Giudici Giovanni
Bisogna far festa ...
2022/4, p. 14
Mano a mano che abbiamo accolto in chiesa quelli che potevano entrare, dopo le varie difficoltà insorte nella gente nei primi mesi della diffusione del virus, oggi abbiamo la netta impressione che i credenti stentano ancora a considerare la Messa, e soprattutto la Messa domenicale, come luogo nel quale riconoscersi membri della comunità di Gesù.

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Testimoni
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Bisogna far festa …
Un signore che non conosco è entrato in chiesa, si avvicina al confessionale e mi chiede di ascoltarlo; il caso è in apparenza semplice: gli hanno chiesto di fare il padrino per il nipote, ma non riesce a superare una difficoltà presente nella sua coscienza. Narra un poco della sua vita; è credente ma sono molti anni che non va più a Messa perché, come dice lui, “non trova alcuna ragione per andarci; la Messa è un rito che non gli dice nulla, non sa che cosa aggiunge alla sua vita”. E racconta di essere una persona che non ha mai detto di no ad una richiesta di aiuto.
Non ho ragione per dubitare di ciò che l’uomo mi dice; ordinato nel vestire, disponibile a leggere con me un Vangelo. È deciso a continuare come ha sempre fatto; la preghiera personale e una disponibilità a mettere tempo e fatica per qualche lavoro che i suoi conoscenti gli chiedono. Ora la richiesta del nipotino gli ha ricordato che occorre fare la comunione e confessarsi…I riti liturgici non gli dicono nulla; tuttavia gli pare di essere fedele al comando di Gesù: dare una mano quando ti chiedono un aiuto; mi assicura che non ha mai declinato una richiesta.
È un caso unico e singolare? Direi che rappresenta, probabilmente, una buona parte dei fedeli cattolici italiani. Una riprova della situazione che abbiamo brevemente disegnata, è purtroppo divenuta più chiara alla generalità della comunità cristiana a causa della sfida lanciata a noi dalla pandemia. Mano a mano che abbiamo accolto in chiesa quelli che potevano entrare, dopo le varie difficoltà insorte nella gente nei primi mesi della diffusione del virus, oggi abbiamo la netta impressione che i credenti stentano ancora a considerare la Messa, e soprattutto la Messa domenicale, come luogo nel quale riconoscersi membri della comunità di Gesù.
Stando così le cose, come a noi risulta ad uno sguardo un poco superficiale, ci si rende conto che gli appartenenti alla comunità cattolica sembra che abbiano un rapporto non particolarmente intenso tra loro, singoli credenti, e Dio. Per esprimere meglio ciò che voglio descrivere, prendo ad esempio alcuni gesti non particolarmente difficili da compiere, che erano vissuti una o due generazioni fa, e sono del tutto spariti. Penso al credente che passa davanti a una chiesa, non vi entra, ma fa una sorta di saluto a Colui che è presente in corpo, anima, divinità. Ricordo, anche in contesto protestante, il chinare il capo appena seduti a tavola per rendere grazie. Mentre noi cattolici si faceva il segno della Croce. In pubblico è raro vedere il piccolo rito; ma anche in casa non è frequente.
Piccole cose, certo, ma che divenivano occasione per una persona, che egli ha un rapporto con Dio in ogni condizione dell’esistenza, e in particolare dove la vita umana in certo modo si illumina perché tocchiamo aspetti che, con maggiore evidenza, mostrano che la vita è dono, e veniamo, dalle cose e dai gesti, rimandati a pensare al Creatore e Padre, e a sentirci legati a Lui non solo con l’intelligenza, ma con il cuore.
Il rapporto con il Signore non può essere solo il “sapere” che siamo diventati Figli di Dio nella Pasqua di Cristo, ma è la gioia di compiere alcuni gesti perché in tal modo esprimiamo il nostro voler bene al Creatore, e la chiara coscienza che siamo amati con quella misericordia attenta e affettuosa con la quale guarda ai discepoli e alle folle: «Vide molta folla e ne sentì compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore…Date loro voi stessi da mangiare» (Marco 6,34). Noi pure, per parte nostra, impariamo che la grazia del Signore può abitare i momenti significativi del nostro vivere.
Vi è pure un altro aspetto nel quale si rivela una sorta di inconsistenza della appartenenza ecclesiale. Le assemblee liturgiche dei due ultimi anni, segnati dall’invadenza della pandemia sulla pratica del ‘precetto domenicale’, ha di fatto reso molto labile quella urgenza del cuore che invita a vivere una vera prossimità ai fratelli e alle sorelle perché chiamati in unità dal Signore. Sappiamo che i discepoli di Gesù si radunano in assemblea per il dono dello Spirito. La nostra reciproca prossimità è la scoperta che illumina Paolo, che si sente dire: «Perché mi perseguiti?», e comprende che ogni cristiano è membro del corpo di Cristo. Sappiamo come questa intuizione lo accompagna per tutta la vita, e possiamo considerarla la spinta che gli farà percorrere migliaia di km per terra e per mare.
Personalmente ritengo che a causa dell’indebolirsi della coscienza del legame tra noi battezzati, ha fatto una certa impressione il richiamo di papa Francesco nella “Fratelli tutti” a riconoscere nella fraternità, inaugurata da Gesù, come il luogo senza il quale non ci è possibile condividere la Grazia.
La consegna del Signore, incisiva e solenne: «… fate questo in memoria di me…» risuona al centro della nostra Eucarestia. In tal modo ci viene data la sicurezza che proprio nella assemblea liturgica si trova il cuore pulsante della comunità cristiana. Essa, quando si costituisce e vive la fraternità tra le creature che sono figli di Dio redenti, è in grado di vivere la novità evangelica della comunione nella società, nonostante la carica di individualismo che in essa viene proclamato e vissuto.
Come saremo in grado, da credenti, di appassionarci ad essere parte di una comunità, che ha, per la chiamata e la forza del Signore, la capacità di vivere la redenzione di Dio all’opera nella storia? È decisivo, per la vita oggi della comunità cristiana, che ciascuno ‘impari a far festa’ per la prossimità a Lui; è dono del Signore che mediante lo Spirito ci consente di sapere e vivere come creature amate, e a nostra volta possiamo amare con tutto noi stessi. Qui sta la gioia cristiana.
Giovanni Giudici