GORDO JESUS MARTINEZ
Una riforma della Curia con il coinvolgimento dei laici
2022/5, p. 5
La Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium” è un magnifico lavoro, caratteristico di un artista – o équipe di artisti, attenti alle linee raffinate. Niente a che fare con degli imbianchini. Questa prima impressione non sorprende, tenendo conto dei nove anni che ci sono voluti per elaborarla e, ritengo, degli innumerevoli ritocchi ed emendamenti, alcuni dei quali sono avvertibili nell’incrocio dei linguaggi che il testo attraversa, dall’inizio alla fine: teologico, ecclesiologico, spirituale, pastorale e, soprattutto, a partire dal capitolo terzo, quello giuridico e organizzativo.

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PRAEDICATE EVANGELIUM
Una riforma della Curia
con il coinvolgimento dei laici
La Costituzione Apostolica "Praedicate Evangelium" è un magnifico lavoro, caratteristico di un artista - o équipe di artisti, attenti alle linee raffinate. Niente a che fare con degli imbianchini. Questa prima impressione non sorprende, tenendo conto dei nove anni che ci sono voluti per elaborarla e, ritengo, degli innumerevoli ritocchi ed emendamenti, alcuni dei quali sono avvertibili nell'incrocio dei linguaggi che il testo attraversa, dall'inizio alla fine: teologico, ecclesiologico, spirituale, pastorale e, soprattutto, a partire dal capitolo terzo, quello giuridico e organizzativo.
Chi legge la Costituzione apostolica troverà un testo molto ben ponderato e meglio formulato di cui, esagerando, si potrebbe dire che non manca né è superflua una sola virgola. Si tratta, inoltre, di un documento, che vi consiglio di leggere con calma, soprattutto i capitoli primo (il Preambolo) e secondo (che tratta dei Principi e Criteri). Già nel numero con cui inizia il Preambolo affiorano alcune verità che, evidentemente, finora non sono state molto usuali in vari ambienti teologici, spirituali ed ecclesiali: la predicazione del Vangelo del Figlio di Dio, Cristo Signore, passa attraverso la testimonianza – con la parola e le opere – della misericordia che la stessa comunità cristiana ha ricevuto gratuitamente sull'esempio del Nostro Signore e Maestro, lavando i piedi ai suoi discepoli. Ciò significa che la Chiesa è chiamata a inserirsi nella vita quotidiana degli altri, accorciando le distanze, assumendo la vita umana e toccando la carne sofferente di Cristo nella gente. Ed è così che il popolo di Dio adempie al mandato del Signore che ci invita a prenderci cura dei fratelli e delle sorelle più deboli, malati e sofferenti.
E lo stesso si deve dire dei passaggi riguardanti la conversione missionaria di tutta la Chiesa, mistero di comunione; o la sinodalità, vissuta e intesa come "ascolto reciproco" tra "il popolo fedele, il Collegio Episcopale e il Vescovo di Roma". E, allo stesso modo, dei singoli Vescovi di cui si dice che rappresentano le loro rispettive Chiese «e tutti, insieme con il Papa, la Chiesa universale in un vincolo di pace, amore e unità» (n. 6). E, anche, ciò che si può leggere sulle Conferenze Episcopali quando sostiene che esse costituiscono attualmente uno dei più significativi mezzi di espressione e di servizio alla comunione ecclesiale che è necessario accrescere nella loro potenzialità. Nei loro riguardi, si sottolinea, che la Curia Vaticana non deve «fungere da interposizione” (n. 9) fra il Romano Pontefice e i Vescovi), ma come servizio (n. 8).
Devo dire che è stato per me particolarmente piacevole leggere tutti questi punti (e altri di analoga rilevanza); diversi dei quali sono stati oggetto di non pochi dubbi e di contorte re-interpretazioni nel postconcilio.
Ma, lasciando ad altro tempo una possibile analisi più approfondita, vorrei offrire un commento urgente su due punti emersi leggendo questa Costituzione apostolica: il primo, riguarda la capacità governativa e magisteriale dei laici e, il secondo, (che rimane per una consegna successiva) sulla riforma della Curia vaticana e sul suo stretto legame con ciò che papa Francesco intende e promuove come "conversione del papato".
Un primo passo per superare l'"infarto teologico" della sinodalità
Ho l’impressione che i commenti al numero 10 del Preambolo e al numero 5 della sezione riguardante i Principi e Criteri richiederanno fiumi di inchiostro. Stanno già comparendo, prima ancora di aver avuto il tempo di fare una lettura più pacata dell'intera Costituzione.
Nel numero 10 del Preambolo, papa Francesco sostiene che la riforma della Curia deve «prevedere il coinvolgimento dei laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità». Una tesi sorprendente sottolineata più avanti, al numero 5 della sezione dedicata ai Principi e Criteri, dove afferma che «qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo» tenuto conto che «ogni Istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale».
Si tratta, come si vede, di una chiara e forte affermazione su cui, tra gli altri, si sono incaricati di fare chiarezza Gianfranco Ghirlanda, professore emerito della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana; il cardinale Marcello Semeraro, attuale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e il segretario del Consiglio cardinalizio, Marco Mellino.
È fuor di dubbio, ha spiegato G. Ghirlanda, che è un bene che ci siano dei laici nei Dicasteri come quello dei Laici, la Famiglia e la Vita. Ma non si può ignorare che questa Costituzione Apostolica non abroga il Codice di Diritto Canonico quando stabilisce «che i chierici devono decidere sulle materie che riguardano il clero». Tale sarebbe il caso dei Dicasteri dei vescovi, dei sacerdoti e del culto, sollecitati ad avere a capo di essi dei ministri ordinati. Questa osservazione, come indicato più avanti, non pregiudica la tesi centrale della nuova Costituzione apostolica (“i laici hanno lo stesso potere vicario delle persone consacrate”), ma attira l'attenzione sulla necessità di articolare “l'uguaglianza fondamentale tra tutti i battezzati” con la “distinzione e complementarietà”.
Cosa c’è in gioco in questa affermazione pontificia sul coinvolgimento dei laici nelle funzioni di governo e responsabilità e nelle sfumate considerazioni, tra l'altro, di Gianfranco Ghirlanda?
In breve: la questione del “plus” di potere che viene conferito al battezzato mediante il ministero ordinato. Immagino che papa Francesco abbia appena aperto, come gli piace dire, un “processo” sul cosiddetto “plus” di potere; riservato, finora esclusivamente, al ministero ordinato sia nel governo che nel magistero della Chiesa. E penso che lo faccia partendo da una massima che, tradizionale nella Chiesa, è stata a lungo dimenticata: "ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti", non solo dai ministri ordinati: vescovi, sacerdoti e diaconi. Sarà necessario discutere e, naturalmente, aggiornare debitamente, l'appropriazione del “potere” nella Chiesa da parte del ministero ordinato. E dovremo addentrarci in queste strade, rimuovendolo dal suo quadro tradizionale di comprensione e di esercizio, assolutista e autoritario, a favore di un altro corresponsabile e sinodale.
In concreto, credo che ciò voglia dire che occorre offrire spiegazioni, teologicamente e dogmaticamente fondate, sul perché uomini e donne laici possono intervenire nel governo e magistero della Chiesa per "partecipazione " all'autorità o potere del ministero che, cristologicamente, è proprio dei ministri ordinati: è il Signore – si sostiene da secoli – che li "sceglie e designa", affidando loro "dall'alto" i compiti che, "riconosciuti e adempiuti" nel suo nome, corrispondono loro esclusivamente , grazie al sacramento dell'Ordine. Perciò ai laici – e, in particolare, al ministro laico – spetta solo "collaborare più direttamente all'apostolato della gerarchia", chiarendo bene che il loro compito "non deve essere globale".
Diversamente da questa interpretazione tuttora molto usuale, anche negli ambienti ecclesiali progressisti – nel Vaticano II, assieme a questo modello di appropriazione della radice cristologica della ministerialità (e della ecclesiologia e modo di governo che essa sponsorizza), ne esiste un altro, che fonda la “partecipazione” dei laici alla direzione della Chiesa, non nel ministero ordinato, ma nel sacerdozio di Cristo (LG 10).
Pertanto, la nozione di “partecipazione” ha due significati: o come dipendenza dei laici dal clero in una ecclesiologia gerarchica o come articolazione strutturante all'interno di una partecipazione congiunta – corresponsabile e sinodale – di tutti i battezzati (compresa quella differenziata dal sacramento dell'Ordine) nella triplice funzione della celebrazione, dell’insegnamento e anche del governo.
Nel Vaticano II troviamo un doppio modello ecclesiologico, ministeriale, magisteriale e governativo: uno, gerarchico e segnatamente clericale. E un altro, molto promettente, quando chiarisce il fondamento cristologico dei "tria munera" (parola, santificazione e governo) e, concretamente, il sacerdozio comune dei fedeli: questo non è per partecipazione del sacerdozio ministeriale, ma del sacerdozio di Cristo.
Come è noto, nel periodo postconciliare abbiamo assistito ad uno stallo – e successiva dimenticanza – di questo secondo modello. È ciò che, prima, ho definito "infarto teologico" del Concilio Vaticano II secondo cui è più importante la "collaborazione" con il ministero ordinato che la "partecipazione" al governo e al magistero ("regalità”), conferita da Cristo nel battesimo.
L'esperienza delle équipe ministeriali della diocesi di Poitiers (1994-2011), in sintonia con molte chiese del Terzo Mondo, continua ad essere referenziale allo sviluppo postconciliare di questo modello. E, con esso, a una necessaria revisione dell'identità e della spiritualità del ministero ordinato che, in quell'occasione, fu accompagnato da Ch. Theobald e silurato, nelle sue implicazioni e conseguenze organizzative, durante il pontificato di Benedetto XVI; di certo, con la sua acquiescenza.
Ma questo è un vento dello Spirito molto difficile da placare; e, meno ancora, da far tacere. Lo testimonia, ad esempio, la recente nomina di un laico, di una religiosa e di un diacono a "rappresentanti del vescovo" (i cosiddetti "vicari") nei rinominati "territori pastorali" (le vecchie “vicarie”) nelle diocesi svizzere di Losanna, Friburgo e Ginevra su iniziativa del loro arcivescovo, Charles Morerod; un perfetto anticipo penso, – perché non gli è mancato il coraggio evangelico – di questa Costituzione Apostolica; almeno su questo punto.
C'è una seconda questione di fondo che la lettura di questo testo mi pone e che lascio ad un altro momento: fino a che punto questa riforma della Curia è – in sintonia con la "conversione del papato" guidata da papa Bergoglio - più corresponsabile che collegiale o primaziale? Prevedo già che Francesco stia facendo dei passi in questa direzione, ma, a mio parere, si tratta di un "processo" che, a seconda di come lo si guarda, è percepito come molto lento ed eccessivamente collegiale e poco corresponsabile; almeno, da buona parte dei cristiani dell'Europa occidentale. Ma anche smisurato da altri settori. Comincio a sospettare che si tratti di un compito che supera il papato stesso e che, fra non molto, dovrebbe portare alla convocazione e alla celebrazione di un Concilio Vaticano III per affrontarlo; unico modo per valutare e affrontare la minaccia di scisma che le minoranze ecclesiali amano ventilare.
JESUS MARTINEZ GORDO