Ghitti Maria Cristina
La dimensione contemplativa della vita
2022/7, p. 9
Il Convegno ha messo a confronto uno dei temi più affascinanti che accomuna tutte le religioni, quello della meditazione, per riscoprire insieme i veri tesori spirituali che le varie tradizioni custodiscono perché possano diventare un mezzo per una conoscenza più approfondita, più desiderata e anche amata.

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CONVEGNO IN DIALOGO TRA LE RELIGIONI
La dimensione contemplativa della vita
Il Convegno ha messo a confronto uno dei temi più affascinanti che accomuna tutte le religioni, quello della meditazione, per riscoprire insieme i veri tesori spirituali che le varie tradizioni custodiscono perché possano diventare un mezzo per una conoscenza più approfondita, più desiderata e anche amata.
“Sono venuto come pellegrino, desideroso di raccogliere non informazioni o fatti sulle altre tradizioni, bensì per abbeverarmi alle antiche fonti della concezione e della esperienza. Io non cerco di saperne di più in fatto di religioni e di vita monastica, ma di fare di me un monaco migliore e più illuminato”.
Queste bellissime parole, scritte da uno dei pionieri del Dialogo Interreligioso, il monaco americano Thomas Merton, esprimono mirabilmente le sensazioni e le convinzioni che mi hanno accompagnato partecipando al Convegno “La dimensione contemplativa della vita”, tenutosi a Roma il 7 maggio 2022. Il Convegno, nato dalla collaborazione tra l’UNEDI (Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso), con L’UBI (Unione Buddista Italiana), l’UII (Unione Induista Italiana) e il DIM (Dialogo Interreligioso Monastico), ha desiderato mettere a confronto uno dei temi più affascinanti che accomuna tutte le religioni, quello della meditazione, per riscoprire insieme i veri tesori spirituali che le varie tradizione custodiscono gelosamente, perché possano diventare, un mezzo per una conoscenza più approfondita, più desiderata e anche amata. Siamo, certamente, tutti molto consapevoli, come sia necessario, che ciascuno riconosca con umiltà la grande ignoranza che ciascuna religione ha dell’altra e come sia necessario entrare in un profondo ascolto reciproco, non solo intellettuale, ma possibilmente anche esperienziale, per incontrare il mistero sacro dell’altro.
Tre le tradizioni presenti
I lavori sono stati aperti dal direttore dell’UNEDI e dai saluti del segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, dai presidenti dell’UBI e dell’UII e presentati dal coordinatore del DIM italiano. Tra le numerose presenze, un nutrito gruppo di monaci e monache del DIM, che insieme stanno approfondendo un bellissimo cammino di conoscenza e di amicizia reciproca.
Il percorso si è articolato in tre sessioni, corrispondenti alle tre tradizioni presenti, quella buddista, induista e cristiana.
È stato innanzitutto sottolineato, come sia necessario cercare di entrare nel profondo dell’etica della “Spiritualità del dialogo”, affrontando primariamente quattro imprescindibili punti: “L’uguaglianza dei partner, il radicamento nella propria religione, la capacità di affrontare le differenze cercando l’unità nella diversità e un grande impegno nella ricerca della verità”. Per diventare davvero “esperti di Verità” bisogna saper frequentare il dialogo del silenzio, dell’anima con l’anima, o meglio, di saper entrare “nella grotta del cuore” dell’altro con rispetto, timore e grande umiltà.
È necessario cercare di capire prima di tutto, per poter affrontare il tema, il senso e il significato della parola “Meditazione”, così come è percepita e vissuta in occidente e in oriente, con tutte le sfumature che la caratterizzano e la fanno, in qualche modo “respirare” e rendere quindi viva.
Il dialogo, in fondo, lancia sempre una sfida e dovrebbe provocare, ogni volta, una verifica della propria vita e un conseguente rinnovato e determinato desiderio di un impegno sempre più radicale nella propria tradizione.
Bisogna quindi, avere il coraggio, il desiderio, l’audacia di praticare una vera “ospitalità narrativa” per favorire, senza sincretismi, una fecondazione reciproca.
Alcuni degli interventi sono stati molto analitici, rispetto ad alcune delle pratiche, come ad esempio quelle in uso presso i buddisti e gli induisti, all’interno delle quali sono previsti passaggi ben definiti volti a raggiungere una piena concentrazione e un controllo della mente con spendita di energie fisiche e spirituali.
“La contemplazione non è semplicemente una unificazione, ma una attività passiva”, così si esprimeva il Maestro Dogen Zenji (1200-1253) fondatore dello Zen Soto.
Così, anche il monaco Jampa Gelek dell’Istituto Lama Tzong Kapa di Pomaia ha sottolineato come nella meditazione buddista Vajrayana:
“sia necessario sradicare l’ignoranza e sviluppare la saggezza passando attraverso innumerevoli “stadi” per arrivare a sviluppare la visione superiore e raggiungere in ultimo “lo stato di Buddha”.
Certamente questi sono concetti che solo chi “li pratica” può, credo, comprendere ma fanno intuire le profondità, come si diceva, “dei tesori che abitano l’animo dell’altro”, del pellegrino in ricerca della Verità.
Nella terza parte è stato infine affrontato il tema riguardante la tradizione cristiana, secondo le prospettive biblica, monastica e storica.
Molto bello l’intervento di Dom Benoit Standaert OSB belga, biblista, specialista del Vangelo di Marco e dei Salmi.
Ha sottolineato con molta forza come: “Tutta la Bibbia sia materia di meditazione, insistendo sul concetto dello “zakkar”, della necessità di “ricordare” il passato, le meraviglie operate dal Signore in tutta la storia salvifica e come i salmi giochino spesso un ruolo essenziale e spesso sintetico in questo ambito.
Inoltre ha sottolineato la necessità di coltivare il silenzio, specialmente quello interiore per poter accogliere la voce penetrante del Signore e stabilire così un contatto anche sanante con Lui. Ha ricordato come ci sia di esempio in tutto questo la Vergine Maria, che anche senza capire è stata però capace di accogliere nel suo cuore parole ed eventi forti, diventando per tutti i lettori del Vangelo un modello.
Un’ampia panoramica sulla prospettiva più monastica ha visto al centro del discorso, un confronto con la Regola di S. Benedetto, sottolineando come, a partire dalla Scrittura, la meditazione si espande per coltivare una sempre più profonda consapevolezza della presenza divina, attraverso un’assidua presenza a se stessi. La meditazione diventa quindi un mezzo che educa a mantenersi nel momento presente, una vera disciplina per non lasciarsi monopolizzare dai pensieri relativi al passato e al futuro, aiutando a coltivare l’abbandono”.
Non è mancata un’ampia panoramica sulla storia della spiritualità da Ugo di San Vittore (1125) fino alle scuole ignaziana e di Santa Teresa d’Avila.
Erano presenti in sala anche due monache del monastero Matha Gitananda Ashram di Altare, una delle quali Atmanandha, ha eseguito una bellissima danza, come segno visibile di come il corpo, nella loro tradizione partecipi alla preghiera. Il loro fondatore e guida spirituale Yogananda Ghiri, collegandosi direttamente dal monastero, ha affrontato il tema secondo le scuole monastiche indù. Ha specificato come queste ultime offrano una incalcolabile pluralità di vie per realizzare lo stato di meditazione, volte tutte alla meta ultima, cioè all’evoluzione dell’Essere. Per arrivare a questo il cammino verso la meditazione necessita di una vera propedeutica e di autentici maestri (questo mi è sembrato molto importante, pensando al fai da te molto praticato oggi!) per educare il corpo sia con un intenso lavoro fisico, mentale, psichico ed emozionale, solo così si può approdare ad una vera esperienza.
L’ultimo intervento della religiosa Maria de Giorgi, missionaria da 40 anni in Giappone, ha mirabilmente chiuso e riepilogato tutto il Convegno:
“Il tema della contemplazione/meditazione, come attestano i diversi interventi del convegno, più di ogni altro ci rimanda al “cuore” delle rispettive tradizioni religiose, là dove viene sfiorato il mistero, indicibile e imperscrutabile, che tutti ci avvolge e contiene (cf. Nostra Aetate 2). Le molteplici esperienze meditative e contemplative possono portare a diverse percezioni e interpretazioni del mistero stesso. Se da una parte queste differenze testimoniano l’inesauribile multiformità del mistero, dall’altra esigono un serio discernimento”.
I documenti in ambito cattolico
In ambito cattolico abbiamo documenti, uno più teologico-dottrinale, l’altro più esperienziale che, integrandosi a vicenda, possono aiutare la riflessione.
Questo “intervento conclusivo” analizza in proposito (1) la lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, emanata dalla Congregazione della dottrina della fede nel 1989; (2) il Documento Contemplazione e dialogo interreligioso, Riferimenti e prospettive attinte dall’esperienza dei monaci, elaborato dal DIM nel 1993.
Questi documenti sembrano indicare la “via” da seguire. Di una “via” si tratta, ossia di un “cammino”. Il cammino suppone un punto di partenza e tende ad una meta. Veicola una storia, un’esperienza in cui si radica e di cui è proseguimento sempre nuovo. In questo senso “la relazione conclusiva” auspica, come “passo in avanti”, come una nuova tappa di questo cammino, una nuova inchiesta da parte della Commissione per il Dialogo Interreligioso (DIM), che a trent’anni ormai dalla precedente, possa aiutare a valutare il progresso e la direzione del cammino in corso”.
Un forte appello è stato fatto al termine della giornata da Don Giuliano Savina, Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso (UNEDI) perché si trovino iniziative per portare avanti questo cammino sui territori regionali.
Più volte è stata richiamata la metafora del proverbio cinese “Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito”, e la necessità di sentirsi tutti chiamati a indicare con forza la “luna”, per essere davvero uno strumento che mostri la Verità, la luce in questo mondo così tenebroso. Certamente, grande è la responsabilità di noi cristiani che abbiamo ricevuto il dono dei doni, la fede in Gesù Cristo il Figlio di Dio, ed è proprio questo filo d’oro, questa luce che deve illuminare e unire gli innumerevoli colori e tessere come una trama luminosa l’arazzo dell’umanità.
Termino con una frase ancora di Thomas Merton, pronunciata poche ore prima della morte, nella sua ultima conferenza al Convegno interreligioso di Bangkok nel 1968:
“Il nostro vero viaggio è un viaggio interiore, è un impegno di crescita, di approfondimento e un abbandonarci sempre più all’azione creativa dell’amore e della grazia nei nostri cuori. Mai come oggi è stato necessario rispondere a questa azione. Io prego perché tutti noi possiamo farlo. Dio vi benedica”.
MARIA CRISTINA GHITTI