Prati Anita
Elisa Salerno cattolica femminista
2022/4, p. 23
Una città – Vicenza – un periodo storico, un’aggettivazione che qualifica le coordinate esistenziali nel segno dell’endiadi più che dell’ossimoro: è questa la scarna cornice entro cui possiamo seguire lo svolgersi della dirompente biografia di Elisa Salerno (1873 –1957), donna scomoda, dallo straordinario spirito profetico e dall’infaticabile energia intellettuale. La sua vita si dipana a cavallo di due secoli cruciali, intercettando un periodo storico segnato da mutamenti profondi e passaggi irreversibili, non solo sul piano politico e socioculturale, ma anche dal punto di vista ecclesiale. Se molti protagonisti di questa stagione non furono in grado di riconoscere i segni dei cambiamenti in atto, Elisa Salerno rivela, nella capacità di leggere con acutezza il tempo presente alla luce della storia e nella prospettiva del domani, un pensiero sostenuto da profonda tensione profetica.

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UNA DONNA SCOMODA
Elisa Salerno
cattolica femminista
Una città – Vicenza – un periodo storico, un’aggettivazione che qualifica le coordinate esistenziali nel segno dell’endiadi più che dell’ossimoro: è questa la scarna cornice entro cui possiamo seguire lo svolgersi della dirompente biografia di Elisa Salerno (1873 –1957), donna scomoda, dallo straordinario spirito profetico e dall’infaticabile energia intellettuale. La sua vita si dipana a cavallo di due secoli cruciali, intercettando un periodo storico segnato da mutamenti profondi e passaggi irreversibili, non solo sul piano politico e socioculturale, ma anche dal punto di vista ecclesiale. Se molti protagonisti di questa stagione non furono in grado di riconoscere i segni dei cambiamenti in atto, Elisa Salerno rivela, nella capacità di leggere con acutezza il tempo presente alla luce della storia e nella prospettiva del domani, un pensiero sostenuto da profonda tensione profetica.
Vicenza
Nascere a Vicenza è già un destino. «Vicenza Vandea d’Italia, con Bergamo e Brescia». Così era stata definita la città da Pio X, pontefice trevigiano (1903-1914), nel presentare la nuova diocesi a Ferdinando Rodolfi, neoeletto vescovo nel 1911. Vandea è appellativo che evoca un’identità regionale declinata in senso politico oltre che religioso; un fronte di resistenza cattolico-monarchica contro lo stato repubblicano liberale. Con questo appellativo Pio X metteva a fuoco un carattere peculiare del cattolicesimo vicentino, ossequiente al Non expedit di Pio IX, che chiedeva ai cattolici di esprimere la loro solidarietà e fedeltà al papa re, “prigioniero in Vaticano”, astenendosi dal partecipare alle elezioni politiche e sostenendo la rivendicazione del potere temporale perduto.
Elemento di punta di questo cattolicesimo vicentino intransigente e conservatore furono i tre fratelli sacerdoti Jacopo, Andrea e Gottardo Scotton, impegnati per più di cinquant’anni in una agguerrita lotta al liberalismo. In opposizione ai proprietari terrieri che appoggiavano il nuovo Regno d’Italia con Roma capitale, i fratelli Scotton diedero vita ad iniziative di carattere economico a favore dei contadini più poveri, organizzandoli nelle leghe cattoliche e promuovendo molteplici opere di assistenzialismo sociale. Grazie al loro “populismo clericale”, nel contado veneto vennero forgiandosi parrocchiani fedelissimi ed elettori e amministratori comunali arroccati su posizioni di inflessibile clericalismo. Chiamati in tutta Italia a tenere conferenze, prediche e quaresimali, gli Scotton rivestirono ruoli di primo piano nell’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici, di cui il settimanale La Riscossa per la Chiesa e per la Patria, da loro fondato nel 1890, divenne organo di stampa. Fino al 1916, anno della chiusura, La Riscossa contribuì, con i suoi toni violentemente polemici nei confronti del cattolicesimo liberale e delle tendenze moderniste, a inasprire le tensioni e le conflittualità che laceravano la vita ecclesiale, mettendo in difficoltà, per la virulenza degli attacchi, la stessa curia romana.
Di questo ambiente cattolico vicentino, dominato da un moralismo religioso gretto e oppressivo e dall’ipocrisia del devozionismo e delle pulsioni represse, restano i ritratti, ora patetici, ora grotteschi, di alcuni personaggi di Guido Piovene e Goffredo Parise; gli esiti di un’educazione religiosa fondata sostanzialmente sulla precettistica e sulla rigidità dell’impianto normativo sono raccontati con ironico, esilarante disincanto da Luigi Meneghello.
Ma Vicenza non conosceva solo il cattolicesimo versione muscolare dei fratelli Scotton, fertile terreno per l’attecchimento del fascismo. Il cattolicesimo vicentino è anche Il santo, romanzo che dà voce alla inquieta spiritualità dello scrittore Antonio Fogazzaro, il cui zio paterno, don Giuseppe, sacerdote e professore nel seminario di Vicenza formatosi nella lettura delle opere di Rosmini, era stato una presenza decisiva nella sua educazione intellettuale. Nel romanzo il tormentato protagonista, ascoltando il richiamo di una visione interiore, inizia un apostolato di rinnovamento religioso che culmina nell’incontro con il Papa, al quale rivolge un appassionato discorso, parlando dei quattro spiriti maligni entrati nel corpo della Chiesa per fare guerra allo Spirito Santo: menzogna, clericalismo, avidità, immobilismo. Il santo, pubblicato nel novembre 1905, conobbe un immediato successo editoriale ma, per il contenuto antidogmatico, fu contestato e condannato dalle autorità ecclesiastiche. Nel clima della reazione antimodernista di Pio X, venne messo all’Indice dopo soli cinque mesi, nell’aprile del 1906.
1873-1957
Elisa Salerno nacque a Vicenza il 16 giugno 1873, da una famiglia della media borghesia, fortemente radicata nella vita religiosa cittadina. I genitori gestivano un mulino e una forneria; il padre esercitava anche il commercio di granaglie. Unica sopravvissuta, con la sorella Maria, dei nove figli della coppia, per la debolezza della salute, Elisa iniziò le scuole a otto anni, fermandosi alla terza elementare. Grazie all’aiuto di don Giuseppe Fogazzaro, che ne riconobbe la viva intelligenza, a quindici anni riprese gli studi e poté conseguire il diploma di quinta elementare, traguardo non scontato, a quei tempi, per una donna.
La necessità di dare il proprio contributo all’attività di famiglia la spinse ad accantonare il desiderio di seguire un corso di studi regolare per poter accedere alle scuole superiori e all’università; iniziò, però, da autodidatta, un intenso percorso di formazione intellettuale, nutrito dalle letture più disparate: riviste di economia sociale; trattati di sociologia, pedagogia, filosofia e teologia; opere di storia della Chiesa, di storia d’Italia e d’Europa; letteratura e romanzi; e, soprattutto, la Sacra Scrittura.
Da autodidatta si dedicò allo studio del latino, del francese e del tedesco. Nel 1892 entrò a far parte della “Congregazione femminile delle terziarie francescane”, coltivando con intensità la vita di preghiera. Si precisava, intanto, in lei il desiderio di diventare una lavoratrice del pensiero. A poco più di trent’anni iniziò a prestare qualche saltuaria collaborazione ai giornali locali Il Vessillo bianco e Il Berico che, tra il 1905 e il 1909, le pubblicarono alcuni articoli dedicati alla condizione delle operaie e a problematiche legate alla questione femminile; nel 1908, con lo pseudonimo di Lucilla Ardens, diede alle stampe il romanzo Un piccolo mondo cattolico, in cui il conservatorismo dell’ambiente vicentino veniva descritto in chiave autobiografica. Il titolo rende esplicita l’influenza di Antonio Fogazzaro, scrittore sentito dalla Salerno come particolarmente affine nel pensiero e nella sensibilità.
Il desiderio di dedicarsi con sempre maggiore libertà all’attività della scrittura la spinse a chiedere al padre un anticipo sull’eredità, così da poter disporre della liquidità necessaria all’apertura di un proprio giornale. Nel 1909 nacque La Donna e il Lavoro. Giornale delle classi lavoratrici femminili, foglio che contribuì a tracciare percorsi di riflessione femminista anche nel cattolicesimo.
Ma le affermazioni dirette della Salerno, sempre sul filo della scomunica per via del loro apporto critico, non potevano trovare pacifica approvazione da parte del clero e dell’episcopato vicentino. Nel 1917 il giornale venne privato del requisito di stampa cattolica e alla Salerno fu proibito l’accesso ai sacramenti.
Elisa non si perse d’animo; fece atto di sottomissione e, a dicembre 1918, La Donna e il Lavoro fu sostituito dal foglio Problemi femminili, che rimase attivo fino al 1927. Con lucida determinazione Elisa Salerno continuò a spendersi per la causa santa della donna occupandosi, nella sua intensa attività giornalistica, di problemi lavorativi, parità di salario e organizzazioni femminili; di abolizione della autorizzazione maritale e di parità fra i coniugi; di diritto al voto e di diritto di istruzione.
Ma erano ormai arrivati gli anni del fascismo, e la giornalista vicentina, sia per le sue prese di posizione nel sociale sia per la sua denuncia dell’antifemminismo della Chiesa, si trovò costretta al silenzio. La scrittura assunse allora, per lei, la forma di un incessante lavorio epistolare. Scrive, Elisa, scrive senza fermarsi. Scrive a sacerdoti, a vescovi, al Papa; alle femministe cattoliche e a quelle non cattoliche. Stende appunti per saggi e trattati, ma anche testi di meditazione religiosa. Passano gli anni, e lei continua a scrivere con sconcertante franchezza e limpida spiritualità. Solo nel 1947, ormai anziana, ritornerà a dare alle stampe alcuni dei suoi lavori, scegliendo lo pseudonimo di Maria Pasini, in omaggio alla Madonna di Monte Berico venerata a Vicenza.
Il suo lavoro di studio e di scrittura, tanto appassionato ed intenso, non le fu motivo di guadagni, di stima e di riconoscimento. Morì povera il 15 febbraio 1957, assistita dalle nipoti Giulia ed Elisabetta, con cui aveva stretto un vivo sodalizio sororale e spirituale.
Cattolica femminista
Se c’è un passaggio decisivo nella vita di Elisa Salerno, così priva, in sé, di accadimenti eclatanti, questo è legato alla lettura diretta, nella lingua originale, dei testi di san Tommaso e di sant’Alfonso Maria de’ Liguori:
Ci siamo messe ad esaminare i libri che sono studiati dai giovani e quindi dal Clero di tutti i Seminari del mondo, e vi abbiamo trovato delle cose raccapriccianti, contro il sesso femminile, e potemmo così spiegarci le tante ingiustizie e obbrobri, cui nella civiltà cristiana è soggetta la donna.
La lettura dei libri utilizzati per la formazione dei futuri sacerdoti, presi a prestito dalla biblioteca del vicino seminario vescovile di cui il panificio di famiglia era fornitore, porta la Salerno a tematizzare la questione dell’antifemminismo profondamente incistato nella dottrina cattolica: mentre la Scrittura dichiara con chiarezza che la donna è stata creata con pari dignità dell’uomo (maschio e femmina li creò…), la Chiesa cattolica, fondandosi sulle affermazioni di Tommaso, considera la donna “maschio occasionato” e strumento utile all’uomo soltanto ai fini della generazione.
Molti preti, inoltre, nel giudicare il comportamento e le azioni dell’uomo e della donna, anziché seguire il Vangelo si fanno guidare acriticamente da una casistica arbitraria, viziata dai pregiudizi, di matrice alfonsista, che si risolve in una protezione del maschio fedifrago, contro la femmina rovinata da lui. Mossa dall’indignazione per questa doppia morale, la Salerno scrive l’opuscolo Per la riabilitazione della donna, che suscita l’immediata reazione del vescovo Rodolfi.
Rodolfi, subentrato nel 1911 ad un vescovo che aveva sostenuto in toto la linea degli Scotton, appariva orientato verso posizioni di notevole apertura, tanto da far sperare nella possibilità di un superamento del lacerante conflitto provocato dalla crisi modernista. Ma il libretto di Elisa Salerno non gli piace, non gli piacciono i suoi articoli sull’antifemminismo della Chiesa. Nel 1917 Rodolfi dichiara che il giornale della Salerno ha «cessato di appartenere alla stampa cattolica» e le chiede di fare atto di pubblica sottomissione.
Io spero che, costretta a lasciare Iddio per Iddio, per la privazione dei sacramenti, avrò ancora la benedizione di Lui. Sarò fedele in tutto alla religione cattolica, eccetto che nell’antifemminismo.
L’antifemminismo non è la Chiesa, ma un male che è nella Chiesa, quindi ho il dovere, davanti a Dio, di obbedire alla Chiesa e non all’antifemminismo che è nella Chiesa.
Ad Elisa Salerno appare chiaro che i pregiudizi secolari radicati nell’antifemminismo non solo causano il male della donna, che è discriminata e prevaricata, ma sono anche motivo di disonore per la Chiesa stessa perché, adeguandosi ai pregiudizi, la Chiesa perde di credibilità e non può essere testimone fedele del Vangelo di Gesù nel segno della Giustizia e della Verità.
Lei che, inoltre, ben conosce il femminismo socialista e anarchico di Anna Kuliscioff, avverte un altro rischio reale per la Chiesa: quello di non riconoscere urgenze che altri riconoscono, di non sostenere istanze di cui altri si stanno facendo portavoce. Perché, scrive la Salerno, solo tra i non cattolici alla donna viene riconosciuta la libertà di associarsi e vivere attivamente la vita politica, solo nei partiti non cattolici alla donna è concessa la possibilità di pensare e agire e di accedere ad una formazione culturale che le permetta di esprimere pienamente le proprie facoltà intellettuali e morali: le donne iscritte alle facoltà di scienze e filosofia, constata amaramente, sono tutte donne non credenti.
Ecco allora che levare la voce e usare la penna per la causa santa della donna, fare esercizio di parresia e di dialogo con la gerarchia ecclesiastica, diventa, in Elisa Salerno, un modo per partecipare attivamente alla vita della Chiesa, facendo la propria parte perché la Chiesa possa migliorarsi. Perché la Chiesa non può essere, per le donne, solo luogo di pio devozionismo, ma deve diventare spazio vivo di presenza attiva, propositiva, autorevole, feconda.
Conclusione
Sono nata troppo presto: una sfumatura di profonda sofferenza è sottesa a queste parole che Elisa Salerno ebbe a scrivere poco prima di morire. È la sofferenza di chi, giunto in prossimità del traguardo, sente che la forza visionaria che ha sostanziato l’impegno della propria intera esistenza ha dovuto scontare la sordità e l’incomprensione dei contemporanei, e la loro incapacità ad accoglierne il portato profetico.
Oggi, lentamente, a piccoli passi, la voce di Elisa Salerno incomincia ad uscire dal silenzio. Il merito si deve, principalmente, all’Associazione Centro Documentazione e Studi Presenza Donna di Vicenza, attivo dall’inizio degli anni ’80 su iniziativa delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria. L’Associazione, che «nell’ambito della visione cristiana della vita e della persona, secondo la tradizione orsolina, si pone a servizio della promozione e della formazione umana e cristiana della donna, affinché possa partecipare pienamente, con i doni e le attitudini di cui è portatrice, alla missione della Chiesa e alla costruzione della società civile»,ha fra i suoi scopi principali quello di conservare e valorizzare il patrimonio culturale costituito dal Fondo archivistico Elisa Salerno, attraverso la graduale pubblicazione delle opere edite e inedite di Elisa Salerno. Una donna così scomoda, e così attuale.
ANITA PRATI