Pangrazzi Arnaldo
Come renderla una presenza alleata
2022/5, p. 35
La solitudine accompagna inevitabilmente le diverse stagioni della vita. Le sue manifestazioni sono a volte opprimenti. Ma, se accolta, aiuta a far luce sui paesaggi interiori, conduce all’introspezione spirituale, e si traduce spesso in espressioni creative.

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LA SOLITUDINE
Come renderla
una presenza alleata
La solitudine accompagna inevitabilmente le diverse stagioni della vita. Le sue manifestazioni sono a volte opprimenti. Ma, se accolta, aiuta a far luce sui paesaggi interiori, conduce all’introspezione spirituale, e si traduce spesso in espressioni creative.
L’epoca storica che stiamo attraversando ha aumentato vertiginosamente il tasso di solitudine sociale. Il covid ha sconvolto le abitudini umane e strapazzato la storia, incurante delle frontiere nazionali, delle culture e razze, delle classi sociali e appartenenze religiose.
Nella sua corsa irrefrenabile il Covid ha sovraccaricato di malati i reparti di terapia intensiva, impedito ai morenti e ai familiari di dirsi addio, riempito di bare i crematori e sottratto ai morti il diritto di essere sepolti dignitosamente.
Lo sconquasso prodotto dal virus ha fortemente accresciuto il tasso di solitudine degli anziani, specie nelle RSA dove le persone sono state private del conforto dei propri cari e sottoposte a lunghi “digiuni affettivi”.
Fiumi di solitudini si sono annidati anche nelle case di tanti nonni, derubati del diritto di vedere e abbracciare figli e nipotini, di vedove rimaste sole all’improvviso, di giovani privati del contatto con gli amici, di volontari impediti di visitare e confortare i malati.
I luoghi tradizionalmente deputati all’incontro comunitario, quali le chiese, i ristoranti, gli stadi e le discoteche sono rimasti vuoti, silenziosi, orfani di umanità.
Questo tempo sarà ricordato nella storia come il tempo del distanziamento sociale, dei contatti mancati, degli addii mai detti.
I diversi volti della solitudine
La solitudine è la condizione di chi è solo e rappresenta uno stato d’animo universale: può avere risvolti curativi e rigeneranti o produrre ripercussioni negative sulla salute psicologica, fisica e mentale.
La solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore” recita una canzone di Sergio Endrigo, a ricordarci che questo sentimento può essere letto in chiave positiva, velato di una dolce nostalgia.
Per comprendere meglio questo stato d’animo occorre tracciare una differenza tra “sentirsi soli” e “stare soli”.
Il “sentirsi soli” è una condizione psicologica, spesso passeggera, prodotta da un distacco, un’incomprensione, una situazione umiliante, una malattia invalidante, un vuoto esistenziale.
Lo “stare soli” è una scelta comportamentale che risponde, spesso, alla necessità personale di ritirarsi dagli altri, cercare spazi di quiete e silenzio per riflettere, ritemprarsi, distanziarsi dal caos esterno e alimentare la propria interiorità.
Pensiamo, ad esempio, al bisogno di stare soli di quanti hanno intensi rapporti con gli altri, quali: psicologi, persone dello spettacolo, insegnanti, conferenzieri, ma anche artisti che necessitano della solitudine per trarne ispirazione o monaci ed eremiti che la cercano per meditare, andare in profondità, nutrire l’anima.
Di conseguenza, c’è chi si sente solo o “un pesce fuor d’acqua” anche in mezzo ad una moltitudine di gente e chi sta benissimo da solo.
G. Leopardi suggerisce che “La solitudine è una lente di ingrandimento: se sei solo e stai bene, stai benissimo; se sei solo e stai male, stai malissimo”.
Jean Paul Sartre indica la radice del problema: “Se ti senti solo quando sei da solo, sei in cattiva compagnia”.
C’è chi teme di restare solo con se stesso in casa e chiama qualcuno che gli stia vicino (dipendenza affettiva); chi si sente solo perché ha difficoltà a capirsi o trova difficile comunicare ciò che prova e trasforma il silenzio in prigione, angustia, noia.
Oggi molti cercano di colmare il vuoto riempiendo il tempo di attività e rumori, ma sono soli dentro; altri sono aggrappati ai cellulari per aumentare i contatti, ma vivono relazioni superficiali e restano alla fine con il vuoto dentro.
Siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma esistenzialmente sempre più soli” (Tonino Cantelmi).
La sfida consiste nel fare pace con se stessi, educarsi a trasformare il senso di solitudine in meditazione, l’assenza di contatti esterni in accresciuta comunione con la natura, con Dio e con la propria interiorità.
Più la persona è capace di stare con se stessa, più impara a stare bene nel mondo.
Sguardi differenziati sulla solitudine
La solitudine è un sentimento naturale, non è sinonimo di disordine o confusione.
Per ognuno i momenti di solitudine possono avere a che fare con delle cause esterne, quali la mancanza di contatti, di legami e relazioni significative. Oppure questo stato d’animo ha delle origini interne e si manifesta come sconforto, percezione di vuoto, assenza di significati, difficoltà a dirsi e a condividere, talvolta sconfinamento nella disperazione.
La solitudine ha significati e tempi critici diversi, a seconda delle circostanze esistenziali che la determinano, quali: giovani isolati, persone abbandonate, vedovi o vedove, anziani soli, persone in lutto.
Cesare Pavese riteneva che “Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri”.
Occorre, pertanto, distinguere tra una solitudine subita, causata dal cordoglio, dall’emarginazione o dal sentirsi dimenticati e inutili, e una solitudine cercata che nasce dal bisogno di pace, di silenzio, di trovare spazio per sé.
Di conseguenza, la solitudine si può dipingere con chiaroscuri diversi: c’è una solitudine nera, che produce vittimismo e depressione; una solitudine arida, che genera malinconia e demotivazione; una solitudine feconda che accende la creatività e l’immaginazione e una solitudine serena che suscita pace e affidamento.
In sintesi, per alcuni la solitudine è solo smarrimento che provoca sterilità; per altri la solitudine è benedizione che produce fecondità e ricchezza spirituale.
La solitudine che opprime
La solitudine che opprime scaturisce dal sentirsi profondamenti soli, senza appartenenze sociali, senza legami intimi, non accolti o ignorati.
A monte, il soggetto manca di fiducia e intraprendenza relazionale, si avverte bloccato nei rapporti interpersonali e opta per l’isolamento, per non sentirsi ulteriormente ferito.
L’accumulo di pensieri e sentimenti negativi, che vanno dall’apprensione alla tristezza, dal senso di colpa alla percezione di vuoto, può intaccare seriamente la salute con una rosa di disturbi.
Tra i problemi di salute fisica, si annoverano:
-indebolimento del sistema immunitario;
-vita sedentaria e obesità,
-malattie cardiache e ipertensione;
-forme tumorali;
-dipendenza dall’alcol e dalla droga.
Tra i problemi di salute mentale, si segnalano:
-disturbi d’ansia e dell’umore;
-sintomi ossessivo-compulsivi;
-abuso di internet e dei social media;
-gioco d’azzardo;
-irritabilità, aggressività;
-depressione;
-comportamenti suicidi.
Ovviamente la consapevolezza di questi sconfinamenti invita chi tende a patire la solitudine ad adoperarsi per contrastare l’emarginazione sociale adottando strategie opportune per prevenire il pericolo di ricadute fisiche e psichiche sulla sua salute.
Percorsi sananti e rigeneranti
La solitudine accompagna inevitabilmente le diverse stagioni della vita fino al morire, evento che anche se circondati dalla presenza di persone amate, resta sempre per l’agonizzante un viaggio misterioso dal tempo all’eternità.
La solitudine nelle sue diverse manifestazioni, se accolta, aiuta a far luce sui paesaggi interiori, conduce all’introspezione spirituale, si traduce spesso in espressioni creative.
Risorse che aiutano a gestire positivamente questo sentimento, includono:
-a livello fisico: fare esercizi, passeggiate, viaggi, curare l’alimentazione e il sonno, la pratica di hobbies;
-a livello cognitivo: la lettura, la frequenza di corsi, lo sviluppo della creatività;
-a livello sociale: contatti attraverso la rete digitale per mitigare l’isolamento, l’inserimento in attività sociali, l’esplorazione del volontariato come opportunità per donarsi agli altri;
-a livello psicologico: imparare a volersi bene, apprendere a elaborare le ferite e le perdite, ascoltare musica rilassante;
-a livello spirituale: aprirsi a Dio e alla preghiera, valorizzare la fragilità, praticare la meditazione.
Una preziosa alleata
Gesù ha sperimentato in occasioni diverse la solitudine, dai giorni della tentazione nel deserto (Mt 4, 1-11) fino alla sua morte.
Tra i momenti cruciali ricordiamo: la fuga dei collaboratori quando vennero a catturarlo “Tutti i discepoli abbandonatolo, fuggirono” (Mt 26, 55-56); l’ora estrema in cui i più intimi lo lasciarono solo: “Li trovò che dormivano: “Non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” (Mt 26, 37-40); sentirsi abbandonato anche dal Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46).
Joseph Campell suggerisce che i momenti oscuri nascondono insegnamenti straordinari: “Le opportunità per scoprire profondi poteri dentro noi stessi vengono quando la vita sembra più impegnativa”.
Per noi pellegrini sulla terra la solitudine può divenire una preziosa compagna di viaggio contribuendo a renderci più presenti, riflessivi e spirituali.
Non deve indurre al pessimismo ma al realismo, dato che custodisce il potere di schiudere ad un contatto più profondo con la propria anima.
P. ARNALDO PANGRAZZI, M.I.