Piccardo Cristiana
Madre Cristiana Piccardo testimone di Armida Barelli
2022/4, p. 24
Nata a Genova nel 1925, entrata nel monastero trappista di Vitorchiano nel 1968, di cui fu badessa dal 1964 al 1988, madre Cristiana Piccardo durante il suo impegno in Azione Cattolica negli anni ‘50 ebbe modo di conoscere Armida Barelli (1882-1952) di cui ha trasmesso il suo ricordo.

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Madre Cristiana Piccardo testimone di Armida Barelli
Nata a Genova nel 1925, entrata nel monastero trappista di Vitorchiano nel 1968, di cui fu badessa dal 1964 al 1988, madre Cristiana Piccardo durante il suo impegno in Azione Cattolica negli anni '50 ebbe modo di conoscere Armida Barelli (1882-1952) di cui ha trasmesso il suo ricordo nel seguente intervento.
Che cos’era per noi ragazzine poco più che adolescenti la Sorella maggiore?
Per noi, appena uscite dall’incubo di quella seconda guerra mondiale che aveva spazzato via, con milioni di vite umane, il senso della vita, la fiducia nell’amicizia, il valore di un incontro, il sapore della pace?
Cosa era per noi?
Un mito, una leggenda, un’illusione, una proposta?
Già ne avevamo vissute tante, miseramente fallite.
A diciott’anni per una subìta conversione, per una di quelle impennate di coscienza che caratterizzano a volte l’inizio della giovinezza, avevo conosciuto la GF e me ne ero innamorata.
La vita era cambiata e si faceva strada nel cuore con un grato sapore di rischio il leitmotiv dell’epoca: “L’ideale vale più della vita”, alla scuola di quella vita offerta e sofferta di Delia Agostini che suscitava bagliori di autentico eroismo alla nostra sete giovanile.
In quell’incontro non c’era solo la riscoperta di un ideale, ma la scoperta di una umanità diversa, di un’amicizia piena di libertà e di calore, di un impegno di verità vissuto insieme, soprattutto l’incontro della Chiesa, la casa comune e di quella presenza che la colmava di infinito e di eterno: Gesù Cristo.
Dietro tutto questo c’era lei, la Sorella maggiore.
Se ne parlava, si leggevano i suoi articoli su Squilli di resurrezione, si sapeva che c’era una mente che ci aveva intuito, un cuore che ci aveva amato, una vita che c’era stata donata.
Il cuore imparava a conoscerla anche se gli occhi non l’avevano mai concretamente incontrata.
O meglio, gli incontri con lei c’erano probabilmente stati sia pure in certa lontananza ed erano stati a livello di esperienza soggettiva, incontri fugaci e insieme definitivi, bellissimi e totalizzanti, confusi e nitidissimi. Viene quando si incontra qualcuno che ci segna per sempre anche se non torneremo più ad incontrarlo.
È probabile che l’abbia vista in qualche convegno in quei primissimi corsi di propaganda nazionale per i quali si viaggiava un giorno intero e una notte spossante per arrivare da Genova alla Verna poi su quella montagna del Santo…si scatenava un’esultanza indicibile mentre lo studio su cui si declinava il nostro impegno si faceva più profondo ed esigente.
Più nitidi i ricordi dei primi mesi di lavoro nazionale in Largo Cavalleggeri; ricordo quel suo volto ovalato, un po’ pallido, un volto dolce, già segnato dal tempo, incorniciato da due bande morbide di capelli biondo-grigi che le davano un’aria di Madonna di Simone Martini.
Un volto dolce, un po’ sfiorito, estremamente espressivo e teneramente materno.
Veniva ancora alle nostre adunanze di consiglio nazionale in qualità di vice presidente generale dell’A.C.I.
Mi colpivano sempre due cose: come la Sorella maggiore sapeva mettersi in secondo piano con le nuove dirigenze della GF, con un tipo di umiltà semplice, calda di amicizia e di ammirazione, e la venerazione con cui persone straordinarie come Carmela Rossi, Ada Mattei o Giannina Tudisco si relazionavano con lei. Dentro di me sempre pensavo: queste sì che sono davvero figlie della Sorella maggiore!
A distanza di tantissimi anni mi rendo conto che ancora mi brucia sulla pelle quel tipo di esempio così vitale, umano e ricco di fedeltà reciproca che tali persone sapevano dare ai nostri primi passi nel servizio ecclesiale che già aveva consumato la loro vita.
Definitivo rimase per me l’incontro imprevisto e imprevedibile, di quella mattina mentre, dopo la Messa, mi avviavo in ufficio. Ricordo ancora l’angolo di marciapiede di fronte a Santa Monica e la svolta di Largo Cavalleggeri e quell’aria frizzante di un mattino che per me si situa in un inizio di primavera, anche se magari era già autunno.
Lei veniva in senso contrario e coincidemmo nell’angolo del marciapiede.
Io ferma e confusa sotto il suo sguardo penetrante. Lei serena e attenta con quel leggero sorriso che le sfiorava le labbra. “Sai Rita, io prego ogni giorno per te”.
Un immenso stupore nel cuore: ero l'ultima rotellina del gran carro della GF, l'ultima arrivata, incapace e inesperta, che nemmeno sapevo guardarmi intorno e capire ciò che mi si chiedeva.
Lei la grande Sorella che aveva creato un mondo nel mondo di Dio, un mondo di gioventù e di speranza, un mondo che credeva in Cristo e nella Chiesa e che batteva a ritmo di quel trinomio che lei aveva forgiato: eucaristia-apostolato-eroismo.
Non avevo saputo rispondere. “Sì Rita perché a te hanno affidato le giovanissime che sono la grande speranza della GF e della Chiesa”.
Null’altro, ma lei sapeva, intuiva, situava nel contesto concreto di fatti e persone e la sua parola giungeva al cuore in modo assolutamente diretto e personale; c’era in lei un rischio di fiducia che lasciava attoniti.
Poi lei continuò la sua strada, ma io rimasi immobile in quell’angolo di marciapiede sentendo improvvisamente che un grande amore per le giovani era stato riversato in me. Sentivo che la mia vita apparteneva ormai a quelle “giovanissime” per le quali lei, la Sorella maggiore, aveva voluto aprire cammini.
Ci furono altri incontri ma meno personali e meno decisivi per me.
L’ultimo grande incontro fu con la sua morte.
Quando sfilammo per le strade di Milano dietro la sua bara; quella morte mi è rimasta in cuore come un gran raduno giovanile, come una gran festa di vita, come un pianto segreto che adorava nel silenzio il mistero di una vita così vasta, così universale, così carica di un messaggio vitale per noi giovani. Un messaggio che definiva per sempre la nostra vita e le dava una meta precisa e ineludibile.
A distanza di tanto tempo ancora piango quell’istante e so che la mia vita non avrebbe avuto un senso, né allora né oggi, se non avessi incontrato la Sorella maggiore e la sua opera e oggi mi ridico piano quella sua preghiera, che mi è giunta come dono prezioso di Giannina Tudisco, e la vedo così come l’ho conosciuta a vent’anni sempre lei la Sorella che sapeva il segreto della nostra vita:
«Sacro cuore di Gesù, amore, dolcezza del mio tramonto fai che io ti veda al termine della mia vita; in quell’ora dimmi con la tua voce dolcissima: ecco lo sposo viene, sono io Gesù che vengo a te per le nozze eterne».
La domanda che resta dentro è una sola e sempre quella: come si fa ad essere così innamorati del Signore da offrire con tanta pienezza la propria vita dando vita a generazioni e generazioni che fluiscono oggi ancora da quel suo cuore indomito chiaroveggente? Come si fa ad essere così profeti e amanti? La risposta non è solo santità ma umanità, amicizia e perenne giovinezza del cuore.
CRISTIANA PICCARDO