La Mela Maria Cecilia
Le donne della Pasqua
2022/4, p. 12
Come una sorta di preludio alla riflessione che segue, si vorrebbe condividere una iniziativa che stiamo vivendo nella nostra arcidiocesi di Catania e che sta arricchendo tanto anche la nostra comunità monastica.

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UN’INIZIATIVA NELLA DIOCESI DI CATANIA
Le donne della Pasqua
Come una sorta di preludio alla riflessione che segue, si vorrebbe condividere una iniziativa che stiamo vivendo nella nostra arcidiocesi di Catania e che sta arricchendo tanto anche la nostra comunità monastica.
Da quasi più di un anno, don Salvatore Bucolo, direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale familiare, che ci aveva tenuto nel novembre 2020 gli esercizi spirituali, avendo trattato il tema della femminilità nella vita consacrata e volendo pubblicarne il testo, ha pensato di arricchirlo con la testimonianza, in appendice, di alcune consacrate della diocesi, compresa una di noi. È stata invitata anche una giovane sposa e mamma di famiglia perché, con questo lavoro compartecipato a più voci e ormai prossimo alla pubblicazione presso le Edizioni Porziuncola, si intende offrire alle famiglie, ai giovani, ai sacerdoti e alle comunità religiose, uno strumento per approfondire la conoscenza della vita consacrata femminile nella sua complementarietà con le altre vocazioni nella Chiesa, a partire dalla comune identità di battezzati.
Dal 19 ottobre scorso, ha inoltre preso il via un percorso di catechesi, dal titolo Donna quanto sei bella!, articolato in otto incontri mensili in luoghi diversi, sia di presenza che in diretta live; in ognuno di essi si alterna una delle catechesi di don Bucolo con la relativa testimonianza.
Ecco perché, quando è stato richiesto dalla redazione di Testimoni un articolo per la Pasqua con libertà di scelta del soggetto, immediata è venuta l’ispirazione di una rilettura di questo grande Evento in chiave femminile! Ovviamente non vuole essere una lettura estromissiva e penalizzante nei confronti degli uomini, soltanto una visualizzazione che punta i riflettori sulle donne.
Stavano presso la croce...
E partiamo proprio citando una di queste catechesi: «Leggiamo in Gv 19,25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala” […]. È indicativo anche il fatto che il Vangelo identifichi ad una ad una le donne. La prima è la madre, che sappiamo che si chiama Maria. La seconda, di cui non è detto il nome, è la sorella della madre. Le altre due sono chiamate per nome, ed entrambe sono chiamate Maria.
Non possiamo non fare caso al fatto che nell’identificazione di queste quattro donne, centrali sono le parole “madre” e “Maria”. Entrambe le identificazioni si riferiscono a Maria Sua madre. Che significa? Le quattro donne sono identificate per il loro essere di madre e per il loro nome di Maria, a significare che la donna, qualunque donna (sono quattro infatti), per essere se stessa, deve guardare a Maria, madre di Gesù, che è il volto proprio dell’essere donna. […] Qui si compie il culmine della rivelazione del volto femminile, pensato da sempre sin dalla creazione del mondo.
Cosa fanno le quattro donne? Tutte sono soggetto ed accomunate da una medesima azione espressa dallo stesso verbo, che si trova all’inizio dell’affermazione: “stavano”. Sembra un verbo che affermi una grande staticità. In realtà rivela uno stare non inerte o fisso, ma uno stare risoluto e saldo in una situazione che sembra essere l’unica azione da compiere». Dunque una staticità dinamica che è continuo rimettersi in movimento. Innanzitutto quello della sequela. Non si improvvisa lo stare, non c’è approdo senza un cammino previo: già prima della passione e della risurrezione, incontriamo delle donne che seguono Gesù nella sua missione itinerante: «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che li servivano con i loro beni» (Lc 8,1-3). Con i loro beni, non solo materiali, ma con tutte se stesse, con la loro femminilità che declina l’amore e la dedizione sulla modalità del servizio, del prestare attenzione, del prendersi cura.
Da mirofore ad annunciatrici
Una delle intercessioni delle Lodi del comune delle sante così ci fa pregare: «Signore Gesù, che nei tuoi viaggi apostolici fosti seguito dalle sante donne e aiutato dal loro umile servizio, concedi a noi di seguire la via della carità». Ed è su questa via dell’agàpe, dal Calvario al sepolcro, che esplode in tutta la sua potenza il mistero della Pasqua con quella speciale sensibilità che corrisponde ad una caratteristica della femminilità, cui faceva riferimento san Giovanni Paolo II al n. 16 della Mulieris dignitatem. Le donne da mirofore, diventano annunciatrici della buona novella della risurrezione: «Andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro, che Gesù vi aspetta in Galilea. Là, lo vedrete come vi aveva detto lui stesso» (Mc 16,7). L’andare che scaturisce dallo stare diventa forza propulsiva per gli uomini a ritornare là dove tutto è cominciato, da dove tutto è partito. Non è un ricominciare, ma un essere portati a compimento per camminare ancora, perché è dalla Pasqua che il cammino avanza e raggiunge il mondo intero. Come la vita si espande dal grembo di una madre, così la buona novella si diffonde per prima dalle donne che «la loro audacia/ obbligherà/ il Dio della Vita,/ oggi,/ come ieri,/ a ripetere il miracolo,/ a svuotare/ sepolcri,/ a inventare/ risurrezione» (Elisa Kidanè).
Proseguire in questa tradizione di testimonianza, come ha detto papa Francesco durante l’Udienza generale del 3 aprile 2013, «è un po’ la missione delle donne»; esse hanno avuto ed hanno un ruolo particolare ed importante «nell’aprire le porte al Signore, nel seguirlo e nel comunicare il suo Volto, perché lo sguardo di fede ha sempre bisogno dello sguardo semplice e profondo dell’amore».
Innanzitutto l’amore della Madre: Maria di Nazaret, presente ai piedi della croce, non è nominata invece nei racconti della risurrezione. La tradizione lungo i secoli, persino alcuni pittori, hanno dato per certo l’incontro tra Madre e Figlio. Del resto, Maria è sempre in sordina nei Vangeli, ma presente in modo determinante. Lei è la Madre che silenziosamente, senza clamori e comparse d’effetto – tranne alle nozze in Cana di Galilea, ma sempre misurata e discreta – «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,21). In numerosi paesi del nostro Meridione c’è la consuetudine (limitata attualmente dalla pandemia) di rappresentare il mattino di Pasqua, tramite complessi statuari, l’incontro tra Gesù Risorto e sua Madre. Questo momento viene chiamato “la pace”, come se la saggezza popolare, da lunga tradizione, riconoscesse in questo incontro la restaurazione della primigenia condizione dell’umanità: attraverso il nuovo Adamo e la nuova Eva ogni uomo e ogni donna viene riabilitato in quella dignità filiale che li colloca nuovamente e in eterno nel primordiale giardino della creazione. Così ci fa pregare l’inno alle lodi mattutine della domenica T.O: «Il Signore risorto/ promulga per i secoli/ l’editto della pace./ Pace fra cielo e terra,/ pace fra tutti i popoli,/ pace nei nostri cuori». Perché è nuovamente l’amore che crea e rinnova. Solo chi ama non si arrende neppure all’evidenza della morte.
Le donne corrono al sepolcro perché amano. Anche la vasta rappresentazione iconografica di questi episodi prodotta nei secoli vede le donne in primo piano ai piedi della croce e al sepolcro vuoto. Ed è brevemente che vogliamo soffermarci sul sepolcro, senza pretese esegetiche e teologiche, ma condividendo solo alcuni spunti scaturiti dalla lectio divina su queste pericopi.
Maria ai piedi della croce
Partiamo da Maria. Nel giorno in cui si approfondiva ulteriormente l’intuizione che ha dato spunto a questo articolo, pregando all’ora sesta di venerdì il salmo 21, quello fatto proprio da Gesù sulla croce – e i biblisti ci dicono che per un ebreo già citare l’inizio di un salmo è pregarlo interamente – l’attenzione si è fermata ai versetti: «Sei tu che mi hai tratto dal grembo,/ mi hai fatto riposare sul petto di mia madre./ Al mio nascere tu mi hai raccolto,/ dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio». Maria è ai piedi della croce, o più correttamente un po’ più in là perché non era consentito dai soldati romani. Gesù la guarda, tanto da affidarla a Giovanni. E poi prega questo salmo. Un grido di dolore, di abbandono, ma di grande fede e speranza. Sulla croce Gesù porta a compimento la sua nascita umana. L’iconografia orientale della natività rappresenta spesso la mangiatoia di Betlemme nelle fattezze di una tomba alludendo al Mistero dell’Incarnazione come previo a quello della Redenzione. E ancora una volta la Madre partorisce, stavolta attraverso doglie di dolore, l’umanità che il Figlio le affida.
La pietra ribaltata
Accanto a Maria sul Golgota ci sono le donne. Le ritroviamo al sepolcro. Mentre si avviano sono preoccupate della grande pietra che sigilla la tomba ove era stato posto il corpo di Gesù: «Chi ci rotolerà la pietra dall’ingresso del sepolcro?» (Mc 16,3). È una preoccupazione che le assilla, le fa ripiegare su di sé quasi rallentandone il passo seppur l’amore le spinge. Capita tante volte anche a noi sopraffatti dalle ansie, dai problemi, da cose che sembrano schiacciarci, di perdere di vista il senso, la meta, l’entusiasmo del nostro approdo finale. Eppure è davanti alla tomba scoperchiata, vuota, che le donne ascoltano l’inaudito: «Non è qui. È risorto, come aveva detto» (Mt 28, 6). Rivolgono avanti il loro sguardo, escono da se stesse, vedono Gesù e gli stringono i piedi (cf. Mt 28, 9); sono così rigenerate e rincuorate da quell’incontro che le trasforma in apostole. Così è pure per Maria di Magdala, anche lei corre al sepolcro rimanendo come impietrita davanti ad esso: «Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva» (Gv 20,11); è il pianto di chi si ferma atterrito e sconvolto, paralizzato. Ma l’amore la sblocca, un amore persino eccedente: quando vede Gesù lo scambia per il custode del giardino, ritenendo possibile addirittura di poter andare a prendere il cadavere del suo Signore (un uomo e persino un peso morto!) con le sue deboli forze muliebri (cf. Gv 20,15). Solo quando il Maestro la chiama per nome lei lo riconosce e all’invito di Lui si mette in moto, corre, va, annuncia. Come anche con le altre donne, Gesù non si lascia toccare dalla Maddalena e subito la invia a dare il grande annuncio. È qui che l’amore della discepola e della sposa, diventa amore di madre perché trasformato in un amore che lascia liberi, che non cerca di tenere per sé ma si apre alla missione del darsi totalmente agli altri nel nome e con la forza di Cristo Signore.
Vogliamo concludere con un richiamo, quasi un’inclusione, alla testimonianza condivisa all’inizio e ci vengono nuovamente davanti i volti sereni, gioiosamente realizzati di quanti la stanno tenendo alta e con i quali si è ormai instaurato un rapporto di intesa molto forte, di complicità e complementarietà che, mentre ci fa amare ancor più il nostro particolare carisma, ci innamora di quello altrui nella consapevolezza che tutti armonicamente contribuiamo alla bellezza della Chiesa del Risorto. A loro, a tutte le consacrate e consacrati del mondo, a tutti i nostri fratelli e sorelle nella fede, vogliamo dedicare questa riflessione con l’augurio di poter diventare sempre più donne e uomini pasquali.
SUOR MARIA CECILIA LA MELA, OSBAP