Il rapporto sugli abusi in Francia
2022/4, p. 15
La Chiesa ha conosciuto insieme una grave (e legittima) perdita di credibilità come istituzione (di fronte all’enormità dei numeri emersi), ma allo stesso tempo ha guadagnato un credito morale presso l’opinione pubblica per essere stata capace di fare questo lavoro.
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INTERVISTA A VÉRONIQUE MARGRON
Il rapporto sugli abusi in Francia
La Chiesa ha conosciuto insieme una grave (e legittima) perdita di credibilità come istituzione (di fronte all’enormità dei numeri emersi), ma allo stesso tempo ha guadagnato un credito morale presso l’opinione pubblica per essere stata capace di fare questo lavoro.
Lo scorso 18 febbraio abbiamo intervistato suor Véronique Margron, presidente della Conferenza dei religiosi e religiose in Francia (CORREF). Assieme al presidente della Conferenza episcopale francese, mons. Eric de Moulins Beaufort, suor Margron ha ricevuto da Jean-Marc Sauvé, presidente della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (CIASE), il noto Rapporto sugli abusi. Dottore in teologia morale, prima donna decano di Facoltà teologica, è presidente dei religiosi dal 2016.
-Come valuta la ricezione del rapporto CIASE (Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa) nell’opinione pubblica e nella Chiesa francese?
Ciò che immediatamente colpisce è che il rapporto è stato oggetto di un’enorme copertura mediatica nel mondo intero. In Francia tutti i giornali e tutti i media ne hanno parlato ed è stato molto importante. Ha consentito infatti ad altre vittime, che non erano a conoscenza del lavoro della CIASE, di venire allo scoperto e di parlare. Abbiamo oggi molte vittime che non avevano mai parlato alla Chiesa che si presentano grazie alla pubblicità ricevuta dal rapporto della CIASE.
Direi che il rapporto ha avuto una buona accoglienza nell’opinione pubblica. In Francia il lavoro della CIASE, insieme a un certo numero di pubblicazioni di autori importanti, ha convinto lo Stato a costituire una commissione indipendente sull’incesto e le violenze sessuali sui minori (in contesti come la famiglia, lo sport, la scuola), la quale ha adottato esattamente lo stesso metodo di lavoro.
La ricezione è stata dunque importante e molte persone – compreso un certo numero di uomini politici – hanno ringraziato la Chiesa cattolica per essere stata capace di fare questo passo. Hanno apprezzato il coraggio e soprattutto il fatto di avere reso tutto pubblico, senza alcun filtro, dal mandato a Jean-Marc Sauvé fino alla totalità del Rapporto e ai suoi allegati. Si può ben dire che la Chiesa ha conosciuto insieme una grave (e legittima) perdita di credibilità come istituzione (di fronte all’enormità dei numeri emersi), ma allo stesso tempo ha guadagnato un credito morale presso l’opinione pubblica per essere stata capace di fare questo lavoro. Lo stesso Sauvé ha più volte riconosciuto di avere ricevuto da parte della Chiesa una totale libertà di azione, raramente sperimentata prima nella sua carriera.
Per la gran parte dei cattolici si può dire lo stesso: il rapporto è ritenuto incontestabile sia per il rigore metodologico sia nei risultati. C’è un solo gruppo minoritario, ma piuttosto attivo, che continua a parlare di un complotto contro la Chiesa e ad affermare che la realtà degli abusi sessuali è una questione di singoli abusatori, e non anche un fenomeno istituzionale.
Passo diverso e convergente coi vescovi
-Qual è stato il rapporto tra la CEF (Conferenza episcopale di Francia) e la CORREF ( Conferenza dei religiosi e religiose in Francia) con la commissione e quali differenze di valutazioni e di interessi ci sono stati tra CEF e CORREF? Ovvero, se ci sono state tensioni tra la commissione Sauvé e i suoi mandanti e se avete avuto divergenze di valutazione e di interessi tra vescovi e religiosi.
Da parte della CORREF, erano ormai diversi anni che si organizzavano sessioni formative sul tema delle violenze sessuali, dei traumi delle vittime, degli abusi spirituali, del plagio e dell’abuso di potere. Si è cercato di sensibilizzare il mondo dei religiosi al lavoro della CIASE, tanto che Sauvé è stato ricevuto molto bene nelle assemblee generali della CORREF alle quali è stato invitato per fare il punto sui lavori e su quanto emergeva.
Si è dunque creato un consenso ampio che ha facilitato l’accordo sulle risoluzioni necessarie. Ad esempio, noi religiosi abbiamo votato per riconoscere la «responsabilità collettiva» sul fenomeno degli abusi ben prima di ricevere il rapporto finale (nel novembre 2020). Eravamo forse più preparati e per questo c’è stata una minore resistenza a prendere decisioni essenziali in modo più coerente e più unanime.
La conferenza dei vescovi ha dovuto fare il proprio cammino. Per molti di loro era inconcepibile che una commissione indipendente avesse tanta ampiezza e autorità. Lo stesso presidente, mons. Eric de Moulins Beaufort, si è sensibilizzato ai lavori e ai processi della CIASE. Le riunioni trimestrali con la CIASE hanno permesso di prendere coscienza dell’ampiezza del fenomeno e del fatto che doveva essere trattato in maniera indipendente e rigorosa. Lo stesso mons. Moulins Beaufort ha ricevuto e ascoltato numerose vittime. E questo ci ha cambiati tutti in profondità. Così, poco alla volta, la responsabilità collettiva e il carattere sistemico degli abusi hanno potuto essere affrontati con veracità e infine votati dall’assemblea plenaria di novembre 2021.
Così le nostre due assemblee hanno potuto decidere la creazione di commissioni indipendenti di riconoscimento e di riparazione, al fine di accogliere le vittime e di trovare con loro le riparazioni possibili al male irreparabile che esse hanno subito. Oggi si può dire che sulla questione della responsabilità collettiva la CEF e la CORREF hanno lo stesso orientamento e lavorano insieme su numerose raccomandazioni della CIASE.
-Come è stata raggiunta la coscienza di corresponsabilità negli istituti religiosi, colpiti diversamente dagli abusi negli istituti maschili e femminili?
Il tema della responsabilità degli istituti maschili e femminili è stato oggetto di forte discussione durante l’assemblea dello scorso aprile. Il lavoro della CIASE ci ha reso più sensibili verso il tema della responsabilità per le vittime di abuso e alla necessità di renderne conto. Riconoscere una responsabilità collettiva non è facile per un istituto femminile. Abbiamo scoperto che tra noi si registrano spesso suore che sono state vittime di abuso. Allora, come riconoscersi responsabili?
È stato possibile votare insieme questa affermazione di una responsabilità collettiva per tre ragioni. Anzitutto, per una questione di solidarietà. In seno alla CORREF, ci siamo sentite rivolgere un appello dai religiosi degli istituti maschili a sostenerli nel loro cammino. Inoltre, abbiamo coscienza che tutte noi abbiamo partecipato allo stesso clima ecclesiale che ha favorito il silenzio, la sacralizzazione del prete, la paura dello scandalo.
Un clima che ha imposto il silenzio sugli abusi ci chiama a riconoscere una responsabilità, anche se non è la stessa dalla parte delle donne rispetto agli uomini, ma che esiste. Inoltre ci sono abusi di potere commessi dalle donne, in maniera simile agli uomini. E ancora delle aggressioni sessuali. Insomma, nessuno può dirsi indenne o al riparo dai crimini. Per queste ragioni è stato possibile votare insieme e unanimemente il riconoscimento della responsabilità collettiva dei religiosi, uomini e donne.
Le critiche di otto accademici
-Come valuta le critiche di alcuni esponenti dell’Accademia cattolica francese al rapporto CIASE? Ha creato difficoltà a voi religiosi e ai vescovi?
Valuto la presa di posizione dell’Accademia cattolica del tutto controproducente. Gli otto membri interessati hanno una rete di relazioni che, senza dubbio, ha permesso di influenzare la Santa Sede e di far rinunciare al Papa l’udienza prevista per la CIASE. Ma per quanto riguarda l’opinione pubblica in Francia, compresa quella cattolica, non ha per nulla invalidato la fiducia nel lavoro della CIASE e i risultati del suo rapporto.
Questi accademici, per altro eminenti, partono da un presupposto: la CIASE e i suoi membri non avevano legittimità per questa missione e volevano il male della Chiesa. A partire da tale presupposto, essi tentano di dimostrarlo evidenziando fragilità metodologiche, filosofiche e teologiche nel rapporto. Ma i loro argomenti sono molto deboli e hanno finito per presentare questi accademici come un gruppo di conservatori che non vogliono vedere in faccia la realtà.
Alcuni membri della CIASE hanno subito risposto alle critiche in modo puntuale e scientifico, a cominciare dalla questione dei numeri potenziali delle vittime. Infine, è stata pubblicata una risposta sistematica e precisa firmata dallo stesso Jean-Marc Sauvé, accompagnata da contributi di esperti che validavano il lavoro della CIASE. Penso che, alla fine, per la Chiesa di Francia e per l’opinione pubblica francese, siano stati gli accademici cattolici a uscirne male e non il lavoro della commissione. A parte, ovviamente, alcune correnti minoritarie che hanno trovato conforto alle loro posizioni nelle critiche dell’Accademia. Ad oggi, fra 25 e 30 membri della stessa Accademia cattolica (su un centinaio) hanno dato le dimissioni a motivo di queste critiche.
-Chi affronterà il problema delle teologie che hanno «giustificato» gli abusi? Chi approfondirà dal punto di vista teologico queste forme ambigue di elaborazione?
Un gruppo di teologi e di storici è stato nominato per lavorare con i domenicani. Un secondo gruppo lavora all’Arche e un terzo con i Fratelli di Saint-Jean. Essi lavorano principalmente sugli archivi dei fratelli Philippe e di Jean Vanier.
Seguendo le raccomandazioni del rapporto della CIASE, noi religiosi e i vescovi abbiamo creato dei gruppi di lavoro dedicati a questioni teologiche molto precise; altri per le questioni di governo; altri per le questioni formative e pastorali.
Una commissione di biblisti e teologi nominata dalla CORREF sta lavorando sul tema dei carismi, per riconoscere se e come un «albero cattivo» possa portare dei frutti buoni. Le commissioni dottrinali sono impegnate anche su tematiche di teologia morale e sul tema della sessualità.
Le vittime sono i maestri
-È davvero necessario come primo passo ascoltare le vittime?
Assolutamente sì. Senza l’ascolto delle vittime non si va da nessuna parte. Sembra uno slogan dire che «le vittime sono i maestri», ma è la verità. Perché solo loro possono raccontare la realtà del loro trauma; solo loro possono raccontare lo scarto tra il male commesso e il male subito. Il male fatto dall’aggressore può essere stato commesso una sola volta, o anche cento volte, ma è «passato» (ha una data). Ma il male subito dalle vittime è per tutta la vita.
Questo scarto solo le vittime lo conoscono e solo loro possono raccontarlo. Noi lo abbiamo studiato e ascoltato; loro lo conoscono nella carne. Anche dal punto di vista teologico, loro sollevano le questioni da affrontare. Non hanno le risposte – come deve cambiare il governo della Chiesa per superare l’omertà, oppure come si deve ripensare la teologia del ministero o la formazione … – ma le domande vere le conoscono «carnalmente».
Le vittime sono delle storie e dei volti insostituibili. Ed è innegabile che la grande forza del lavoro della CIASE è stata quella di avere cominciato dall’ascolto delle vittime. E poi di essere stata ininterrottamente in contatto e in dialogo con loro, con le loro associazioni, fino alla composizione e alla scrittura del rapporto. La commissione sull’incesto e le violenze sui minori (CIIVISE) fa esattamente la stessa cosa: sta ascoltando le vittime.
Il sapere esperienziale di chi è stato vittima di abuso è fondamentale. Altrimenti si corre il rischio di non cogliere lo spessore del dramma vissuto, considerando il dossier abusi sicuramente grave, ma uno dei tanti.
-Condivide la rimozione del segreto confessionale?
La questione del segreto confessionale, come sapete, è stata oggetto di discussioni molto forti. A me pare che la questione vera non sia se togliere o meno il segreto della confessione, ma affermare una gerarchia di valori. In gioco vi è infatti la difesa dell’integrità di un bambino. Se un bambino si trova in pericolo nulla può essere superiore alla protezione che gli dobbiamo. Questa è la questione.
Il tema non è dunque rimuovere il segreto. Ma evitare il rischio che a motivo del segreto un nuovo crimine possa essere commesso su una vittima vulnerabile. Nel rapporto della CIASE si riporta un’analogia con quanto prevede il diritto francese e la deontologia di un pedopsichiatra. Il pedopsichiatra che riceve da un bambino la denuncia di una aggressione sessuale (da parte del padre, o di un fratello) non è obbligato, ma è autorizzato a violare il segreto professionale per dare protezione alla vittima.
Si tratta di una questione di pericolo imminente, diversa dunque dal caso della confessione di un adulto di violenze subite da bambino. Peraltro, un bambino che in confessione dice a un prete che suo padre – o un prete – gli ha fatto del male non sta confessando un peccato ma sta facendo una terribile confidenza. Di conseguenza, da un punto di vista morale, la questione del segreto non si pone poiché non si tratta del peccato del bambino, ma del crimine di un adulto nei suoi confronti.
In casi come questo e unicamente in rapporto a una situazione di pericolo imminente, penso che oggi in Francia tutti siano d’accordo di affermare la protezione del bambino in pericolo come primaria.
a cura di LORENZO PREZZI