per rispondere che non devono essere toccati i canoni 577 §1 e 654, come avevo già scritto nel ricordato Appunto, in quanto ero, anche allora, a conoscenza delle pressioni perché essi venissero modificati, con particolare riferimento ad una lettera in tale senso inviata al Papa dal Card. A. Ballestrero il 1° gennaio scorso. Ne ripeto la difesa anche a voce, perché sono convinto che dietro quella lettera ci sia il P. Paolo Molinari SI. Egli infatti, e non da ora, ritiene che quei due canoni contengano errori teologici, poiché in essi la consacrazione mediante la professione religiosa non è attribuita a Dio, e perché la professione temporanea è equiparata, quanto alla consacrazione, alla professione perpetua. Io ritengo, al contrario, che essi esprimano l’unica dottrina teologicamente fondata.
Per quanto concerne la relazione tra protagonismo divino e soggettivismo umano egli dichiara:
«Non è Dio che consacra il profitente, ma è il profitente che si consacra a Dio mediante il ministero della Chiesa».
Sulla natura della consacrazione religiosa, egli sostiene: «Non si tratta di una consacrazione «ontologica» che produca un cambiamento reale del soggetto, come avviene in chi riceve i sacramenti del Battesimo o della Confermazione o dell’Ordine, sull’effetto dei quali perciò non ha alcun potere né il Papa né Dio stesso. Si tratta invece di consacrazione «etica», che impegna il profitente ad un nuovo titolo di fedeltà alla comune consacrazione battesimale. Essa non è dunque da considerare come un «secondo Battessimo», poiché i suoi effetti sono reversibili e annullabili, e di fatto possono essere annullati dal Romano Pontefice».
Il fedele e competente servizio prestato da Betti a favore della Chiesa nelle sue varie espressioni fanno di lui un significativo ermeneuta del paradigma teologico maturato dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Tale realtà, infatti, per trovare attuazione nella vita della comunità cristiana necessitava di una corretta traduzione canonica. Gli ambiti di ricerca esplorati dal frate toscano, come ad esempio la collegialità episcopale, il primato petrino, il ruolo del laicato, testimoniano un profondo amore per la Chiesa, sia nella sua struttura gerarchica che carismatica.
Il cardinale Betti, sulla scia di altre eminenti figure, trasmette alle generazioni di ogni tempo la necessità di tenere uniti il dato teologico con quello canonico nella consapevolezza che solo a partire da un corretto approccio interdisciplinare è possibile operare una lettura rispettosa di quanto la compagine ecclesiale sperimenta. La norma codificata, del resto, nasce dall’esperienza concreta della comunità cristiana: deriva da essa e ad essa ritorna.
Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II, alla vigilia dell’entrata in vigore del Codice nel 1983, divengono ancora oggi le coordinate di riferimento per comprendere l’identità e la natura dello strumento legislativo che accompagna e orienta la vita del popolo santo di Dio. Esso, infatti, viene definito: «il Codice del Concilio e, in questo senso, è l’“ultimo documento conciliare”, il che indubbiamente costituirà la sua forza e il suo valore, la sua unità e il suo irraggiamento».
MARCO ZENERE, OFM