Guerra e pace
2022/6, p. 12
Da qualche anno ci eravamo abituati alla pace, tanto da considerare la guerra come una barbarie ormai superata dalla civiltà, dalla democrazia, dalla scienza
e dalla diffusione della cultura e del benessere raggiunto. C’era pure la globalizzazione, che avrebbe permesso anche ai popoli poveri di raggiungere
quel livello di vita che attenua l’aggressività. La guerra c’era, ma si combatteva nei paesi fanatici e intolleranti, o nelle regioni ricche di materie strategiche, a partire dal petrolio, necessario per mantenere alto lo sviluppo. E così si dormivano tranquilli....
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Guerra e pace
Da qualche anno ci eravamo abituati alla pace, tanto da considerare la guerra come una barbarie ormai superata dalla civiltà, dalla democrazia, dalla scienza e dalla diffusione della cultura e del benessere raggiunto. C’era pure la globalizzazione, che avrebbe permesso anche ai popoli poveri di raggiungere quel livello di vita che attenua l’aggressività. La guerra c’era, ma si combatteva nei paesi fanatici e intolleranti, o nelle regioni ricche di materie strategiche, a partire dal petrolio, necessario per mantenere alto lo sviluppo. E così si dormiva tranquilli. Ma, mentre si sognava, ci si dimenticava della storia recente: le due guerre mondiali, dalle quali eravamo appena usciti, erano nate in Europa, esportatrice di civiltà, e sono state combattute e volute dalla Germania, la nazione più acculturata e ricca di scienziati; dalla Francia, la patria dei diritti umani; dall’Inghilterra, la culla della democrazia; dall’Italia, giardino dell’umanesimo.
Oggi, nel momento in cui la guerra è ritornata sul suolo europeo, in presenza di armi di distruzione della vita sul pianeta, a partire da quella delle nostre città, ci si domanda, con ansia, come ridurre o abolire la guerra. Qualcuno pensa di potenziare i vincoli giuridici internazionali, che però si sono dimostrati fragili, quando si aveva a che fare con le superpotenze. Riemerge allora l’importanza della dimensione educativa.
Urge un serio impegno educativo, per orientare le forze interiori, disarmare gli impulsi di morte e per far crescere le virtù che costruiscono l’uomo responsabile e costruttore di pace.
Ma la storia insegna che neppure l’educazione risolve la questione della guerra, per il fatto che anche la migliore educazione non riesce a convincere tutti sugli stessi principi, sempre più difficili da condividere e sulle azioni sempre più complesse da intraprendere.
È stato scritto in questi giorni che l’educazione, capace di “vita nuova” è possibile, ma riguarda solo il singolo, e non è sufficiente per la pace nel mondo. Ciò non significa desistere nel seminare ideali di pace perché la loro assenza lascerebbe libero campo alla disastrosa normalità della guerra. Con l’avvertenza che il fondamento più sicuro agli ideali di pace è la fraternità, che va estesa a tutto il creato, già in guerra con noi per come lo stiamo trattando. La fraternità, questa grande realtà, che è un dono ma anche un compito, è il legame che tiene assieme tante forze divergenti e conflittuali, trasformandole in forze convergenti e costruttive. La ricerca della fraternità, se non impedisce i conflitti, li può diminuire e indebolire.
Eppure anche la stessa fraternità, questo fondamento della costruzione della pace, non sempre riesce ad impedire il conflitto, come dimostra l’entrata in società di Caino e Abele. Insomma è, più facile, ieri come oggi, fare la guerra che fare la pace.
La guerra che può portare o almeno avvicinare alla pace è quella che si combatte nelle caverne del cuore dell’uomo, dove, assieme al bene, il male spunta e cresce sotto forma di avidità, aggressività, odio, violenza, utopia, paura.
Pregare per la pace è chiedere anzitutto di non fare mai la pace con l’aggressività che ci abita, di supplicare di liberarci dal Male, di non perdere la fiducia che alla fine tutto andrà bene, dal momento che la Risurrezione è l’ultima parola del Dio della pace sulle incerte e oscure vicende umane.
“Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace”
PIERGIORDANO CABRA