75 anni di età e undici di servizio alla vita consacrata
2022/6, p. 14
Prefetto della Congregazione per la vita consacrata, ha compiuto 75 anni il 24 aprile scorso.
Uomo dal carattere gioioso, ma alieno dalle polemiche e piuttosto lontano dai media, ha svolto in questi anni un lavoro impegnativo e spesso difficile che pochi conoscono. Molto amato dai religiosi/e, è doveroso esprimergli in questa circostanza tutta la nostra riconoscenza.
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IL CARD. JOÃO BRAZ DE AVIZ
75 anni di età e undici di servizio
alla vita consacrata
Prefetto della Congregazione per la vita consacrata, ha compiuto 75 anni il 24 aprile scorso. Uomo dal carattere gioioso, ma alieno dalle polemiche e piuttosto lontano dai media, ha svolto in questi anni un lavoro impegnativo e spesso difficile che pochi conoscono. Molto amato dai religiosi/e, è doveroso esprimergli in questa circostanza tutta la nostra riconoscenza.
João Braz de Aviz, cardinale brasiliano, è alla guida della Congregazione vaticana per la vita religiosa da undici anni. Insieme a una quarantina di collaboratori è responsabile di circa un milione di religiosi, l'80 per cento dei quali sono donne. Ha compiuto 75 anni il 24 aprile scorso. È una persona che compare poco nei media e solo occasionalmente si fa vedere in pubblico. Svolge il suo lavoro in gran parte lontano dalle polemiche.
Come Prefetto della Congregazione vaticana per gli Istituti di vita consacrata, il suo non è un lavoro facile. Ha il compito di assicurarsi che i 2.000-3.000 ordini e istituti e altre comunità in tutto il mondo di diritto pontificio, siano fedeli ai loro statuti e agli altri requisiti che sono loro propri.
Ma mentre gli ordini tradizionali come i benedettini, i francescani o i gesuiti hanno meno problemi, le comunità più giovani a volte mancano di esperienza e di prassi comunitaria. Secondo voci correnti, – scrive il vaticanista Roland Juchem (KNA) – la Congregazione per i Religiosi sta effettuando un'indagine sullo sviluppo delle comunità più giovani a partire dagli inizi del secolo 20° fino ai nostri giorni. La ragione è dovuta ai vari scandali riguardanti fondatori e leader carismatici che hanno deviato dalla retta via. Ma questo non è l'unico motivo per cui non ritiene che la vita religiosa sia una forma di vita cristiana più perfetta di quella dei normali sacerdoti o laici. "C'è una sola santità, quella dei battezzati", afferma. I religiosi e le religiose dovrebbero essere soprattutto profetici.
Inoltre, benché egli stesso non appartenga ad alcun istituto religioso, con il suo dicastero ha anche il compito di vigilare sulla custodia dei beni culturali delle comunità religiose come parte del patrimonio della Chiesa e dell’umanità: archivi, libri, opere ed edifici artistici e liturgici. È un compito formidabile tenuto conto del rischio di estinzione di diverse comunità.
Ciò è reso più difficile perché i monasteri e le comunità religiose godono di una maggiore autonomia nella Chiesa cattolica. E inoltre spesso c’è anche il fatto che la direzione degli istituti ha sede a Roma e questo fatto richiede molto coordinamento e concertazione.
Inoltre, con il decreto "Vos estis lux mundi", il Papa ha incaricato, nel 2019, il dicastero di vigilare affinché i superiori religiosi gestiscano correttamente i casi di presunti abusi. Non solo quello sui minori. Anche l’abuso sessuale e spirituale delle suore e il loro sfruttamento è un argomento su cui la Chiesa ha molto lavoro da fare.
Nominato cardinale da Benedetto XVI
João Braz de Aviz non ha dovuto attendere molto per essere nominato cardinale: nel 2011 Benedetto XVI lo chiamò a Roma quand’era ancora arcivescovo, e solo un anno dopo lo nominò cardinale. All'inizio di marzo papa Francesco lo ha elevato al rango onorario di cardinale presbitero.
Tra un milione circa di religiosi e religiose della Chiesa cattolica mondiale, le donne formano il gruppo significativamente più numeroso. Secondo i dati più recenti forniti dal cardinale la loro quota rappresenta l'80% del totale. Per rendere la Chiesa cattolica meno clericale e più femminile – obiettivo su cui il cardinale si è più volte pronunciato – negli istituti femminili è disponibile un ampio bacino di competenze, talenti e di idealismo da valorizzare. Un indizio in questa direzione è l’assegnazione recente di alcuni posti curiali più elevati a religiosi per rendere la Chiesa cattolica meno clericale e meno incentrata sui sacerdoti. Sono proprio i religiosi – per lo più donne – ad essere utilizzati ai margini esistenziali della società e della Chiesa. Questa tendenza dovrebbe continuare ad essere sostenuta nel miglior modo possibile da Roma ed è la ragione per cui la riforma della curia promossa di Francesco lascia sostanzialmente invariato il dicastero dei religiosi.
In questo senso, è indicativo, per esempio, sottolineare che il Vaticano abbia nominato una donna, la francese suor Nathalie Becquart nuovo sottosegretario della Segreteria del Sinodo. Ciò comporta automaticamente anche il diritto di voto. "Con la nomina di suor Nathalie Becquart e la possibilità di partecipare al diritto di voto, è stata aperta una porta", ha detto il cardinale Mario Grech, Segretario generale del sinodo dei vescovi: "Vedremo quindi quali ulteriori passi saranno compiuti in futuro". Il diritto di voto per le donne nelle riunioni del Sinodo dei vescovi era stato chiesto più volte negli ultimi anni. Più di recente, l'argomento era stato discusso prima e durante i Sinodi dei giovani e dell'Amazzonia. ma non riguardava leader degli ordini femminili.
Nathalie Becquart appartiene all' "Institut La Xaviere", fondato nel 1963. Dopo aver frequentato la scuola commerciale superiore di Parigi, ha studiato teologia, filosofia e sociologia. A Boston/USA si è occupata della sinodalità della Chiesa in un corso teologico post-laurea. Nel 1995 è entrata a far parte della comunità di Xaviere, dove ha emesso i voti perpetui nel 2005. Dal 2008 al 2012, Becquart è stata Direttore Nazionale della Commissione per l'Evangelizzazione e la Pastorale vocazionale della Conferenza Episcopale Francese.
Alcune affermazioni del card. Braz de Aviz
Dai discorsi e interventi in varie occasioni si possono raccogliere numerose affermazioni del card. Braz de Aviz, di grande interesse che riguardano oggi la vita consacrata e che fanno parte degli interessi e del lavoro della Congregazione che dirige. Ne citiamo soltanto qualcuna. “Stiamo lavorando moltissimo – ha dichiarato, per esempio, - per modificare la formazione. Dobbiamo pensarla a partire dal seno materno fino all’ultimo respiro. Esiste un processo vitale in cui si acquisiscono oppure no valori e sofferenze. Tutto ha importanza nella formazione, così che uno non può dire: questo è formazione e questo no. È un percorso da compiere e ciò esige molta attenzione, responsabilità, capacità di perdono e di ascolto. Dobbiamo cambiare molte cose”.
“Abbiamo poi il problema all’interno della vita consacrata, di recuperare l’umano: gli affetti, la sessualità; dobbiamo rivedere la relazione autorità-sudditi che bisogna mettere sotto un’altra luce. Come pure, la relazione uomo-donna, non più stando sulla difensiva, ma in una maniera più integrata, profonda e completa da entrambe le parti.”
È stato chiesto al cardinale cosa pensa della crisi vocazionale e da che cosa dipende. “Penso – ha detto –che sia soprattutto un problema di autenticità di vita. È un problema anche il fatto che la società in molti luoghi nega Dio, non tanto in forma teorica, ma pratica”. Inoltre, “bisogna vedere oggi che cosa è fondamentale e che cosa no. Molte cose della tradizione, diverse delle quali appartengono alla cultura del passato, oggi non servono più”.
È come se la spiritualità si fosse deteriorata? “Sì, è proprio così. Possono cadere tutte le cose secondarie, ma non può cadere il carisma speciale dei fondatori”.
A suo parere, alcune tradizioni non servono più. La Chiesa e soprattutto gli ordini religiosi dovrebbero perciò "guardare a quello che è fondamentale e a ciò che non lo è".
Su questo punto, in un'intervista al quotidiano paraguaiano "Última Hora", ha così ribadito: “Molte di queste tradizioni riguardano i fondatori degli ordini religiosi e le loro rispettive culture, ma non sono essenziali. Si tratta invece piuttosto di riconoscere i valori del Vangelo nelle culture più diverse senza perdere il carisma speciale dei fondatori”.
E per quanto riguarda il celibato? “Per la vita consacrata, il celibato è fondamentale perché costituisce uno dei suoi pilastri: povertà, castità e obbedienza. Ma non si tratta di comandamenti, sono delle proposte, sono consigli evangelici. Bisogna scoprire se si è chiamati ad esso oppure no. A volte uno si inganna e pensa di essere chiamato e non lo è. Altri non l’accettano perché non lo vedono come un valore. Occorre distinguere, discernere e poi intraprendere il cammino”.
Per quanto riguarda il sacerdozio? “Non deve essere messo al primo posto nella vita religiosa. È solo "una delle vocazioni".
“Ci sono inoltre, i temi della sessualità, dell'autorità e della parità di diritti tra uomini e donne che devono essere affrontati con maggiore forza all'interno della vita religiosa”.
È necessario un ripensamento anche del problema dell’autorità. "Un'autorità che vuole affermarsi dall'alto su dei subordinati non è più accettata oggi. L'autorità deve essere attraente, dobbiamo incontrarci alla pari, come fratelli e sorelle".
E sul rapporto tra uomini e donne, occorre una maggiore condivisione: “per capire come possiamo crescere nell'amore, aiutarci e sostenerci a vicenda anche in situazioni difficili”.
Un altro tema importante riguarda i giovani. “Si tratta di presentare il Vangelo con la propria vita; i giovani hanno bisogno di segni chiari, hanno bisogno di vedere per che cosa vale la pena dare la vita". Occorre “passare dal parlare all'ascoltare”.
Questo principio vale soprattutto quando si cercano nuove vie: “dobbiamo passare dal parlare all'ascolto attento. E magari fare di meno noi stessi e lasciare che sia Dio a operare di più”.
A proposito della lettera della Congregazione per la vita religiosa, intitolata "Per vino nuovo - otri nuovi, dal Concilio Vaticano II, la vita consacrata e le sfide ancora aperte. è stato chiesto al cardinale: quali sono queste sfide? “Per esempio – ha risposto, abbiamo forme di vita che sono legate ai nostri fondatori che non sono essenziali: un modo di pregare, di vestire, di dare più importanza a certe cose che non sono tanto importanti, lasciando un po’ da parte altre che invece lo sono. Oggi abbiamo una visione più globalizzata, che tenga conto cioè delle diversità culturali: “Non è vero che la mia cultura sia più importante di quella dell’altro, perché le culture sono tutte uguali, ma devono intercettare i valori del Vangelo”.
“Oggi, inoltre, dobbiamo pensare al sacerdozio non come alla cosa più importante; il sacerdozio costituisce uno dei valori delle vocazioni. Nella vita consacrata, il sacerdote non deve occupare il primo posto, ma lo stesso degli altri fratelli e sorelle…. Questa è una cosa da cambiare. Il Papa dice che dobbiamo distinguere tra il potere e la potestà. La potestà divina va bene, il potere no. Perché il potere, secondo il modo di pensare del mondo, è una forma di dominio, e questo non serve. Noi dobbiamo passare attraverso un’altra porta: servire il mistero e poter trovare questa fraternità”.
In occasione del 25/mo della Esortazione apostolica Vita consecrata di Giovanni Paolo II, João Braz de Aviz, il 25 marzo 2021, ne ha ricordato l’importanza attraverso una lettera in cui scrive: “Giovanni Paolo II ha tracciato “l’identità della vita consacrata” che si basa sulla relazione con la Trinità... Il consacrato è chiamato a essere testimone di bellezza. Devono ispirarsi alla bellezza “la testimonianza e la parola offerta, perché bello è il volto che annunciamo, la fraternità e il clima che si respira, il tempio e la liturgia, cui tutti sono invitati, perché è bello pregare e cantare le lodi dell’Altissimo e lasciarsi leggere dalla sua parola, l’essere vergini per amare col suo cuore, il nostro essere poveri per dire che è lui l’unico tesoro, il nostro obbedire alla sua volontà di salvezza e pure tra di noi per cercare lui solo, l’avere un cuore libero di accogliere il dolore di chi soffre per manifestargli la compassione dell’Eterno”.
ANTONIO DALL’OSTO