Chiaro Mario
Lo spazio di confronto sul “fine vita”
2022/5, p. 29
Un incontro on line a Milano su un tema scottante: “Il dibattito su eutanasia e assistenza al suicidio. Accompagnamento nella sofferenza e cure palliative”. L’incontro è stato promosso dalle Fondazioni Ambrosianeum e Matarelli (31 gennaio 2022).

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
DIBATTITO SULL’EUTANASIA
Lo spazio di confronto sul “fine vita”
Un incontro on line a Milano su un tema scottante: “Il dibattito su eutanasia e assistenza al suicidio. Accompagnamento nella sofferenza e cure palliative”. L’incontro è stato promosso dalle Fondazioni Ambrosianeum e Matarelli (31 gennaio 2022).
Richiamiamo due eventi che negli ultimi tempi hanno innescato il dibattito sulla laicità in Italia: la discussione parlamentare sulla legge De Zan (il nome del suo promotore) sulle “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” e il referendum sul fine vita “Eutanasia legale. Liberi sino alla fine”. In questi contesti si manifesta con sempre più evidenza un’idea neutra di laicità, che finisce per sterilizzare lo spazio del libero confronto in vista di un vero discernimento. Il processo della conoscenza di sé e il fine vita diventano sempre più una cartina al tornasole per verificare lo stato di maturazione della laicità. Dentro queste periferie esistenziali il dialogo dovrebbe essere uno spazio in cui poter accogliere la pluralità e le differenze e iniziare a costruire itinerari comuni possibili.
Con questa consapevolezza mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, nell’introdurre i lavori, ha indicato due atteggiamenti che esigono una vigilanza responsabile di tutti i credenti (preti, esperti, teologi della morale, consacrati/e,) impegnati sui dialoghi sensibili: non cadere nella “sindrome di predestinati alla sconfitta” e rifuggire dalla “tendenza al bizantinismo”. La sindrome consiste nella rassegnazione che si manifesta quando la sensibilità cristiana è vista come una posizione confessionale: in questo caso si tende al compromesso che annacqua l’incidenza dell’annuncio cristiano, per non essere emarginati. Invece la tendenza al bizantinismo giuridico è giocato tutto sulla finezza delle distinzioni che fanno perdere lucidità di giudizio (contrasto al dolore, cure palliative, accanimento terapeutico, accompagnamento alla morte ecc.).
La domanda di morte e le cure palliative
La coordinatrice dell’incontro, prof.ssa Elena Colombetti, docente di filosofia morale, ha indicato alcuni punti fermi: il tema della morte volontaria non coincide con l’eutanasia; la domanda non è sul suicidio, ma sulla sua legittimità, date certe condizioni. La riflessione giuridica, che rimanda a questioni di carattere etico, religioso, filosofico e antropologico, si incentra sul valore dell’esistenza umana e sulla possibilità di ammettere che ciascuna persona si determini secondo la propria identità anche nella fase finale della vita. Va messo in discussione il messaggio ambiguo di una richiesta eutanasica che viene presentata come battaglia di libertà e di civiltà.
Un tema essenziale da maneggiare con cura riguarda in particolare le “cure palliative”. Tali cure sono “in relazione con il fine vita, ma non sono un’alternativa all’eutanasia o al suicidio assistito. Esse non hanno per obiettivo né la guarigione né l’abbreviamento della vita” (prof. Augusto Caraceni, Pontificia Università Gregoriana). All’inglese Cicely Saunders si deve la nascita delle cure palliative moderne a partire dal movimento hospice. Il principio su cui si basa questo movimento scientifico-culturale è che la persona gravemente malata, seppur inguaribile, sia però curabile. La cura viene intesa come prendersi cura della persona nella sua interezza, del suo nucleo familiare e amicale, della complessità dei suoi bisogni in ottica multidimensionale (lavoro in équipe). In Italia sono oggi presenti 300 hospice, che operano secondo la logica dell’accompagnamento dentro e fuori le strutture. Nell’attuale contesto va sottolineata la grande superficialità che si evidenzia nella comunicazione tra medici e i pazienti con i loro familiari. Si constata che tale superficialità finisce per creare negli assistiti una perdita del senso del controllo. Secondo il docente, va chiarito sempre che “la sedazione terminale, la cura del dolore, la sospensione di ciò che non è utile, non hanno nulla a che fare col suicidio assistito”. Le cure palliative sono un modo di farsi carico della persona, che non va abbandonata: questa realtà va fatta conoscere ai cittadini e deve essere concretamente esigibile.
La medicina come pratica di cura
Il gesuita Carlo Casalone, medico e teologo presso la Pontificia Accademia per la Vita, ha portato il ragionamento sui due corni del problema: la ricerca di ciò che è buono e la ricerca di ciò che è giusto, senza cadere nel dualismo. A questo livello si manifesta l’esigenza che tutte le posizioni culturali dialoghino con la logica del soggetto. C’è una relazione circolare tra etica e diritto, mediata dal costume sociale condiviso. Si tratta di cercare il bene comune tutelando il pluralismo delle diverse visioni del mondo. Per quanto riguarda la medicina odierna, si notano alcune sue caratteristiche: “si concentra sull’organismo” (le funzioni del corpo) e “sposta il suo limite sempre più in avanti”, con la logica di non ostacolare il progresso scientifico. Certo, viviamo più a lungo, ma questo porta a un allungamento del tempo di gestione della malattia stessa. “Si insiste sulla cura anche quando non si può più guarire”. Secondo il teologo, la medicina oggi è chiamata a recuperare la sua vocazione che consiste nella “pratica di cura”. Esattamente in questa cultura si innesta la testimonianza della Chiesa, che legittimamente partecipa al dibattito pubblico sul tema della vita. L’atteggiamento dei credenti in questo campo deve essere quello di chi non possiede una verità assoluta, ma di chi si sente parte della società civile. Con questo stile i credenti “portano la comprensione dell’umano che emerge dal Vangelo”.
Le istanze del dibattito odierno riguardano il diritto di non soffrire e l’auto-determinazione sul proprio corpo. Dietro tutto questo emerge l’interpretazione della libertà che avviene solo nel contesto delle relazioni. Ricordiamo infatti che per venire al mondo non ci è stato chiesto un “consenso informato”! Quindi la libertà di ciascuno si esercita in quanto ricevuta. La libertà insomma richiede “interdipendenza”, si attua dentro questo “contenitore”. Per questo motivo il tema del consenso non basta ad affrontare le relazioni di reciproca fiducia. Si noti che crescono nel mondo i casi di “eutanasia involontaria”, con una sedazione palliativa senza il consenso del paziente. Per esempio, nei paesi del Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) proprio nel nome dell’autodeterminazione si comprime l’esercizio effettivo della libertà, soprattutto per le persone più vulnerabili.
Secondo p. Casalone, con una legislazione “intelligente” si può arginare la “deriva eutanasica” scaturita dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019, da cui però non si può recedere.
Il dialogo sul bene comune
In questo processo i credenti non devono cadere nella negoziazione e nel mercanteggiamento. Se si cerca il minor male possibile, ci si espone al ricatto. Su questa linea si è espresso papa Francesco nel suo discorso al V Convegno nazionale di Firenze nel 2015: «Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune… Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo…. La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia».
Nel complesso, dall’incontro su eutanasia e assistenza al suicidio, accompagnamento nella sofferenza e cure palliative, si conferma che viviamo in una società che mette a continuo confronto i credenti cattolici e di altre fedi, gli atei e gli agnostici. Per questo motivo serve un contesto che alimenti l’incontro delle diverse appartenenze e identità. In particolare c’è bisogno di un riconoscimento reciproco per comporre il linguaggio scientifico e giuridico con le proposte che danno un orizzonte di senso per la vita.
MARIO CHIARO