CLAUDE DAGENS, VESCOVO EMERITO DI ANGOULÊME
“Tutto quello che continuo ad imparare”
2022/6, p. 16
È il titolo di un libro splendido (Cerf, 2022) che arriva a commuovere in profondità. Conosco Dagens da tanto tempo e sono sempre stato impressionato dalla sua cultura, dalla sua passione per la mistica dell’ordinario. Dalle «confessioni» di Dagens, uno dei quaranta immortali di Francia, si capisce che è un uomo timido e riservato, battagliero e passionale, taciturno e contemplativo, aperto al grande mistero di Dio, lucido nelle analisi che riguardano sia la Chiesa che la società, è un «adepto della Via», come ama definirsi, sulle orme dei primi cristiani.
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CLAUDE DAGENS, VESCOVO EMERITO DI ANGOULÊME
“Tutto quello che continuo ad imparare”
È il titolo di un libro splendido (Cerf, 2022) che arriva a commuovere in profondità. Conosco Dagens da tanto tempo e sono sempre stato impressionato dalla sua cultura, dalla sua passione per la mistica dell’ordinario. Dalle «confessioni» di Dagens, uno dei quaranta immortali di Francia, si capisce che è un uomo timido e riservato, battagliero e passionale, taciturno e contemplativo, aperto al grande mistero di Dio, lucido nelle analisi che riguardano sia la Chiesa che la società, è un «adepto della Via», come ama definirsi, sulle orme dei primi cristiani.
Vescovo emerito di Angoulême, piccola città della Francia, capoluogo del dipartimento della Charente, sede vescovile fin dal III secolo, con la splendida cattedrale romanica del XII secolo.
È nato a Bordeaux il 20 maggio 1940 come François Mauriac, accademico di Francia nel 1933 e premio Nobel nel 1953, scrittore del bene e del male, analista acuto dell’animo umano, attento al «mistero di Dio» in ogni persona. Dagens fu affascinato fin da giovane studente sia da François Mauriac che da Georges Bernanos. Trovava in Mauriac una specie di rivelazione del mistero cristiano: il primato dell’interiorità e la lotta spirituale. Di Bernanos ammirava l’accento posto sulla speranza, che passa per la croce di Cristo e si radica nella misericordia di Dio.
Nominato accademico di Francia, continua a definirsi il «cappellano» della storica istituzione. Il termine gli piace perché lo fa sentire presente come uomo di Dio per manifestare la misericordia di Cristo. «Mi sento in mezzo agli accademici un compagno, un confratello».
Studente al liceo Montaigne a Bordeaux, alla Scuola normale superiore, alla Scuola francese di Roma, alla facoltà teologica di Parigi, dottorati in lettere e in teologia, attività pastorale nelle parrocchie di Parigi e Bordeaux, insegnamento nel seminario di Bordeaux e nella Facoltà teologica di Tolosa (storia delle origini cristiane), nomina a vescovo ausiliare di Poitiers (1987-1993) e poi vescovo di Angoulême. La società europea non gli impedisce di vedervi il terreno dell’esperienza cristiana di Dio, il terreno dell’interiorità. È convinto che le questioni pratiche riguardanti l’organizzazione della Chiesa non hanno la precedenza. Bisogna andare al cuore dell’essenziale e questo è il “cuore di Dio”: è la sua convinzione profonda ed esigente. Mi ha confessato spesso: «Ho capito in maniera profonda e sconvolgente che la sorgente del nostro agire è la preghiera, la parola di Dio, il silenzio. E l’eucaristia, che presiedo ogni mattina, e il canto. Vi si respira il mistero di Dio. Andare al cuore del mistero di Dio è l’esigenza primordiale della missione della Chiesa. È il primato dell’esperienza di Dio». Mi ricordava che “Cultura ed esperienza cristiane” è il titolo della sua tesi dottorale sul papa san Gregorio Magno. «Nella parola di Dio e nell’esperienza cristiana è la sorgente di una nuova cultura cristiana».
Si rifà di continuo a Madeleine Delbrêl, che operava alla periferia di Parigi, a Ivry, in un ambiente comunista e ateo. Fragile e forte nello stesso tempo, forte e fragile. Diceva la mistica: «Il tempo di oggi è il tempo della nostra fede. La fede è una passante; nessun tempo le è refrattario, essa non è refrattaria a nessun tempo; essa è fatta per il tempo, è destinata a ogni tempo e quando un tempo sembra esserle refrattario, è a noi che è refrattario senza dubbio, perché assorbiamo con noi il residuo di un altro tempo che si trova ad essere contraddittorio al tempo stesso che dobbiamo vivere. Siamo diventati noi refrattari a questo tempo».
Ricordo uno dei nostri incontri e colloqui, anche nel monastero benedettino di Belloc, nei Pirenei atlantici, dove amava trascorrere tempi di preghiera, riflessione, studio. «Il nostro è un tempo favorevole alla nostra conversione. Le circostanze attuali ci obbligano ad uscire da noi stessi, dai nostri gusci, come soldati chiusi nelle caserme, per testimoniare nel mondo l’apertura di Dio alla nostra umanità reale e attuale. È il compito della Chiesa, è un’esigenza permanente, che ci obbliga alla conversione permanente. Essere aperti a Dio, radicalmente, perché, tramite noi, il mondo si apra a Dio. Abbiamo bisogno di ritrovare il senso del tempo della tradizione cristiana e della storia: la teologia della storia e del tempo. Ogni epoca è aperta a Dio. Il senso del tempo ci apre all’eternità di Dio».
Il senso delle «confessioni incrociate» Dagens lo trova nelle parole della consacrazione: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Questo è il mio sangue versato per voi». Queste parole di Gesù, alla vigilia della sua morte, attorniato dai dodici apostoli, non sono mai diventate per me un’abitudine. Sono parole che coinvolgono tutto il mio essere. Creano la Chiesa a partire da Gesù stesso. Mettono in comunione quelli e quelle che sono qui e adesso attorno all’altare. Nello stesso tempo, radunano la moltitudine delle nostre sorelle e fratelli perché, secondo il comando del Risorto, sono pronunciate “per la vita del mondo”.
Come sempre, alla fine dei nostri incontri, (l’ultimo il 4 aprile a Parigi), Dagens si raccoglie in silenzio e invita alla preghiera.
FRANCESCO STRAZZARI