Kivelev Maksim
La tradizione monastica in Oriente e in Occidente
2022/6, p. 41
Quanto il monachesimo orientale illumina quello occidentale e quanto l’occidentale può suggerire al monachesimo orientale.

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Testimoni
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DUE ESPERIENZE A CONFRONTO
La tradizione monastica
in Oriente e in Occidente
Quanto il monachesimo orientale illumina quello occidentale e quanto l’occidentale può suggerire al monachesimo orientale.
Introduzione
Cosa ci viene in mente quando parliamo del monachesimo nell’Occidente e nell’Oriente? Ci ricordiamo i bellissimi monasteri medievali che decorano le antiche città e borghi in tutta l’Europa, i santi monaci e le monache come san Benedetto da Norcia e santa Scolastica, san Francesco d’Assisi e santa Chiara, santa Teresa d’Avila, ecc. Non dimentichiamo i grandi padri del deserto del Medioriente come sant’Antonio Abate, sant’Efrem di Siria, san Giovanni Damasceno, e anche gli starcy russi dei freddi boschi nordici come San Sergio di Radonež e san Serafino di Sarov. Da ricordare anche il ricco patrimonio intellettuale e culturale che i monaci hanno portato per il mondo, il loro contributo per la missione cristiana e per l’elaborazione delle basi della cultura europea.
Però il monachesimo, che lasciò un segno profondo nella storia e nella cultura dell’umanità, oggi sembra diventare una «riserva del cristianesimo medievale». Come ha affermato il grande scrittore francese Victor Hugo, «Dal punto di vista della storia, della ragione e della verità, il monachismo è condannato. […] Il regime monacale, buono agli inizi della civiltà e utile per ridurre la brutalità per mezzo della spiritualità, è nocivo alla virilità dei popoli». Da un primo sguardo sembra che lo scrittore francese abbia ragione. Dopo l’epoca medievale il monachesimo è stato messo alle periferie della vita della società. Oltre a questo, alcuni movimenti cristiani di carattere protestante hanno praticamente eliminato il monachesimo dal loro ambiente. Anche nelle Chiese più tradizionali, come quella cattolica e ortodossa, il movimento monastico sembra che stia vivendo una crisi.
Allora, per affrontare l’argomento del monachesimo nell’Oriente e nell’Occidente, proviamo a capire se il monachesimo, che una volta ha avuto un ruolo importante nella storia dell’umanità (lo possiamo dire senza esagerare), ha ancora qualcosa da dire alla società odierna o almeno potrebbe essere considerato come un punto di riferimento per i cristiani di oggi. O ancora: il monachesimo, essendo la tradizione comune sia per il cristianesimo cattolico d’occidente che per quello ortodosso d’oriente, potrebbe portare qualche contributo al dialogo tra queste due parti del mondo cristiano spiacevolmente separate? Proviamo a rispondere a queste domande prendendo in esame la tradizione monastica, la sua storia e il suo stato attuale.
Il monachesimo: definizione e coordinate storico-geografiche
Prima di parlare del monachesimo nell’Oriente e nell’Occidente proviamo a capire: cos’è il monachesimo? Chi è un monaco? Quali sono le sue caratteristiche particolari che lo distinguono dagli altri cristiani?
La parola «monaco» proviene dal termine greco «μοναχός» che significa «uno», «solo». Questo nome fu assunto dai cristiani più zelanti che cercarono di allontanarsi dal mondo e dedicarsi pienamente al Signore nella preghiera, nell’ascesi e nella solitudine.
Tale forma di vita particolarmente dedicata a Dio si praticava già nel cristianesimo antico, dove c’erano gli asceti che si dedicavano alla preghiera intensa e all’astinenza corporea, e anche le comunità di vedove e vergini che trascorrevano una vita somigliante a quella monastica. L’apostolo Paolo, probabilmente, si rivolge a loro, quando dice nella sua lettera ai Corinzi: «Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io» (1 Cor 7,7-8).
La nascita del monachesimo
Ad ogni modo, il monachesimo in senso vero e proprio nacque nel IV secolo grazie a sant’Antonio il Grande (+356), il cui esempio mise le basi del movimento monastico e divenne «l’ideale del monachesimo» per tutti i suoi successori.
Come si afferma nella sua biografia, egli, ancora molto giovane, comprese in modo letterale le parole del Vangelo che sentì una volta in chiesa durante la Liturgia:«se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Dopo questa rivelazione personale egli vendette tutti i suoi beni ereditati dai genitori, accompagnò sua sorella in una comunità di vergini, e si allontanò nel deserto del basso Egitto, dove trascorse circa 20 anni nella solitudine e nella lotta contro le tentazioni corporee. Durante questo periodo egli a volte incontrava gli eremiti che avevano maggiore esperienza, da cui cercava di apprendere qualche insegnamento nella vita spirituale. Questo fatto dimostra ancora una volta che la tradizione monastica esistette anche prima di sant’Antonio.
Nel corso del tempo, Antonio divenne famoso per la sua vita straordinaria e molte persone vennero a cercarlo, a volte per curiosità, a volte per essere seguiti da lui nel loro percorso spirituale. Però Antonio non volle in nessun modo abbandonare la vita in solitudine e si nascose nel deserto ancora più profondo, ma venne trovato anche lì. Da questo momento cominciò una nuova tappa della sua vita. Come ci racconta la sua biografia, egli, senza abbandonare la preghiera e l’ascesi, cominciò a seguire i numerosi discepoli, sia di persona che tramite le lettere, aiutare i poveri e bisognosi, combattere contro gli eretici, ecc..
Come diceva P. Robert Taft, «la vera opera della spiritualità cristiana non è abbandonare il mondo, ma immergersi ed afferrare la vita con entrambe le mani». È proprio questo principio che sant’Antonio realizzò nella sua vita. Le due tappe del suo percorso monastico hanno determinato due pilastri del monachesimo: l’allontanamento dal mondo, per dedicarsi pienamente alla vita spirituale e, nello stesso tempo, l’orientarsi verso la vita secolare con l’intenzione di illuminarla, dopo aver vissuto una trasfigurazione interiore personale.
La diffusione del monachesimo
Grazie alla fama di sant’Antonio, al suo patrimonio letterario e in particolare alla sua biografia, scritta da sant’Atanasio d’Alessandria (+373) che lo conosceva di persona, egli divenne largamente conosciuto in tutto il mondo cristiano. Non è tanto importante se alcuni studiosi mettono in dubbio l’esistenza della persona descritta nella vita di sant’Antonio, considerandolo come la rappresentazione di un monaco ideale, piuttosto che di una persona vera. Tanti cristiani, dopo aver letto l’opera di sant’Atanasio si sono dedicati alla vita monastica, e anche se non conoscevano sant’Antonio personalmente, lo consideravano come il loro padre spirituale.
Già alla prima metà del IV secolo, quando sant’Antonio era ancora in vita,vennero create le abitazioni monastiche in varie parti del basso Egitto, dove i primi monaci cercarono di imitarlo, trascorrendo una vita eremita nel deserto. Uno dei suoi contemporanei minori, san Pacomio (+348), fondò il primo monastero dove i monaci vivevano in comunità. Così nacque il monachesimo cenobitico che successivamente divenne la forma più diffusa della vita monastica.
Quasi contemporaneamente il monachesimo nacque anche in Occidente, dove i viaggiatori e i pellegrini dell’Oriente cristiano portavano la tradizione monastica egiziana. Sulla diffusione del monachesimo in Occidente parla Sant’Agostino (+430) nelle sue Confessioni. Egli menziona sant’Ambrogio di Milano, che fece il superiore del monastero da lui fondato vicino a Mediolanum, e anche sua sorella Marcellina che divenne monaca e fondò uno dei primi monasteri femminili dell’Occidente.
Grazie a Sant’Atanasio d’Alessandria, che per lungo tempo stette in esilio a Treviri (335), Roma (340-343) e Aquileia (345), già negli anni ‘60 del IV secolo vide la luce la traduzione latina della vita di Sant’Antonio, successivamente rielaborata da sant’Evagrio di Antiochia. Sant’Agostino parla dell’impressione che suscitava la sua opera nei lettori latini: vi trovarono un libro ov’era scritta la vita di Antonio. Uno dei due cominciò a leggerla e ne restò ammirato, infuocato. Durante la lettura si formò in lui il pensiero di abbracciare quella vita e abbandonare il servizio del secolo per votarsi al tuo. […] Improvvisamente pervaso di amore santo e di onesta vergogna, adirato contro se stesso, guardò fisso l’amico e gli chiese: «Dimmi, di grazia, quale risultato ci ripromettiamo da tutti i sacrifici che stiamo compiendo? Cosa cerchiamo, a quale scopo prestiamo servizio? Potremo sperare di più, a palazzo, del rango di amici dell’imperatore? E anche una simile condizione non è del tutto instabile e irta di pericoli? […]Invece amico di Dio, se voglio, ecco lo divento subito». Parlava e nel delirio del parto di una nuova vita tornò con gli occhi sulle pagine. A mano a mano che leggeva, un mutamento avveniva nel suo intimo, ove tu vedevi, e la sua mente si svestiva del mondo, come presto apparve.
La vita di sant’Antonio servì anche come un esempio per alcuni autori occidentali che scrivevano in latino le loro opere, dedicate ai monaci. Ai nostri giorni sono giunte le Vite degli eremiti San Paolo di Tebe, Sant’Ilarione e San Malco scritte da san Girolamo che hanno contribuito all’impianto e alla diffusione del monachesimo nell’Occidente.
Quindi, partendo dalla metà del IV secolo, il monachesimo si stabilì come un movimento costante all’interno della comunità cristiana sia nell’Oriente che nell’Occidente.
Il ruolo del monachesimo nella storia e nella società
Oltre alla grande fama di sant’Antonio e dei primi monaci, vi fu anche un motivo politico e sociale del successo che ebbe il monachesimo. Dopo il riconoscimento del cristianesimo come religione statale dell’Impero Romano Orientale, alcuni fedeli più zelanti si rivolsero alla vita monastica considerandola come una «riserva» del cristianesimo più autentico, preservato dagli influssi secolari. Questo fattore aumentò sostanzialmente la quantità dei monaci e così cominciò a crescere anche il loro ruolo nella vita della Chiesa e della società.
Abbastanza presto, praticamente dai tempi di sant’Antonio, i monaci venivano ordinati presbiteri e vescovi, e così cominciarono a far parte del clero (nell’Oriente cristiano, particolarmente nelle Chiese ortodosse, fino ad oggi solo un monaco può diventare vescovo). Considerandosi come i custodi della pura Tradizione cristiana, i monaci spesso intervenivano nelle dispute teologiche e partecipavano alle lotte contro le eresie durante tutta l’epoca dei Concili ecumenici. In particolare, grazie alla loro resistenza, fu protetta la venerazione delle sacre immagini nell’epoca dell’iconoclasmo.
Nell’Oriente bizantino le comunità monastiche vennero create non solo nei deserti ma anche nelle grandi città, dove, grazie alle generose offerte dei benefattori, diventarono sempre più ricche e influenti, trasformandosi dalle umili abitazioni dei padri del deserto in importanti centri della cultura e dell’attività intellettuale.
Il monachesimo ebbe una forte e autorevole posizione anche in Occidente. Nel periodo dei «secoli bui» del medioevo europeo i monasteri divennero i principali centri di istruzione, portatori della civiltà e custodi del patrimonio culturale del mondo antico. Con la cosiddetta colonizzazione monastica e l’attività missionaria dei monaci, durante il primo millennio fu cristianizzata tutta l’Europa occidentale e, con l’opera dei santi fratelli monaci Costantino (Cirillo) e Metodio, anche i popoli slavi, la popolazione cristiana più numerosa dell’Eurasia. Le comunità monastiche divennero i grandi proprietari di beni immobiliari, i monasteri funzionavano come tesoriere per i re e per i principi locali e offrivano loro anche un appoggio politico e militare.
Questa dominazione monastica, praticamente in tutti gli ambiti della vita della società, durò per tutto il medioevo europeo e iniziò a diminuire solo dopo la caduta di Costantinopoli e l’inizio del Rinascimento con la successiva diffusione del protestantesimo, che si scagliò particolarmente contro il monachesimo.
Così finì l’epoca d’oro del monachesimo. Tuttavia, la storia del monachesimo continuò, cambiando però il suo paradigma.
Nell’Occidente il monachesimo continuò la sua esistenza anche nell’epoca post-rinascimentale: nacquero numerosi ordini monastici, con i carismi particolari, che si dedicavano alle varie attività sia di carattere spirituale come i numerosi monasteri di clausura, che sociale, legate all’aiuto di poveri e bisognosi.
Il monachesimo continuò il suo sviluppo anche nell’Oriente cristiano dopo la caduta di Costantinopoli. Ma prima di parlare di questo, bisogna dire qualche parola sulla spiritualità monastica.
La spiritualità monastica nell’Occidente e nell’Oriente
L’importante ruolo del monachesimo, in particolare quello occidentale, che rispetto a quello orientale aveva un carattere più pratico e più organizzato, non escludeva l’intensa vita spirituale dei monaci.
Nella prima metà del secondo millennio, il monachesimo occidentale visse una serie di grandi cambiamenti interni con l’intenzione generale di ritornare alle origini del movimento monastico. Nella tradizione del monachesimo benedettino, che ebbe un’influenza determinante sulla vita e la storia dell’Europa nel primo millennio, emergono i cistercensi il cui scopo era proprio un ritorno alla Regola di San Benedetto. Furono istituiti anche i cosiddetti ordini mendicanti, che vivevano solo di elemosine, limitandosi alla necessaria proprietà comune, talvolta rifiutando di costruire conventi e conducendo una vita itinerante.
Uno degli esempi lampanti della spiritualità monastica occidentale è stato l’ordine francescano, con il suo fondatore san Francesco d’Assisi. Egli, ancora nell’epoca medievale, quando il successivo declino del monachesimo non era ancora del tutto evidente, creò un nuovo ramo del monachesimo basato sulla povertà e sulla negazione di tutte le forme dei beni materiali, ma anche sull’intensa vita spirituale e sull’estasi interiore, che furono accompagnate dai visibili segni delle stigmate e dei doni carismatici, posseduti da san Francesco e da alcuni suoi successori.
Le riforme e le tendenze successive nel monachesimo occidentale furono in parte determinate da sfide esterne, in particolare dalla necessità di combattere il movimento protestante sull’onda della Controriforma, ma in generale tendevano a tornare ai principi fondamentali del monachesimo, basati sulla povertà, l’intensa vita spirituale e la trasfigurazione interiore.
Anche il monachesimo dell’oriente, come abbiamo visto, aveva un importante ruolo nella vita ecclesiastica e sociale, però il suo cuore battente, il suo punto pulsante stava nell’intensa vita dello spirito, di cui il filo conduttore consisteva in un insieme dell’attività ascetica e della preghiera del cuore o la preghiera di Gesù, legata con le pratiche psicosomatiche, che hanno ottenuto il nome di esicasmo (grec. ἡσυχία — «la tranquillità», «il silenzio», «la pace»).
La vita esicasta era praticata dai padri del deserto già nei tempi di sant’Antonio Abate. Questa è la testimonianza che ci riporta la Filocalia, la raccolta degli scritti dei padri-monaci (sant’Antonio incluso) del periodo tra il IV e il XV secolo sulla loro esperienza della vita spirituale, che potrebbe essere considerata come un manuale della spiritualità monastica orientale. Possiamo dire che questa raccolta sia il frutto più prezioso della tradizione monastica dell’oriente.
A cavallo del XVIII e XIX secolo, a seguito della crisi in cui si trovò la vita monastica dopo la fine dell’epoca medievale, il monachesimo ebbe un periodo di brusco rinascimento, legato alla riscoperta del patrimonio esicasta e alla ristampa della Filocalia, prima in greco e poi anche in slavo e in russo, che popolarizzò questo movimento e attirò l’attenzione alla tradizione monastica antica.
Successivamente nella Chiesa ortodossa russa, dove il monachesimo, partendo dalla fine del XVIII secolo visse una fioritura particolare, fu scritto e pubblicato un saggio, i Racconti di un pellegrino russo di un autore anonimo che divenne una specie di manuale divulgativo dell’esperienza esicasta. Secondo la trama di quest’opera, lo strannik-pellegrino impara la preghiera del cuore durante il suo lungo pellegrinaggio, leggendo la Filocalia e apprendendo l’insegnamento della vita esicasta dai padri spirituali di lunga esperienza che incontrava. Grazie alla grande fama di questo libro, l’interesse alla vita monastica si diffuse non solo tra i monaci ma anche tra i pii laici che avevano una grande stima nei confronti dell’esicasmo. Se non ci fosse stata la rivoluzione del 1917, che interruppe questo rinascimento spirituale della Chiesa russa, la tradizione ascetica esicasta si sarebbe diffusa largamente anche tra i laici.
Quindi possiamo dire che la tradizione esicasta, la forma più alta della vita spirituale non solo per i monaci, ma anche per i laici, potrebbe essere considerata come la chiave di comprensione del cristianesimo ortodosso.
Il monachesimo nell’Oriente e nell’Occidente
nella prospettiva del dialogo ecumenico
Il famoso teologo e studioso della spiritualità orientale P. Tomáš Špidlík, facendo il paragone tra il monachesimo occidentale e orientale, si rivolgeva all’esempio di Marta e Maria (Lc 10,38-42). Marta era più attiva, cercava di accontentare Gesù preparando una buona cena, mentre Maria per tutta la sera ascoltava l’insegnamento del suo Maestro. E Gesù, senza disprezzare la fatica di Marta, diede la preferenza a Maria. Il teologo ceco sottolinea, però, seguendo anche l’esempio di Gesù, che nella vita ecclesiastica ci vogliono entrambe le vie. E a questo fatto è legato il recente interesse reciproco fra la tradizione monastica orientale e quella occidentale. Attualmente si parla molto dell’attività ecumenica, della necessità di trovare nuove sfide nel dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. Prendiamo qualche esempio.
Alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo nella Chiesa ortodossa russa, insieme con il rinascimento esicasta, vi furono vari tentativi di rivedere il concetto di monachesimo. In particolare, si cercava di rendere più stretto il rapporto tra le comunità monastiche e il mondo secolare che, tra l’altro, storicamente caratterizzava il monachesimo egiziano. Uno degli esempi più rappresentativi fu la dimora di Misericordia di Marta e Maria a Mosca, fondata da una principessa russa, Elisabetta Fedorovna Romanov (1864-1918), sorella della moglie dell’ultimo imperatore russo Nicola II. Originalmente tedesca protestante, passò all’ortodossia dopo il matrimonio, e dopo la morte del marito si dedicò al servizio dei poveri e dei bisognosi e alla vita consacrata. Fondò il monastero dedicato a Marta e Maria, che doveva sottolineare il carisma della comunità. In questa dimora si univa il regolamento della vita monastica tradizionalmente ortodossa con le lunghe preghiere comuni e i digiuni rigorosi e il servizio sociale molto attivo. Sotto la cura del monastero funzionavano gli ospedali per i poveri, gli orfanotrofi, le case di famiglia, le farmacie economiche. Le sorelle della dimora si prendevano cura delle persone più povere e miserabili della città, visitando le loro case e cercando di aiutarle in tutto. Riguardo a questa impostazione della vita comunitaria, i membri della comunità non dovevano obbligatoriamente emettere i voti monastici, ma potevano rimanere laiche e anche sposate, dedicandosi però al servizio dei bisognosi. La dimora di Marta e Maria potrebbe servire come esempio non solo del monachesimo attivo nell’ambito ortodosso, ma anche come il tentativo di rivolgersi all’esperienza monastica occidentale a cui aspirava molto la fondatrice.
Anche l’occidente cattolico ultimamente si interessa molto della spiritualità del monachesimo orientale e, in modo particolare, alla tradizione esicasta, a cui parecchi studiosi-teologi del XX secolo hanno dedicato i loro famosi studi. Sono note le opere di P.Tomáš Špidlík, uno dei più grandi specialisti del patrimonio della spiritualità orientale e in particolare di quella slava del XX secolo. Egli dedicò alla spiritualità orientale, basata sulla tradizione esicasta, centinaia di opere scientifiche e divulgative e cercò anche di elaborare una sintesi teologica che trovò la sua espressione pratica nell’attività del famoso Centro Aletti a Roma, che contribuì a far nascere e dove visse fino al termine della sua vita, praticando come un vero starec anche la direzione spirituale.
Durante il XX secolo si cercò di conoscere nel profondo il monachesimo orientale nonostante le difficili circostanze politiche in cui si trovavano i paesi ortodossi. Uno degli esempi rappresentativi è il monastero benedettino di Chevetogne, fondato nel 1925, la cui comunità viveva nello stesso tempo la tradizione liturgica dell’Occidente e dell’Oriente bizantino. Secondo il punto di vista del fondatore Dom Lambert Beauduin, questo fu un modo di scoprire dall’interno i tesori della spiritualità orientale nelle condizioni autentiche senza violarla e senza cercare di inserirla nella matrice della percezione occidentale.
Partendo dal Concilio Vaticano II questa intenzione prese una forma più concreta, che è stata definita da un famoso scrittore russo Vjačeslav Ivanov (1866-1949) come il «respirare con due polmoni». Questa formula venne ripresa da papa san Giovanni Paolo II, che segnò con questo detto la nuova tappa nel rapporto ortodosso-cattolico basato sulla parità di ambedue le Chiese e sullo stabilimento di un dialogo costante, con l’intenzione di conoscere profondamente la ricchezza del patrimonio cristiano nelle sue varie tradizioni senza violarle o cercare di imporre un determinato punto di vista.
Conclusione
Concludendo questo breve discorso, possiamo affermare che il mondo odierno non sarebbe mai stato così come lo conosciamo senza il monachesimo, che è stato la forza più importante per la formazione della civiltà europea sia nell’oriente che nell’occidente cristiano. Come abbiamo visto, i monaci per tanto tempo ebbero un ruolo molto importante nella vita della civiltà cristiana, e senza il loro contributo non si sarebbe formata la cultura europea con il suo patrimonio intellettuale e culturale.
Anche dopo la caduta dell’impero Bizantino e l’inizio del Rinascimento, il monachesimo, come nei secoli scorsi, rimane una massima espressione della vocazione cristiana, una tesoriera della santità e dell’esperienza della vita in Cristo, un punto di riferimento per i cristiani nel loro percorso spirituale. Per questo motivo la spiritualità e la vita monastica è sempre stata considerata come un modello di vita virtuosa per tutta la Chiesa.
Confrontando il monachesimo orientale e quello occidentale nella loro fase contemporanea, si può dire che il primo è più contemplativo, più concentrato sulla vita spirituale interiore, mentre il secondo è più pratico e attivo. Per l’Ortodossia, il monachesimo rimane il modello del «cristianesimo ideale», la massima espressione della vocazione cristiana, non solo dei monaci, ma anche dei laici. Nel dialogo ortodosso-cattolico, quindi, la tradizione monastica deve essere vista come la chiave per comprendere l’Oriente cristiano, e forse la dimensione in cui le Chiese d’Oriente e d’Occidente rimangono più vicine le une alle altre.
DOTT. MAKSIM KIVELEV