Chiaro Mario
Il dibattito su eutanasia e assistenza al suicidio
2022/5, p. 30
Per comprendere il dibattito sulla recente proposta di legge del Parlamento riguardante le “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” del 2022, occorre prendere come punto di riferimento la legge 219/2017 sul “Consenso informato e Disposizioni anticipate di trattamento” (Dat): questa normativa permette di sospendere i trattamenti ritenuti sproporzionati, prevede l’espressione anticipata delle proprie volontà e la nomina di un fiduciario (in vista di una “futura incapacità di determinarsi”), promuove le cure palliative e il trattamento del dolore. È significativo che dopo due anni dall’approvazione della legge, solo lo 0,7% della popolazione ha scritto le proprie Dat.

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Il dibattito su eutanasia e assistenza al suicidio
Per comprendere il dibattito sulla recente proposta di legge del Parlamento riguardante le “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” del 2022, occorre prendere come punto di riferimento la legge 219/2017 sul “Consenso informato e Disposizioni anticipate di trattamento”(Dat): questa normativa permette di sospendere i trattamenti ritenuti sproporzionati, prevede l’espressione anticipata delle proprie volontà e la nomina di un fiduciario (in vista di una “futura incapacità di determinarsi”), promuove le cure palliative e il trattamento del dolore. È significativo che dopo due anni dall’approvazione della legge, solo lo 0,7% della popolazione ha scritto le proprie Dat.
La sentenza della Corte Costituzionale che depenalizza l’aiuto al suicidio
Il confronto pubblico si è riacceso a causa della vicenda del dj Fabo che, tetraplegico e cieco a causa di un grave incidente stradale, dopo diversi tentativi di cura, esprime la volontà di porre fine alla sua vita. Ciò è avvenuto con l’aiuto di Marco Cappato (membro dell’Associazione Luca Coscioni), che subito dopo si è autodenunciato dando così inizio a un iter giudiziario che è culminato con la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, riguardante l’art. 580 del Codice penale sull’istigazione e l’aiuto al suicidio. La Corte mantiene i due reati, riconfermando l’esigenza di proteggere il bene della vita, soprattutto in condizioni di fragilità. Nel contempo però riconosce che l’evoluzione della medicina determina nuove situazioni riguardo al morire: perciò sentenzia che l’aiuto al suicidio non è per Costituzione punibile quando agevola l’esecuzione di un proposito autonomamente e liberamente formatosi, di una persona (a) tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e (b) affetta da una patologia irreversibile, (c) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Nel contempo, la Corte sollecita il Parlamento a colmare il vuoto legislativo sulla questione.
Il referendum sull’omicidio del consenziente
Un ulteriore passaggio è stato il referendum “Eutanasia legale. Liberi sino alla fine”, promosso dall’Associazione Luca Coscioni sull’art. 579 del Codice penale, che prevede le pene per l’omicidio del consenziente. La richiesta era quella di abrogare le sanzioni che vi sono collegate, salvo nei casi di minore età, infermità mentale o alterazione della coscienza, consenso carpito con l’inganno o estorto con la violenza. Il risultato auspicato era quello di permettere l’omicidio senza subordinarlo ad altre condizioni se non quelle che garantiscono la validità del consenso. I promotori del referendum si sentivano sostenuti dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019. Ma la Corte (sentenza 50/2022) ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. Questa sentenza è coerente con quella già emessa dalla Corte nel 2019: il referendum infatti fa riferimento all’omicidio del consenziente, ovvero alla legalizzazione dell’eutanasia, mentre la sentenza si rifà alla depenalizzazione dell’istigazione o aiuto al suicidio.
La proposta di legge in discussione nel Parlamento
In questa complessa vicenda si colloca oggi la proposta di legge sulla “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” del 2022, in cui si dichiara esplicitamente: «Abbiamo scelto di seguire passo passo le orme tracciate dalla Consulta, perché è l’unica via che può portare all’approvazione». Il testo riconosce non un diritto al suicidio, ma la facoltà di chiedere aiuto per compierlo, a certe condizioni (sono le quattro condizioni riprese, ma anche riformulate con qualche ambiguità, da quanto già disposto dalla sentenza della Corte Costituzionale nel 2019). I trattamenti sanitari di sostegno vitale, da cui il malato dipende, sono un’ulteriore condizione che deve essere presente. Davanti a questa proposta di legge, diversi studiosi paventano quel fenomeno generale indicato come “pendio scivoloso”: si parte considerando casi eccezionali e si includono poi situazioni sempre più diffuse e frequenti. È quanto ci insegnano le esperienze di Belgio e Olanda. Il punto chiave è quello di evidenziare la differenza tra “lasciar morire” e “far morire”.
La posizione della Chiesa
La legge attualmente in discussione, pur non trattando di eutanasia, diverge dalle posizioni del magistero della Chiesa sulla illiceità dell’assistenza al suicidio (cfr. Congregazione per la dottrina della fede, Samaritanus bonus. Sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, 2020; Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, Alla sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena, 2020). Come ricorda papa Francesco, la valutazione di una legge deve tenere conto di un insieme complesso di elementi in ordine al bene comune: «In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte, lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società» (Messaggio ai partecipanti al Meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del «fine vita», 16 novembre 2017).
MARIO CHIARO