Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2022/4, p. 36
Calcutta: Sr. Joseph nuova superiora delle Missionarie della Carità Spagna: Beatificazione di 16 martiri Africa: Il Papa in Congo e Sud Sudan dal 2 al 7 luglio Svizzera: Prima Messa dalla Riforma celebrata nella cattedrale di Ginevra

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Testimoni
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Calcutta
Sr. Joseph nuova superiora delle Missionarie della Carità
Sr. M. Joseph Michael, 68 anni, indiana, è la nuova superiora delle Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa. È stata eletta dal Capitolo generale delle religiose riunitosi nella casa madre di Calcutta. Prende il posto di sr. Prema, la suora di origini tedesche che ha guidato per due mandati le Missionarie della Carità dal 2009 ad oggi. Sr. Joseph diventa così la quarta suora chiamata a guidare le suore con il sari bianco e azzurro, note in tutto il mondo per la loro presenza accanto ai più poveri. Dopo Madre Teresa di Calcutta, fondatrice delle Missionarie della Carità morta nel 1997, a guidare la congregazione era stata chiamata la nepalese suor Nirmala Joshi, a cui si deve anche la fondazione del ramo contemplativo delle suore.
Sr. Joseph diventa dunque la prima indiana a ricoprire l’incarico di superiora generale. Originaria di Thrichur in Kerala è entrata tra le Missionarie della Carità a 20 anni ed è stata tra le più strette collaboratrici di Madre Teresa. Ha svolto il suo servizio apostolico anche nelle Filippine, in Polonia e in Papua Nuova Guinea. Attualmente viveva presso lo Shishu Bhavan (la casa di accoglienza per i bambini) di Ernakulam, dove era superiora delle Missionarie della Carità per il Kerala. In precedenza, fino a 15 mesi fa, era stata assistente generale accanto a sr. Prema. Da Ernakulam sr. John Mariette commenta così all’agenzia Asia News la sua elezione: “Sono sicura che Dio userà tutti i suoi talenti e le sue qualità per guidare il bene nella società secondo i Suoi disegni”. Al Capitolo delle Missionarie della Carità – che ha eletto anche il consiglio generale che affiancherà sr. Joseph – hanno preso parte le rappresentanti di tutte le comunità dell’Ordine, oggi presente in 110 Paesi del mondo.
Spagna
Beatificazione di 16 martiri
Il 26 febbraio scorso, nella Cattedrale di Granada (Spagna) sono stati beatificati sedici martiri vittime della guerra civile spagnola combattuta dal 1936 al 1939 tra le forze nazionaliste, guidate da Francisco Franco, e la fazione repubblicana. Erano tutti sacerdoti, tranne un seminarista e un laico. Durante la guerra civile spagnola i repubblicani, come è noto, uccisero migliaia di chierici, religiosi e laici; di questi, 11 sono stati canonizzati e più di 2.000 beatificati.
Fra i nuovi beati, fr. Cayetano che aveva rifiutato di mettersi in salvo allo scoppio della guerra civile. Quando la sua chiesa parrocchiale fu bruciata, si rifugiò presso una famiglia per due settimane, ma fu catturato e poi fucilato il 1 agosto 1936, al grido di "Viva Cristo Rey". I suoi compagni furono: p. José Becerra Sanchez; fr. José Jiménez Reyes; fr. Pedro Ruiz de Valdivia; fr. Francisco Morales Valenzuela; fr. José Frías Ruiz; fr. Manuel Vázquez Alfalla; p. Ramón Cervilla Luis; fr. Lorenzo Palomino Villaescusa; fr. José Rescalvo Ruiz; fr. Manuel Vilches Montalvo; fr. José María Polo Rejon; fr. Juan Bazaga Palacios; fr. Miguel Romero Rojas; Antonio Caba Pozo, seminarista; e José Muñoz Calvo, un laico. Caba Pozo aveva circa 22 anni quando fu arrestato il 19 luglio 1936. Due giorni dopo gli spararono mentre recitava il rosario. Muñoz Calvo era stato presidente dei giovani dell'Azione Cattolica. Fu incarcerato il 27 luglio 1936 per essersi rifiutato di negare la sua appartenenza al gruppo e ucciso il 30 luglio.
La fase diocesana di studio della loro causa di beatificazione è stata aperta il 1° luglio 1999 e si è conclusa il 28 settembre dello stesso anno. Il 29 novembre 2019 la Santa Sede ha annunciato la promulgazione del decreto di martirio. C'è una tendenza ad associare i martiri spagnoli del 20° secolo esclusivamente con la guerra civile del 1936-39, ma ci furono decenni di preparazione che hanno portato a questo sanguinoso evento. La persecuzione religiosa in Spagna nel XX secolo ha richiesto "una certa preparazione. Non è qualcosa che si può restringere, non può essere limitato semplicemente ai primi mesi della guerra civile spagnola", mons. José Jaime Brosel Gavilà, rettore di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli, la Chiesa nazionale spagnola a Roma, ha dichiarato ad ACI Prensa, partner di notizie in lingua spagnola della CNA. Un gran numero di martiri perse la vita durante la guerra civile, ma il loro sacrificio fu preceduto anche da altri episodi, come la Settimana Tragica, una rivolta di repubblicani, socialisti e anarchici in Catalogna nel luglio 1909; la proclamazione della Seconda Repubblica Spagnola nel 1931; e la Rivoluzione del 1934, un movimento di scioperi ribelli. Questi incidenti furono accompagnati dalla distruzione di edifici religiosi, profanazioni, persecuzioni e uccisioni di sacerdoti, vescovi, religiosi e religiose e laici in odio alla fede.
Africa
Il Papa in Congo e Sud Sudan dal 2 al 7 luglio
La Sala Stampa vaticana ha comunicato le date della 37.ma visita apostolica del Pontefice nei due Paesi africani, su invito delle autorità politiche e religiose. Sarà la realizzazione di un desiderio espresso da anni: dal 2 al 7 luglio prossimi il Papa visiterà la Repubblica Democratica del Congo (2-5), recandosi nelle città di Kinshasa e Goma, e poi il Sud Sudan (5-7), con tappa a Juba.
Suor Elena Balatti, missionaria comboniana nella provincia Sud Sudan, descrive così la reazione dei sud-sudanesi all’annuncio della visita di papa Francesco: “Alcuni hanno ricordato il forte gesto di papa Francesco che ha baciato i piedi dei leader del Sud Sudan, il Presidente Salva Kiir, il capo dell’opposizione che fa ora parte del governo di transizione, Riek Machar, e gli altri membri della delegazione sud-sudanese. E ora la gente dice che il Papa viene a vedere quali sono i frutti di quel gesto rivoluzionario; i nostri capi politici e militari, - ha detto- devono essere all’altezza del compito che il Papa aveva dato loro in Vaticano e delle responsabilità che avevano assunto con il Santo Padre quando avevano promesso che avrebbero fatto del loro meglio per riportare la pace nel loro Paese”.Un impegno non scontato perché, “gli studi sui conflitti dimostrano che se un accordo di pace non è ben redatto e ben applicato, rimane la possibilità che il conflitto riesploda. Perciò la visita di papa Francesco e degli altri leader religiosi è un segnale forte affinché si prosegua con decisione sulla strada della pace, in base all’accordo firmato dal governo con il principale gruppo di opposizione, ma vi sono diverse altre fazioni che non hanno ancora deposto le armi. La speranza è che la visita di papa Francesco dia impulso ai colloqui di pace con queste altre fazioni, alcuni dei quali si tengono a Roma con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio”.Per quanto riguarda la Repubblica democratica del Congo, papa Francesco aveva parlato di un possibile viaggio in questa terra in alcune interviste rilasciate lo scorso anno. Una volontà la sua, dettata soprattutto dal desiderio di portare, come a Bangui nella Repubblica Centroafricana, una tregua di pace in una terra segnata dal lungo e sanguinoso conflitto etnico nelle province orientali del Kivu con attacchi terroristici. L’ultimo avvenuto poco più di un mese fa, il primo febbraio scorso, nel campo sfollati “Plaine Savo2” a Ituri, nord-est del Paese, con oltre 50 morti e 36 feriti. Papa Francesco stigmatizzò questo “atto atroce e barbaro”, assicurando la sua vicinanza al presidente Félix Tshisekedi. Con eguale dolore, pochi giorni dopo, il Papa aveva denunciato la “violenza ingiustificabile e deprecabile” di cui era rimasto vittima padre Richard Masivi Kasereka, religioso dell’Ordine dei Chierici Regolari Minori, ucciso il 2 febbraio dopo la Messa per la Giornata della vita consacrata.
Davanti a questo nuovo fatto di sangue, il Papa aveva esortato l’intera comunità cristiana congolese a farsi annunciatrice e testimone “di bontà e di fraternità, nonostante le difficoltà”. Incoraggiamento che il Papa porterà ora personalmente, recandosi peraltro nel Nord Kivu, con la tappa nel capoluogo Goma, dove a pochi chilometri, il 22 febbraio dello scorso anno, presso il villaggio di Kibumba, fu ucciso l'ambasciatore italiano Luca Attanasio.
Papa Francesco torna così pellegrino in Africa, a distanza di sette anni dal viaggio apostolico del novembre 2015 in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. Una tappa complessa, quest’ultima, resa incerta e rischiosa dalle violenze che si consumavano nella capitale Bangui. Il Papa volle andare fino in fondo e nella locale cattedrale aveva aperto simbolicamente la Porta Santa per dare inizio al Giubileo della Misericordia. Il Pontefice nel 2019 era poi tornato in Africa con il lungo viaggio del 4-10 settembre in Mozambico, Madagascar e Mauritius.
Svizzera
Prima Messa dalla Riforma celebrata nella cattedrale di Ginevra
Dopo quasi 500 anni, il 5 marzo scorso, vigilia della prima domenica di quaresima, per la prima volta è stata celebrata nella cattedrale svizzera di St. Pierre a Ginevra una Messa cattolica. L’ultima celebrata nella cattedrale aveva avuto luogo nel 1535. Infatti dopo la Riforma, l’edificio era stato rilevato dalla Chiesa protestante riformata di Giovanni Calvino, il quale aveva distrutto le statue e i dipinti e vietato il culto cattolico.
La Messa ora celebrata era stata posticipata di due anni a causa della pandemia di Covid-19. Alla celebrazione hanno partecipato circa 1.500 persone. Il celebrante principale è stato padre Pascal Desthieux, vicario episcopale di Ginevra. Durante la liturgia, Daniel Pilly, rappresentante della comunità protestante, ha chiesto perdono per atti storici compiuti contro l'unità dei cristiani.
Padre Desthieux ha affermato, da parte sua, che i cattolici di Ginevra sono stati toccati dall'invito della comunità protestante a celebrare la Messa nella cattedrale di St. Pierre e hanno anch’essi chiesto perdono per "colpe contro l'unità": per gli scherni, le caricature o gli atti di sfida contro la comunità riformata. Desthieux ha espresso il desiderio di “arricchirci a vicenda con le nostre differenze”.
Ha poi salutato le coppie di matrimoni misti religiosi che «vivono l'ecumenismo nel modo più intimo». Commentando il Vangelo della domenica, che narra le tentazioni di Gesù da parte di Satana nel deserto, ha invitato i presenti a "resistere alle forze di divisione nella nostra vita tra noi e tra noi cristiani".
In una lettera pubblicata sul sito web del vicariato nel 2020, Desthieux aveva definito la cattedrale come il “luogo centrale e simbolico della storia cristiana di Ginevra”. Dopo la Riforma, la cattedrale era diventata un luogo "emblematico della riforma calvinista", ha affermato. Giovanni Calvino, il fondatore francese del ramo del protestantesimo noto come calvinismo, viveva a Ginevra e la città era meta dei protestanti francesi costretti a fuggire a causa delle persecuzioni.
Saint-Pierre de Genève era la chiesa natale di Calvino. La sua sedia è esposta accanto al pulpito. La diocesi di Ginevra fu infine assorbita dalle diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo.
Oggi poco meno del 40% della popolazione svizzera è cattolica. Pur riconoscendo che il ritorno della Messa cattolica nella cattedrale era motivo di gioia, Desthieux ha messo in guardia dal "trionfalismo" e da qualsiasi affermazione come se i cattolici stessero cercando di "prendere il controllo" dell'edificio. “Con i nostri fratelli e sorelle protestanti, che ci accolgono nella loro cattedrale, – ha sottolineato – vogliamo semplicemente fare un gesto ecumenico forte, segno che viviamo tutti insieme a Ginevra” e ha concluso affermando che la Messa è stata un “gesto di ospitalità” all'interno della comunità cristiana della città.
a cura di ANTONIO DALL’OSTO