Balocco Francesca
Quando si è capaci di generare
2022/3, p. 3
Oggi la salvezza; oggi qui e ora, nella crisi, lasciamoci ispirare… da chi nelle crisi ci ha preceduto con la generosità, la collaborazione, il servizio dell’autorità e la bellezza… e l’invito a guardarci attorno e scoprire quotidianamente il soffio della nostra ispirazione, lo Spirito di Dio che fin dall’origine aleggia sopra il caos… Ricordando che il caos, la crisi, la confusione, continuano ad essere i posti preferiti da Dio per creare qualcosa di nuovo e inaudito.

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Quando si è capaci di generare
Oggi la salvezza; oggi qui e ora, nella crisi, lasciamoci ispirare… da chi nelle crisi ci ha preceduto con la generosità, la collaborazione, il servizio dell’autorità e la bellezza… e l’invito a guardarci attorno e scoprire quotidianamente il soffio della nostra ispirazione, lo Spirito di Dio che fin dall’origine aleggia sopra il caos… Ricordando che il caos, la crisi, la confusione, continuano ad essere i posti preferiti da Dio per creare qualcosa di nuovo e inaudito.
Ester: nella crisi il servizio dell’autorità
Ancora una volta siamo di fronte alla storia di una donna bellissima e intelligente, dentro una storia di vicende sofferte che permetteranno a Ester di compiere un passo verso l’assunzione della responsabilità nei confronti della vita di altri.
È il racconto della scoperta di una vocazione e di come tutto concorre perché questa vocazione non solo sia scoperta ma anche assunta e vissuta. Ester, dunque, giovane donna bella e saggia non ha avuto una vita facile. Orfana, ebrea, adottata dallo zio Mardocheo, straniera, appartenente a un popolo sottomesso alla potenza dei Persiani, impara dalla vita.
Il racconto è semplice. Ester vive in una città babilonese, sotto la tutela di Mardocheo, siamo circa nel 480 a.C. Il Re persiano Assuero, come da costume amava lussuosi banchetti e in una di queste feste decide di mostrare ai commensali la più bella tra le sue regine: Vasti. Ma, colpo di scena, la regina Vasti si rifiuta di obbedirgli e di presentarsi agli ospiti. Il re, sentendosi offeso, la ripudia. Il re si mette poi alla ricerca di una “sostituta”, da questo fatto inizia il rovesciamento delle sorti, Mardocheo zio di Ester entra in servizio nel palazzo e la bellezza di Ester conquista subito Assuero.
«Il re si innamorò di Ester: ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale» (2,17).
Ben presto, nel racconto, si crea una situazione di conflitto tra Mardocheo e Aman, un funzionario del re che pensa di risolvere la questione pensando di eliminare tutti i giudei nel regno di Persia e a questo scopo convince il re ad emanare un editto. Mardocheo viene a sapere del fatto ma è anche consapevole della sua impotenza, l’unica via che gli resta è coinvolgere la regina Ester. Le chiede di intervenire a favore del suo popolo dicendole con chiarezza una parola illuminante: «Non dire a te stessa che tu sola potrai salvarti nel regno, fra tutti i giudei» (4,13). Mardocheo sembra dire una profonda verità: ci si salva insieme, nessuno, nemmeno la regina, può pensare di salvarsi da sola. Attraverso una domanda, Mardocheo, invita Ester a rileggere in profondità la sua vicenda: «Chi sa che tu non sia diventata regina proprio per questa circostanza?» (4,14).
Ester si trova davanti alla scelta fondamentale: rischiare la propria vita per salvare il suo popolo o salvare la propria vita rischiando la distruzione del suo popolo? Siamo davanti a una scelta che non è facile compiere, nessuna concubina poteva presentarsi al cospetto del re senza essere da lui invitata, ma stare alla presenza del re è l’unica via di salvezza per Ester e il suo popolo. Digiuna, si veste con abiti dimessi, prega con intensità: «Ricordati, Signore … salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non ho altri che te, Signore!» (4,17r-17t). Poi veste gli abiti da regina, la sposa è pronta per stare al cospetto del re, ma soprattutto per collaborare al progetto di salvezza di Dio. La sua bellezza incanta il re che le promette tutto quanto gli chiederà. Ester di fronte alle decisioni difficili della vita, quando ne va di lei e di coloro che ama, sa prendersi del tempo; sa ritrovare forza e bellezza dentro una relazione con il Signore, sa custodire l’intimità con il suo Dio per esporsi poi sulla scena politica e pubblica.
La conclusione del racconto, tra molte altre vicende, è la celebrazione di una festa, la festa di Purim, che servirà a ricordare, fino ad oggi, che il Signore salva il suo popolo rovesciando le sorti. Ester, regina segnata da una debolezza radicale, è all’origine di questo ribaltamento, lei piccola sorgente si trasforma in un fiume dalla forza travolgente attraverso la decisione di dare la vita per il suo popolo. In una situazione di prepotenza che sembrava inespugnabile, grazie a questa giovane donna, il bene vince il male, la vita rinasce, la gioia rifiorisce come una sorgente che sgorga in terra arida.
Forse anche noi consacrati siamo chiamati a generare vita nelle situazioni di morte, a credere nella forza e promessa della vita più che alle minacce e alla paura della morte. Forse per questa forza, che non sappiamo fino in fondo di avere, siamo stati “scelti” per vivere questo tempo…
Giuditta: nella crisi la bellezza
Un’altra ispirazione per questo tempo ci viene dalla storia di Giuditta che rivela ancora una volta il legame particolare che c’è tra le storie di donne e la Storia della salvezza. La storia di una donna e la storia della salvezza offerta ad un intero popolo e alle generazioni future. Da sempre si racconta la capacità delle donne di far perdere la testa agli uomini ma Giuditta mette in pratica alla lettera questa saggezza popolare: fa perdere la testa ad Oloferne, con due colpi di scimitarra. Oloferne, capo delle fila nemiche, che ha avuto la malaugurata idea di mettersi contro Israele, il popolo di Giuditta, contro i suoi deboli, contro i suoi poveri (16,11). Di fronte all’incapacità di reazione degli israeliti, paralizzati dalla paura, dall’oppressione e dal dominio del nemico, Giuditta si mostra capace, non solo di restare in piedi, ma anche di esporsi in tutta la sua bellezza e di agire con tutta la forza di cui è capace (13,8).
Giuditta, nome che significa giudea, ci mostra che la storia non è solo opera dei grandi. Questa donna, nella quale ogni donna può e deve avere il coraggio di riconoscersi, nasce e vive dentro un popolo, freme e agisce a suo favore, lo libera dal suo nemico e ci aiuta a credere che la storia, pur registrando le imprese dei grandi, si snoda in un quotidiano, in una anonima ferialità.
Una donna porta a compimento il desiderio di vita e di salvezza di Dio; la forza di Dio ha bisogno del sostegno della debolezza di una donna. L’arma e la risorsa di Giuditta è la sua bellezza, il suo corpo; un corpo che, dopo aver sconfitto il nemico, danza e canta, mettendosi a capo di un popolo fatto non solo di uomini, ma anche di donne e con il suo canto aiuta a cantare i deboli, chi direttamente non era sceso in guerra ma ugualmente aveva conosciuto l’oppressione. Ora, il popolo, che può cantare la sua liberazione, ritrova l’agilità, la forza e la gioia della danza, che esige il coraggio dello sbilanciamento, la perdita dell’immobilità, di un equilibrio paralizzante e rassicurante, per affidarsi al rischio di un passo che non trascina in una caduta ma spinge verso la risalita, un passo che è una corsa carica di un annuncio di salvezza e di gratitudine.
Il compito di Giuditta, della vita consacrata è di vivere in mezzo al popolo e dentro la storia, è di aiutare il popolo ad avere il coraggio e la forza di rivolgere la parola e di sciogliere i propri sentimenti davanti al Dio che libera, al Dio che dà Vita, al Dio che dà vittoria.
Ma per fare questo è stato necessario un gesto audace: spogliarsi degli abiti del lutto, vestirsi degli ornamenti di festa. Trovare un posto al dolore - che non svanisce magicamente - e continuare a lottare per quel popolo che amiamo. Ci vuole coraggio ed esercizio per dare dignità al dolore e dare, allo stesso tempo, dignità alla bellezza.
Giuditta ci riporta al realismo della vita, che ci mostra come in ognuno ci sia la complessa ambiguità di forza e debolezza, bellezza e violenza. La trama della vita non si risolve, fortunatamente, in modo così semplicistico separando i buoni dai cattivi ma è necessario lo Spirito di Dio per discernere che il Dio della Vita è il vero liberatore, che sconvolge le vie umane di pensare e di agire e che non è insensibile al grido del suo popolo, e allo stesso tempo scoprire che il suo modo di agire è all’insegna della sorpresa e dello stupore, fino a ad essere scandalo, inciampo, per chi vorrebbe un Dio che agisce, libera e salva al di fuori della storia, della vita, della debolezza e della bellezza delle donne e degli uomini che con i loro corpi la scrivono.
Come collaborare alla salvezza? Trovando un posto al dolore e imparando a danzare nuovamente, riportando al cuore e alla memoria quella musica di festa che la vita ci ha insegnato e che la pandemia non ha cancellato. Si tratta allora di coinvolgere altri nella dimensione festosa della vita, di vincere la paura attraverso la bellezza…
FRANCESCA BALOCCO