Verde Danilo
La funzione terapeutica del Salterio
2022/4, p. 3
I Salmi hanno senz’altro aiutato il popolo d’Israele a trasformare il caos generato dai traumi individuali e collettivi, organizzandolo attraverso il potere terapeutico della parola indirizzata a qualcuno, YHWH, l’unico che per l’Antico Israele poteva offrire un limite e una speranza al dolore.

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La funzione terapeutica del Salterio
I Salmi hanno senz’altro aiutato il popolo d’Israele a trasformare il caos generato dai traumi individuali e collettivi, organizzandolo attraverso il potere terapeutico della parola indirizzata a qualcuno, YHWH, l’unico che per l’Antico Israele poteva offrire un limite e una speranza al dolore.
I Salmi hanno indubbiamente aiutato il popolo d’Israele ad affrontare i traumi nella preghiera piuttosto che negarli e, allo stesso tempo, a dare loro un senso. I Salmi non sono stati scritti e tramandati solo per guarire, ma anche per ferire profondamente i lettori. O forse, per meglio dire, se scopo terapeutico c’è stato, esso è passato attraverso la dilatazione delle ferite e persino attraverso la creazione di ferite nuove, incidendo - come è il caso della distruzione del regno di Giuda operata dai Babilonesi nel VI secolo a.C. - nel cuore dell’identità collettiva del popolo d’Israele durante il periodo post-esilico.
Mi soffermo qui sul ruolo svolto dai lamenti comunitari nel plasmare il trauma culturale di Giuda in epoca persiana (550–330 a.C.), e più precisamente sui lamenti comunitari dei libri II e III del Salterio (42–72 e 73–89), cioè Pss 44, 60, 74, 79, 80, 83, e 89,39–52, poiché ci sono buone ragioni per ritenere che il processo di composizione di queste due raccolte sia quanto meno iniziato proprio nel periodo persiano. Alcuni di questi Salmi, considerati individualmente, possono certamente essere datati in periodi storici precedenti. Tuttavia, la ricerca esegetica suggerisce (in modo convincente a mio avviso) che essi sono stati collegati alla catastrofe babilonese dagli editori dei libri II e III del Salterio.
La ricerca suggerisce inoltre che le metanarrazioni per la formazione dei traumi culturali contengono tre elementi principali, la natura del dolore, cioè “cosa è successo”, la natura delle vittime, cioè chi sono e la loro relazione con il pubblico più ampio, e l’attribuzione di responsabilità.
La natura del dolore
Quando leggiamo i Salmi di lamentazione comunitaria non possiamo non notare che la sconfitta militare subita da Giuda e l’assedio sono molto più in primo piano dell’esilio. Fatta eccezione per Sal 44,12, che potrebbe alludere all’esilio, questi Salmi si concentrano chiaramente sull’assalto militare attraverso il quale gli oppressori babilonesi rasero al suolo il santuario e la città di Gerusalemme. I lamenti comunitari non si perdono in troppi dettagli quando descrivono l’accaduto; piuttosto, sembrano insistere sul fatto che cadere nelle mani dei babilonesi ha contraddetto l’identità collettiva di Israele, ed è proprio questo che rende un evento “traumatico”. Secondo la metanarrazione di questi Salmi, l’evento traumatico ha creato una discrepanza tra chi Israele è (o dovrebbe essere) per Dio, e ciò che Israele è effettivamente diventato. Se YHWH decidesse di non intervenire, non solo le convinzioni religiose delle vittime sarebbero contraddette, ma la stessa identità di Israele, il senso collettivo del Noi, si disintegrerebbe.
Inoltre, quando leggiamo i lamenti comunitari all’interno dei libri II e III del Salterio, sembra che gli editori abbiano cercato di fornire una motivazione per spiegare la natura della catastrofe, suggerendo che il peccato del popolo sia stata la ragione ultima della catastrofe. Si aggiunga, che il giudizio di Dio contro Israele occupa un gruppo di cinque Salmi (Salmi 77–81) all’interno del terzo libro, rendendo la colpa di Israele uno dei temi principali di questa sezione del Salterio. Gli editori di queste porzioni del Salterio hanno fatto del tema del peccato di Israele e della necessità del pentimento il nucleo centrale del secondo libro del Salterio, ponendo i salmi 50 e 51 al centro di questa collezione. Fatta eccezione per il Sal 79,8–9, quindi, il nesso peccato-catastrofe nazionale non appartiene alla prospettiva dei lamenti comunitari individualmente considerati, ma emerge chiaramente dal lavoro degli editori di queste porzioni del Salterio. Inoltre, i redattori hanno indicato una via molto concreta da seguire per far sì che quello che era successo non accadesse di nuovo, cioè pentirsi dei peccati. Attraverso l’indicazione del pentimento come via da seguire, i redattori hanno fatto in modo che la comunità riprendesse in mano le redini del proprio destino e assumesse potere e controllo sul caos generato dal trauma.
La natura delle vittime
Questi Salmi si concentrano sempre sulla tragedia che ha colpito l’intera collettività. Sentiamo alcune voci individuali prendere la parola in questi Salmi, ma le loro esperienze sono sempre innestate nell’esperienza della comunità. Particolarmente interessante a questo proposito è il Salmo 89, che inizia con una voce individuale al v. 2, lodando YHWH per la sua fedeltà fino al v. 38. Sebbene sia pronunciato da una voce individuale, la parte iniziale del Sal 89 evoca l’intera comunità in più occasioni. È vero che quando il lamento vero e proprio inizia nel v. 39 il Salmo si concentra sulla sconfitta e l’umiliazione di un individuo, il re Davide, che è al centro dell’intera composizione. Tuttavia, il Salmo 89 sottolinea che ciò che è accaduto a Davide ha colpito l’intera nazione. I confini tra la dimensione individuale e quella collettiva della catastrofe si fanno particolarmente confusi nei vv. 41–42. Vale la pena notare che in questi versetti l’unica descrizione che può applicarsi a una persona è l’ultima, mentre il resto di questi versetti descrive le condizioni di una città assediata. In altre parole, Davide e la città (il suo popolo) si fondono nella stessa immagine, la sconfitta privata del re e la catastrofe nazionale si sovrappongono, dando forma a una sorta di immagine figura-sfondo. Questo modo di intrecciare sofferenza individuale e collettiva, che abbiamo già visto nel Salmo 102, era probabilmente una strategia retorica che mirava a collegare l’esperienza dei singoli, che pregavano con questi Salmi, all’esperienza della nazione, legando i membri della collettività attraverso il loro comune dolore, e diffondendo il senso collettivo di appartenere alla stessa nazione ferita.
L’attribuzione della responsabilità
La separazione tra noi, le vittime, e loro, gli oppressori, è molto netta. Nabucodonosor II non viene mai chiamato per nome e nemmeno Babilonia. Si potrebbe obiettare che ciò dipende dal fatto che questi Salmi non furono originariamente scritti per rappresentare l’attacco babilonese, e forse questo è vero, almeno per alcuni dei lamenti comunitari. Un’altra possibile spiegazione è che si tratti di un caso biblico di damnatio memoriae, volto a cancellare i nomi degli oppressori, come YHWH ha comandato di fare con il nome di Amalek in Dt 25,17–19. O forse, tralasciando i nomi degli oppressori, l’intento era di conferire alle vicende babilonesi una sorta di valore metastorico per le vittime di tutti i tempi, nel tentativo consapevole di imprimere quella catastrofe passata nel presente e nel futuro della comunità.
Un oppressore, tuttavia, viene costantemente nominato, per così dire, e questo è YHWH. Le accuse a YHWH sono innumerevoli: alla fine è lui il vero carnefice. Questa comprensione teologica del divino come allo stesso tempo il salvatore e il carnefice, sembra essere stata percepita come troppo inquietante dagli editori del Salterio. La già citata insistenza sul tema del pentimento nel II libro del Salterio e le parole di giudizio nel III libro sembrano riflettere i tentativi dei redattori di salvare YHWH dalla colpa, attribuendo la responsabilità alla cattiva condotta del popolo.
In sintesi, i Salmi della lamentazione comunitaria nei libri II e III del Salterio condividono la stessa metanarrazione della distruzione babilonese, sia nel senso di rendere memorabile quanto accaduto, sia nel senso di imprimere quel trauma nella coscienza delle generazioni successive, creando dunque quello che oggi alcuni sociologi chiamano trauma culturale.
Conclusione
Approcciare i Salmi dalla prospettiva dell’ermeneutica del trauma può certamente portarci a leggere queste composizioni come “terapeutiche”, cioè come testi attraverso i quali sia i salmisti che i primi destinatari – così come coloro che continuano a pregare con queste poesie – potevano far fronte a tragedie collettive e guarire dalle loro ferite. Allo stesso tempo, tuttavia, questa chiave di lettura può farci trascurare un altro aspetto importante, ovvero la misura in cui i testi biblici in generale e i Salmi in particolare siano stati volutamente traumatizzanti, cioè composti e redatti non solo per guarire ma anche per ferire la collettività, mantenendo viva la memoria dei traumi del popolo. La questione rimane se noi, lettori dei Salmi, siamo disposti a lasciare, come direbbe Ungaretti, che il sangue dei nostri morti non cessi di scorrere nelle nostre vene. Chissà che una guarigione più profonda non avvenga.
DANILO VERDE