Verde Danilo
Il trauma individuale, collettivo e culturale nel libro dei Salmi
2022/4, p. 1
Continuiamo a dar conto del tradizionale Convegno organizzato dalla CISM, dall’USMI e dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei sul tema “C’è dell’oro in queste ferite. Traumatizzati o trasformati? La Vita Consacrata durante e dopo il Covid-19”, tenutosi a Collevalenza dal 15 al 19 novembre 2021, presso la Casa del pellegrino-Santuario dell’Amore misericordioso. In particolare, in queste pagine presentiamo una nostra riduzione della impegnativa relazione del teologo e biblista Danilo Verde, che – dopo aver spiegato che cosa la letteratura specializzata intenda per trauma individuale, collettivo e culturale – ha riletto il Salterio alla luce di questi concetti.

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Il trauma individuale, collettivo e culturale nel libro dei Salmi
Continuiamo a dar conto del tradizionale Convegno organizzato dalla CISM, dall’USMI e dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei sul tema “C’è dell’oro in queste ferite. Traumatizzati o trasformati? La Vita Consacrata durante e dopo il Covid-19”, tenutosi a Collevalenza dal 15 al 19 novembre 2021, presso la Casa del pellegrino-Santuario dell’Amore misericordioso. In particolare, in queste pagine presentiamo una nostra riduzione della impegnativa relazione del teologo e biblista Danilo Verde, che – dopo aver spiegato che cosa la letteratura specializzata intenda per trauma individuale, collettivo e culturale – ha riletto il Salterio alla luce di questi concetti.
[...] Leggere i Salmi alla luce della categoria del trauma è in realtà un’impresa molto complessa, che richiede prudenza e rigore. Nel tentativo di identificare Salmi di trauma occorre mantenere una netta distinzione tra l’io che parla nei Salmi (cioè la voce lirica) e l’io degli autori originari (cioè i salmisti). Inoltre, dobbiamo adottare una definizione di Salmi di trauma che indirizzi la nostra attenzione verso i testi dei Salmi (l’unica cosa che possiamo veramente osservare!) piuttosto che verso l’irraggiungibile psiche dei molti autori e redattori all’origine dei testi che compongono il Salterio biblico.
Tale definizione può essere formulata come segue: i Salmi di trauma non sono Salmi che rispecchiano il trauma dei salmisti (gli autori), bensì Salmi la cui voce lirica mette in scena ciò che oggi chiamiamo trauma, vale a dire esperienze limite, che creano un danno profondo all’individuo, alla collettività o a entrambi, e che lasciano le vittime nell’impotenza e nella disperazione. Diversi Salmi contengono questi tre elementi, che sono particolarmente evidenti nei Salmi 6, 22, 31, 35, 38, 44, 60, 69, 74, 77, 79, 80, 83, 88, 89,39–52, 102 e 137. Ciò non significa che rappresentazioni di ciò che chiamiamo trauma non possano essere trovate anche in altri Salmi. Tuttavia, a mio avviso questi Salmi sono particolarmente rappresentativi di quella che possiamo chiamare poesia biblica sul trauma. Alcuni di questi Salmi mettono in scena un trauma individuale (Salmo 88), mentre altri mettono in scena traumi nazionali (Salmo 74). In altri ancora (Salmo 102) la dimensione collettiva e individuale si intrecciano.
Salmo 88: «Mi fanno compagnia soltanto le tenebre»
Il Salmo 88 è uno dei Salmi più bui e drammatici dell’intero Salterio, un Salmo in cui vediamo rappresentata un’esperienza che richiama ciò che oggi chiameremmo trauma individuale. Il discorso si sviluppa attraverso tre parti principali (vv. 2–10a; 10b–13; 14–19): dopo aver descritto la sua profonda angoscia, sottolineando che i suoi guai provengono dall’ira di Dio (vv. 2–10a), al v. 10b la vittima indica la sua continua preghiera (vedi anche v. 2), e pone a YHWH una serie di domande retoriche (vv. 11–13) tese a convincere Dio ad intervenire; al v. 14, il discorso inizia nuovamente con un riferimento alla preghiera della vittima e procede attraverso altre domande (v. 15), le quali esprimono lo sgomento della vittima dinanzi ad un Dio che apparentemente ha deciso di abbandonare l’orante alla morte; infine, i vv. 16–19 (come vv. 2–10) descrivono vividamente l’angoscia della vittima, insistendo sulla rabbia di Dio come la ragione ultima della sofferenza.
Il Salmo 88, dunque, non tratta di una generica esperienza di sofferenza; piuttosto, esprime un’esperienza limite di vicinanza alla morte. La vittima si trova in una situazione paradossale: il suo destino di salvezza è riposto nelle mani del suo carnefice, YHWH. L’ultima parola con cui il Salmo si chiude è degna di particolare nota: le tenebre (un tema che ricorre in molti modi lungo l’intero Salmo). Questa è l’esperienza della vittima: dolore, mancanza di luce e dunque di comprensione e prospettive, paura, vulnerabilità. È l’anticamera della morte. Ma questa è anche l’esperienza in cui il lettore viene immerso. Non c’è guarigione all’orizzonte, né per la vittima, né per il lettore. C’è solo il buio, in cui il lettore inevitabilmente sprofonda insieme alla vittima.
Salmo 74: «Non ci sono più profeti...»
Nel Salmo 74, che è probabilmente una preghiera post-esilica che parla dell’assedio babilonese del 587, troviamo rappresentata una vera e propria catastrofe nazionale o quello che oggi chiameremmo trauma collettivo.
Questo lamento nazionale è un vero e proprio poema di guerra, che esprime l’esperienza collettiva di Israele di essere devastato dai Babilonesi, i quali riuscirono a colonizzare e distruggere violentemente la comunità di Israele (vv. 10 e 20). Dopo aver deplorato la distruzione del Tempio e accusato Dio di essere responsabile di questa calamità nella prima parte (vv. 1b–11), nella seconda parte (vv. 12–17) segue un inno di proclamazione della regalità di Dio. Una terza parte (vv. 18–23), contenente una catena di suppliche a YHWH, conclude il Salmo.
Il Salmo 74 si concentra principalmente sulla distruzione del Tempio (vv. 2–8), che notoriamente era molto più di un edificio per il culto: era il simbolo principale dell’identità nazionale di Israele e il segno concreto dell’alleanza tra Israele e YHWH, che si pensava abitasse in esso. La sua distruzione, quindi, ha profondamente compromesso i principi fondamentali della fede di Israele, la percezione che Israele aveva di sé come popolo scelto da YHWH, il senso stesso di ciò che Israele era o avrebbe dovuto essere. Non solo il Tempio viene distrutto e il popolo conquistato, ma lo stesso YHWH sembra essere sconfitto e deriso (vv. 10, 18–23).
Le vittime appaiono chiaramente come sopraffatte specialmente dalla sensazione inquietante di non avere futuro. L’abbandono di YHWH può essere per sempre (v. 1), le rovine sembrano perpetue (v. 3), nessuno sa se la situazione attuale cambierà mai e per quanto tempo dureranno la tragedia (vv. 9 e 10) e l’oppressione (v. 19). È una umiliazione che si vive tutto il giorno (v. 22), senza che il frastuono degli avversari accenni a fermarsi (v. 23). Le passate azioni salvifiche di YHWH sembrano scomparse (vv. 12–17), e il presente è abitato solo dalla violenza (v. 20). Certo, si dirà, il fatto che le vittime si rivolgano a YHWH nella preghiera è indice della loro fede e della lora speranza: pur in mezzo alla catastrofe, le vittime trovano ancora la forza di rivolgersi al loro salvatore. Il problema è che se il salvatore è anche il carnefice, la salvezza è tutt’altro che scontata. Che cosa ne sarà delle vittime? Saranno salvate, come la narrazione tradizionale su YHWH afferma, oppure saranno stritolate come l’esperienza quotidiana sembra suggerire? Anche il Salmo 74 immerge il lettore nel trauma delle vittime.
Salmo 102: «L’ora è venuta!»
Questa composizione post-esilica contiene tre parti principali: un lamento di un individuo (vv. 2–12), un inno riguardante Sion (vv. 13–23), e un altro lamento individuale (vv. 24–29). Data l’incongruenza tra i singoli lamenti e il discorso su Sion, e data la presenza di materiale divergente come sequenze inniche (v. 13, 26–28) e sequenze della tradizione profetica e sapienziale (14–23, 29), molti biblisti sostengono che si tratta probabilmente di una lamentazione individuale che in un secondo momento sarebbe stata ampliata e adattata in senso collettivo per l’uso liturgico e comunitario.
Le due sezioni del lamento (vv. 2–12 e 24–29) sono pronunciate da un individuo, che descrive il completo annientamento della propria persona. Le ossa (v. 4), il cuore (v. 5) e la pelle (v. 6) sono profondamente compromessi, e l’intera vita è prossima alla fine (vv. 4, 12, 24, 25). Una cascata di metafore molto drammatiche segna la prima sezione, raffigurando una persona vicina alla morte, abbandonata e senza speranza. La vicinanza della vittima alla morte si evince anche dalla perdita di appetito (v. 5), mentre la menzione del pane di polvere e del calice di lacrime nel v. 10 si riferisce probabilmente ad antiche usanze di lutto e rituali di penitenza, implicando un certo senso di colpa. Questo è confermato da quanto segue immediatamente al v. 11, che attribuisce la responsabilità di tante sofferenze all’ira di YHWH: la vittima si sente come se Dio l’avesse sollevata e scaraventata via. La stessa attribuzione di responsabilità a YHWH si trova anche nel v. 24, in cui si dice che Dio ha spezzato le forze della vittima e ha inteso porre fine alla sua vita (v. 25). Il contrasto tra l’eternità di Dio e la dimensione transitoria del cosmo nei vv. 26–28 sottolinea da un lato la travolgente maestà di YHWH e, dall’altro, l’assoluta arbitrarietà del comportamento di Dio. Anche se il trono di Dio (alias Gerusalemme e il suo Tempio) è stato distrutto, YHWH è pur sempre il re dell’universo e il suo dominio è incrollabile (v. 13). Questo porta a supplicare YHWH di cambiare la misera condizione del suo popolo: adesso basta, è giunto il momento! (v. 14). La salvezza deve ancora essere sperimentata dalla vittima, ma inserendo la sessione riguardante il futuro glorioso di Sion, i redattori fanno intravedere al lettore il giorno in cui YHWH avrà finalmente riguardo per gli indigenti (v. 18), il prigioniero (v. 21) e il condannato a morte (v. 21), e il giorno in cui gli oppressori finalmente si sottometteranno a Dio (vv. 16, 23) e loderanno Gerusalemme (v. 22).
Intrecciando l’esperienza individuale della vittima con l’esperienza futura di Sion, i redattori probabilmente miravano a rafforzare la speranza e la fiducia dei membri dell’antica comunità di Israele, che avrebbero pregato con questo Salmo: se il destino di Sion rispecchia il destino dell’individuo, come sembrano voler suggerire i redattori di questo Salmo, l’individuo immerso nelle tenebre del proprio dolore può vedere la propria liberazione nella futura salvezza di Sion e, quindi, può prevedere la propria liberazione nella liberazione di Gerusalemme.
DANILO VERDE