Prezzi Lorenzo
La guerra e le fedi
2022/4, p. 1
Si possono distinguere tre livelli in cui si sedimentano elementi di corresponsabilità nella guerra: la teologia del «mondo russo» elaborata dalle élites ecclesiastiche moscovite; lo scisma slavo-ellenico avviato con il riconoscimento dell’autocefalia ucraina nel 2018-2019; la tradizionale dottrina della «sinfonia» che regge il rapporto fra Chiese e imperi, fra Chiese e Stati.

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AGGRESSIONE RUSSA ALL’UCRAINA
La guerra e le fedi
Si possono distinguere tre livelli in cui si sedimentano elementi di corresponsabilità nella guerra: la teologia del «mondo russo» elaborata dalle élites ecclesiastiche moscovite; lo scisma slavo-ellenico avviato con il riconoscimento dell’autocefalia ucraina nel 2018-2019; la tradizionale dottrina della «sinfonia» che regge il rapporto fra Chiese e imperi, fra Chiese e Stati.
Per Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, la grande tragedia del secolo scorso è stata l’implosione dell’Unione Sovietica e il suo compito storico è la ricostruzione dell’impero. Non più sul versante ideologico, ma mitologico-religioso. Per questo l’aggressione militare all’Ucraina non è comprensibile senza un’attenzione esplicita alla convergente spinta dell’Ortodossia russa. L’invito appassionato di papa Francesco alla preghiera, prima il 23 gennaio, poi il mercoledì delle ceneri, il 25 marzo per la consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria sono passi di particolare significato. Davanti ai due milioni di profughi, alle migliaia di vittime civili, alla frantumazione delle famiglie, ai lutti e agli odi procurati dalla guerra (al momento in cui scriviamo, il 16 marzo) per noi religiosi e religiose è bene affrontare le domande spinose. È possibile riconoscere nelle Chiese e nelle loro teologie elementi che hanno favorito o non impedito l’esplosione del conflitto? Nel caso di Russia e Ucraina l’interrogativo è rivolto in particolare alle Chiese ortodosse di Mosca e Kiev. La risposta è, ad un tempo, dolorosa e positiva. In particolare nei confronti della dirigenza della Chiesa russa.
Si possono distinguere tre livelli in cui si sedimentano elementi di corresponsabilità nella guerra: la teologia del «mondo russo» elaborata dalle élites ecclesiastiche moscovite; lo scisma slavo-ellenico avviato con il riconoscimento dell’autocefalia ucraina nel 2018-2019; la tradizionale dottrina della «sinfonia» che regge il rapporto fra Chiese e imperi, fra Chiese e Stati.
Cirillo e Putin
Il «mondo russo» (Russkiy mir) è una corrente di pensiero teologico e di indirizzi pastorali che torna in evidenza con l’elezione di Cirillo a patriarca di tutte le Russie (2009). Essa cresce dopo un paio di decenni tumultuosi e faticosi che hanno accompagnato l’implosione dell’Unione Sovietica e la nascita o rinascita degli Stati precedenti alla rivoluzione d’ottobre (1915). Il patriarcato di Mosca si trova a gestire una transizione che vede la sua autorità ecclesiale messa in questione dalle istanze nazionali. Per mantenere l’unità di Chiese tentate da una piena autonomia si enfatizza non solo l’appartenenza ecclesiale (il rito comune, la gerarchia condivisa, i lunghi decenni di convivenza), ma anche l’unità di destino e di testimonianza del battesimo della ‘Rus di cui nel 1988 si è celebrato il millennio. La memoria storica impasta il presente e il «mondo russo», utilizza filoni mistico-salvifici fortemente incistati nelle devozioni e nel pensiero popolare condiviso. Putin arriva al potere nel 2012 in un contesto di vuoto ideologico e di grande fragilità internazionale della Russia. Ha bisogno di sostanziare la forza del potere acquisito con una corrente di pensiero in grado di giustificarla e sostenerla. La situazione del paese sollecita non solo il bisogno di ordine, ma anche quello del riscatto dell’onore nazionale. Si saldano così indirizzo religioso e pensiero politico, pur appartenenti a due esigenze diverse. Come ha notato Jean-François Colosimo «per Vladimir Putin la religione serve all’ordine sociale e alla morale familiare. In cambio la Chiesa e il suo patriarca aggiungono un discorso religioso all’ideologia in atto. Ma è uno scambio diseguale, perché Putin resta il capo, mentre Cirillo si comporta come una sorta di ministro del culto e, come ogni ministro di Putin, deve dare prova di sottomissione».
Kiev è la culla originaria dell’impero russo, per molti secoli il centro religioso della Rus’. Perdere l’Ucraina significa ferire ogni possibilità di rinascita. Le operazioni militari avviate in Moldavia nel 1992, replicate in Georgia nel 2008 e sperimentate in Crimea (Ucraina) nel 2014 rispondono alla volontà di riconquista della dimensione imperiale del potere del nuovo zar. In sintonia con la dirigenza ecclesiastica. Davanti all’aggressione odierna all’insieme dell’Ucraina si comprende che Cirillo parli di uno scontro fra la Russia mitica e le «forze del male» (omelia del 27 febbraio), fra l’esercito russo e la corruzione occidentale emblematicamente riconosciuta nelle parate degli omosessuali (6 marzo) e, infine, identificando le forze avverse a Putin con il Maligno. Davanti all’intera dirigenza ecclesiale Cirillo il 9 marzo afferma: il diavolo, «il nemico del genere umano … getta una menzogna nelle relazioni tra i nostri popoli (“non siete fratelli” ndr.) e sulla base di questa menzogna si sviluppa un conflitto». Il tutto finalizzato a indebolire la Russia. Non mancano le (poche) voci critiche come quella di 300 preti e diaconi, di Sergey Chapnin (ex responsabile della rivista ufficiale del patriarcato) e del teologo Cyril Hovorun : «Il Cremlino non è dentro una semplice logica di espansione territoriale. La guerra avviata in Ucraina è di altra natura. È condotta in nome di una missione speciale di unificazione religiosa, di protezione di una sorta di terra santa contro l’Occidente. Contro i paesi occidentali giudicati eretici, cattivi e mentitori, essendo cattolici e protestanti. È anzitutto una logica di espansione della “civilizzazione ortodossa”, che è il nodo fondamentale che i teologi ortodossi dovranno decostruire ». L’appartenenza etnica ingloba e soffoca la libertà del Vangelo.
Lo scisma slavo-ellenico
Il secondo livello, che ha una minor carica giustificativa del conflitto, è l’avvio dello scisma intra-ortodosso fra il ceppo slavo e il ceppo ellenico, fra Mosca e Costantinopoli. Il parziale fallimento del grande concilio di Creta (2016) – all’appuntamento mancarono 4 delle 14 Chiese storiche, e fra esse, la Chiesa russa – convince Bartolomeo di Costantinopoli della volontà moscovita di assumersi la centralità dell’Ortodossia mondiale in ragione della sua potenza (150 milioni di fedeli su 250) e lo spinge a concedere l’autocefalia ai dissidenti ortodossi ucraini. L’autocefalia o l’autonomia di una Chiesa locale non faceva problema nei primi secoli della Chiesa se una Chiesa locale mostrava di avere le condizioni di piena sussistenza. Ma con l’Ottocento si impasta con le spinte nazionali e appare oggi come la piena identità di una Chiesa. La decisione di Bartolomeo, che “forza” i canoni della tradizione ortodossa ed è sostenuta vistosamente dagli Stati Uniti, provoca Cirillo (largamente supportato dal governo), che risponde con furia: toglie la comunione eucaristica (atto di rottura) con Costantinopoli e le Chiese che lo hanno seguito (Alessandria, Cipro, Grecia), inventa un esarcato per l’Africa (contro Alessandria), sponsorizza i dissidenti in Grecia e a Cipro, delegittima sistematicamente il “primato” di Bartolomeo. La frattura si espande rapidamente nelle comunità ortodosse della diaspora in Occidente e favorisce la concentrazione di ciascuna Chiesa su se stessa. Si riaprono vecchie e nuove ferite. Succede che la Facoltà teologica di Friburgo (Svizzera) sospenda la cattedra del metropolita Hilarion (il numero due della gerarchia russa), che i vertici dei cattolici e protestanti francesi, latori di una missiva per Putin, trovino fisicamente la porta chiusa della maggiore chiesa ortodossa di Parigi e che nel Consiglio ecumenico delle Chiese, l’istituzione rappresentativa più estesa delle Chiese cristiane, si proponga di sospendere la Chiesa russa dai nuclei direttivi. In Ucraina la Chiesa filo-russa prende posizione contro l’invasione, avvicinandosi alle altre Chiese in nome della difesa della patria. Ma, in precedenza, lo scontro fra le due Chiese ortodosse e nella società ucraina si era focalizzato contro e pro la Russia. Una tensione che ha favorito il conflitto.
Chiesa ortodossa e Stato
Il terzo livello, quello dei rapporti fra Stati e Chiese, non ha influenzato il conflitto in senso attivo. Il richiamo alla «sinfonia» è rilevante per il caso russo-ucraino per l’assenza di una dottrina e pratica che preveda e attraversi l’eventuale conflitto fra comunità ecclesiale e comunità politica. Nel caso di un governo compatibile la «sinfonia» garantisce la collaborazione, ma nel caso di un governo o di decisioni non compatibili, essa rende problematica l’accensione di una profezia critica. Così viene definita in due distinti e diversi testi recenti di dottrina sociale sul versante russo e su quello ellenico. «La sua sostanza (della “sinfonia”) è la collaborazione reciproca, il sostegno reciproco e la responsabilità reciproca, senza intrusione di una parte nella sfera di competenza dell’altra. Lo Stato nei rapporti sinfonici con la Chiesa cerca da essa il sostegno spirituale, chiede per sé preghiere e benedizioni per le attività volte al raggiungimento degli obiettivi che servono al benessere dei cittadini, e la Chiesa riceve assistenza dallo Stato nel creare condizioni favorevoli alla predicazione e per il nutrimento spirituale dei suoi figli, che sono anche cittadini dello Stato» (I fondamenti del pensiero sociale della Chiesa ortodossa russa). «Anche oggi il principio della “sinfonia” può continuare a guidare la Chiesa nei suoi sforzi di collaborare con i governi, per il bene comune e la lotta contro l’ingiustizia. Non può tuttavia essere invocata, come giustificazione per imporre l’ortodossia religiosa o per promuovere la Chiesa come forza politica». (Verso un ethos sociale della Chiesa ortodossa).
Ecclesiologia di comunione
Il complesso compattarsi fra piano simbolico-religioso e politico-militare mette in difficoltà la lettura dei media occidentali, segnati da alta professionalità ma anche da una larga incultura teologica. Tre le vittime predestinate dalla tragedia ucraina. La prima sono le Chiese ortodosse. Già travagliate dallo scisma fra Chiese slave e Chiese di tradizione ellenica, sono ora additate, Russia anzitutto, come parte del ritorno della guerra in Europa. In secondo luogo la crisi atrofizza l’ecumenismo. Già da tempo in difficoltà a causa della crescita dell’identitarismo confessionale, sembra destinato a un lungo inverno, nonostante l’impegno di molti. Ma è l’insieme del cristianesimo che vede erodere la sua credibilità. È facile, tuttavia, immaginare che, una volta tramontato il potere di Putin e ridisegnati i vertici ecclesiali, si debba ricorrere alla corrente calda della fede per ricostruire, assieme alle istituzioni, un tessuto civile che impedisca l’esplosione della Russia. Conclusione persino più grave dell’attuale, drammatica, guerra. «È chiaro che in questo contesto, solo una teologia purificata da ogni manicheismo e una ecclesiologia di comunione permetterà alla Chiesa ortodossa russa di sbarazzarsi del suo discorso imperialista. La Chiesa ortodossa ucraina (il riferimento è alla Chiesa autocefala ndr.) rappresenta una fonte di speranza … Gli sforzi intrapresi (uscire dal circolo vizioso di una ecclesiologia politica ndr.) dalla Chiesa greco-cattolico ucraina e dalla Chiesa ortodossa d’Ucraina devono essere incoraggiati. Esse possiedono una delle chiavi principali della riconciliazione futura fra Russia e Ucraina» (Antoine Arjakovsky, storico).
LORENZO PREZZI