Chiaro Mario
Culle vuote e lo shock della affermazione di papa Francesco
2022/3, p. 25
Con un’aspettativa di vita alla nascita di circa 80 anni, con solo 400mila nascite all’anno, l’Italia rischia di diventare nel lungo periodo un paese con circa 30 milioni di abitanti. L’aumento della vita media porta sempre più futuro per ognuno di noi singolarmente, ma sempre meno per tutti noi insieme.

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IL DECLINO DEMOGRAFICO ITALIANO
Culle vuote e lo shock
dell’affermazione di papa Francesco
Con un’aspettativa di vita alla nascita di circa 80 anni, con solo 400mila nascite all’anno, l’Italia rischia di diventare nel lungo periodo un paese con circa 30 milioni di abitanti. L’aumento della vita media porta sempre più futuro per ognuno di noi singolarmente, ma sempre meno per tutti noi insieme.
Nella prima settimana di quest’anno, durante l’Udienza generale del 5 gennaio 2022, un intervento di papa Francesco è stato segnato da un’affermazione forte su quelle famiglie in cui gli animali di compagnia arrivano a occupare il posto dei figli. Sono parole che hanno immediatamente provocato un acceso dibattito. Sui media sono apparsi titoli a effetto del tipo “culle vuote e cucce piene paradigma dell’egoismo umano”, “culle vuote? Anche i portafogli lo sono...". Sono subito montate polemiche sui social e il tema è diventato motivo di contestazioni anche a livello internazionale su quotidiani e siti importanti, dal Guardian al New YorkTimes.
Qual è il ragionamento di papa Francesco? Dopo aver inquadrato la nostra come “epoca di notoria orfanezza”, egli ha elogiato «tutti coloro che si aprono ad accogliere la vita attraverso la via dell’adozione, che è un atteggiamento così generoso e bello… Questo tipo di scelta è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità. Quanti bambini nel mondo aspettano che qualcuno si prenda cura di loro! E quanti coniugi desiderano essere padri e madri ma non riescono per motivi biologici; o, pur avendo già dei figli, vogliono condividere l’affetto familiare con chi ne è rimasto privo. Non bisogna avere paura di scegliere la via dell’adozione, di assumere il “rischio” dell’accoglienza. E oggi, anche, con l’orfanezza, c’è un certo egoismo. L’altro giorno, parlavo sull’inverno demografico che c’è oggi: la gente non vuole avere figli, o soltanto uno e niente di più. E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti … Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere, capisco, ma è la realtà. E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità».
Impatto della pandemia sulle nascite
Queste provocazioni di papa Francesco si inseriscono nell’attuale dibattito sociale e politico, che si sta sviluppando a partire dalla pubblicazione del bollettino dell'Istat Natalità e fecondità della popolazione residente 2020. Fra i tanti emerge un dato fondamentale: i nati in Italia nel 2021 per la prima volta scenderanno sotto la soglia dei 400mila. Un’ulteriore conferma della tendenza di declino demografico del nostro paese. Nel 2020 i nati sono stati 404mila (-15mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%). La discesa accelera dunque in misura marcata nei mesi di novembre e, soprattutto, di dicembre, in corrispondenza dei concepimenti dei primi mesi dell’ondata epidemica. Nel Nord-ovest, più colpito dalla pandemia durante la prima ondata, a dicembre il calo tocca il 15,4%. Il clima di incertezza e le restrizioni relative al lockdown sembrano dunque aver influenzato la scelta di rinviare il concepimento. A gennaio 2021 si rileva la massima riduzione di nati a livello nazionale: queste nascite sono, per la quasi totalità, riferibili ai concepimenti di aprile e maggio 2020.
Il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre e febbraio, riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica, poteva essere dovuto al posticipo di pochi mesi dei piani di genitorialità. Tuttavia, dai primi dati disponibili, tale diminuzione sembra l’indizio di una tendenza più duratura in cui il ritardo è persistente o, comunque, tale da portare all’abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva.
Ricostruire il futuro demografico
Gian Carlo Blangiardo, dal 2019 alla guida dell’Istituto nazionale di statistica, ha avvertito che «con il passare del tempo la popolazione perde la sua fisionomia iniziale: stante l’aspettativa di vita alla nascita di circa 80 anni, 400mila nascite sono compatibili con una popolazione che nel lungo periodo si ferma a poco più di 30 milioni, non di 59 come è adesso». In questo contesto, si chiede al sistema politico-economico di muoversi per tempo, «altrimenti la prospettiva per l’Italia non è solo l’invecchiamento generale della popolazione, di cui si parla tantissimo ma alla fine sembra che non sia una vera emergenza, ma anche un serio rischio per la nostra economia» (Il Sole 24 Ore).Con questi dati, si può ipotizzare che nei prossimi venti anni la popolazione scenda di circa 4 milioni, con un calo del Prodotto interno lordo che arriverebbe quasi a -18,6%. Si confermerebbe che «l’aumento della vita media porta sempre più futuro per ognuno di noi singolarmente, ma sempre meno per tutti noi insieme»!
C’è dunque urgenza di interventi immediati per invertire questa tendenza: con la creazione di un ambiente favorevole per chi fa figli (in questa prospettiva è utile l’assegno unico universale); il coinvolgimento del mondo imprenditoriale nella logica di un welfare di comunità; un nuovo modello di immigrazione che sia accogliente, regolata e funzionale al sistema paese.
Alla base di tutto, questa fase auspicabile di progressiva uscita dall’emergenza data dal Covid-19 dovrebbe essere il momento opportuno per pensare la ricostruzione del futuro demografico dell’Italia.
Intervistato da la Repubblica, il presidente dell’Istat ha fatto notare che le donne, insieme ai giovani, sono quelle che hanno più sofferto durante la pandemia da Covid-19: «C’è una enorme difficoltà a gestire la famiglia, a conciliare i tempi del lavoro con la crescita di un figlio. Se un asilo mi costa 500 euro al mese e io ne guadagno 800, rinuncio al lavoro e resto a casa. Ad agosto 2021 su 80mila posti di lavoro persi, 68mila sono donne. E a rischio c’è anche la valorizzazione della cultura, della formazione, della preparazione professionale delle donne. Per questo la strada giusta è quella dell’assegno unico universale allargato proprio a tutti».
Per quanto riguarda i giovani, «rispetto alle precedenti generazioni sono più deboli, meno capaci di reagire, meno avvezzi a rimboccarsi le maniche. Ma sono preparati, hanno grandi potenzialità, sono al passo con i tempi. Quello che occorre fare è aiutarli a trovare stimoli e gratificazioni, guidarli verso obiettivi anche piccoli, lavorare sulla loro autostima».
La natalità secondo papa Francesco
Abbiamo ricordato all’inizio le provocazioni di papa Francesco per spingere le famiglie ad accogliere la vita attraverso la via dell’adozione. A questo punto però, per inquadrare la visione complessiva del pontefice, che conferma sostanzialmente le tendenze demografiche riportate dai report statistici, occorre rileggere il suo discorso di apertura durante gli Stati Generali della natalità (14 maggio 2021).
«I dati dicono che la maggior parte dei giovani desidera avere figli. Ma i loro sogni di vita, germogli di rinascita del paese, si scontrano con un inverno demografico ancora freddo e buio: solo la metà dei giovani crede di riuscire ad avere due figli nel corso della vita. L’Italia si trova così da anni con il numero più basso di nascite in Europa, in quello che sta diventando il vecchio continente non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata. Questo nostro paese, dove ogni anno è come se scomparisse una città di oltre duecentomila abitanti, nel 2020 ha toccato il numero più basso di nascite dall’unità nazionale: non solo per il Covid, ma per una continua, progressiva tendenza al ribasso, un inverno sempre più rigido». Ricordando che molte famiglie nei mesi cruciali della pandemia hanno dovuto fare gli straordinari, dividendo la casa tra lavoro e scuola, ha invitato a «prendersi cura delle famiglie, in particolare di quelle giovani, assalite da preoccupazioni che rischiano di paralizzarne i progetti di vita. Penso allo smarrimento per l’incertezza del lavoro, penso ai timori dati dai costi sempre meno sostenibili per la crescita dei figli: sono paure che possono inghiottire il futuro, sono sabbie mobili che possono far sprofondare una società. Penso anche, con tristezza, alle donne che sul lavoro vengono scoraggiate ad avere figli o devono nascondere la pancia. Com’è possibile che una donna debba provare vergogna per il dono più bello che la vita può offrire? Non la donna, ma la società deve vergognarsi, perché una società che non accoglie la vita smette di vivere. I figli sono la speranza che fa rinascere un popolo! Finalmente in Italia si è deciso di trasformare in legge un assegno, definito unico e universale, per ogni figlio che nasce. Esprimo apprezzamento alle autorità e auspico che questo assegno venga incontro ai bisogni concreti delle famiglie, che tanti sacrifici hanno fatto e stanno facendo, e segni l’avvio di riforme sociali che mettano al centro i figli e le famiglie. Se le famiglie non sono al centro del presente, non ci sarà futuro; ma se le famiglie ripartono, tutto riparte».
Per guardare proprio alla ripartenza, il papa ha sviluppato tre prospettive per risollevarci dall’inverno demografico. La prima verte attorno alla parola dono: un figlio è il dono più grande per tutti e viene prima di tutto; dobbiamo ritrovare il coraggio di donare, il coraggio di scegliere la vita. La seconda prospettiva ruota attorno alla parola sostenibilità. «Si parla spesso di sostenibilità economica, tecnologica e ambientale e così via. Ma occorre parlare anche di sostenibilità generazionale. Non saremo in grado di alimentare la produzione e di custodire l’ambiente se non saremo attenti alle famiglie e ai figli. La crescita sostenibile passa da qui… e le cifre drammatiche delle nascite e quelle spaventose della pandemia chiedono cambiamento e responsabilità». La sostenibilità ha bisogno poi di un’anima, la solidarietà: «come c’è bisogno di una sostenibilità generazionale, così occorre una solidarietà strutturale. La solidarietà spontanea e generosa di molti ha permesso a tante famiglie, in questo periodo duro, di andare avanti e di far fronte alla crescente povertà. Tuttavia non si può restare nell’ambito dell’emergenza e del provvisorio, è necessario dare stabilità alle strutture di sostegno alle famiglie e di aiuto alle nascite. Sono indispensabili una politica, un’economia, un’informazione e una cultura che promuovano coraggiosamente la natalità». Per rinnovarsi oggi occorrono politiche familiari di ampio respiro, lungimiranti: non basate sulla ricerca del consenso immediato, ma sulla crescita del bene comune a lungo termine. Qui sta la differenza tra il gestire la cosa pubblica e l’essere buoni politici.
MARIO CHIARO