Prati Anita
Qualcosa è cambiato
2022/3, p. 8
C’è ancora molto, molto da fare, per smantellare un sistema di pensiero millenario, certo. Però… però qualcosa è cambiato, e il “Buonasera” di papa Francesco ha contribuito a fare la sua parte.

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PERCORSO ATTRAVERSO LE PIEGHE DELLA STORIA
Qualcosa è cambiato
C’è ancora molto, molto da fare, per smantellare un sistema di pensiero millenario, certo. Però…però qualcosa è cambiato, e il “Buonasera” di papa Francesco ha contribuito a fare la sua parte.
Che qualcosa stesse cambiando l’avevamo già capito in quella strana giornata di metà febbraio, quando la notizia delle dimissioni di Benedetto XVI andava perdendo l’aria da fake news per accreditarsi nella formalità delle comunicazioni ufficiali. Il papa dimissionario… una notizia proprio da non credere! Certo, con uno sforzo di memoria ci si poteva ricordare di Celestino V, adombrato nel celebre verso dantesco “colui che fece per viltade il gran rifiuto” e tratteggiato, nel suo drammatico dilemma interiore, nelle limpide pagine dell’ultimo romanzo di Ignazio Silone, L’avventura di un povero cristiano. Ma la storia dell’eremita Pietro da Morrone, divenuto papa contro la sua volontà e dimissionario pochi mesi dopo la sua elezione, si perdeva nelle nebbie del medioevo. Altra cosa un papa che rinuncia al papato nell’anno 2013. Perché, si sa, le dimissioni sono cose da gente normale. E il papa…il papa mica è una persona normale, una persona come tutte le altre.
Lo shock delle dimissioni di Benedetto XIV
e l’elezione di papa Francesco
Comunque, la notizia era certa e ufficiale: Benedetto XVI aveva dato le dimissioni e alle ore 20.00 del 28 febbraio 2013 la sede di san Pietro sarebbe diventata vacante. Il tempo che i cardinali elettori arrivassero a Roma, sistemassero le loro cose e dessero inizio alle consultazioni, un paio di giorni di conclave, e poi, la sera di mercoledì 13 marzo, la fumata bianca. Alla notizia, tutti di corsa davanti alla televisione, mescolando nell’attesa trepidazione e curiosità. Finalmente i grandi finestroni della loggia di san Pietro vengono aperti, il protodiacono avanza e, leggendo da un grande libro, pronuncia con emozione le parole di rito:“Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam!”. Il nuovo papa è un certo cardinale Bergoglio che, per quanto eminentissimum ac reverendissimum, risulta sconosciuto ai più; però il latino rituale, tanto facilmente comprensibile, subito provoca una scossa: “Qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Un papa di nome Francesco. Francesco, il poverello d’Assisi, lo sposo di Madonna Povertà, l’amico di Chiara, il poeta del Cantico delle creature. L’idea che le cose stessero cambiando cominciava per davvero a materializzarsi. Intanto sul balcone viene disteso il grande tappeto con gli stemmi vaticani, poi vengono scostati i pesanti cortinaggi color porpora ed ecco, dal loggiato si affaccia il papa biancovestito, senza stole, senza cappe o paramenti ricamati, con una semplice catena e una croce sul petto. Il papa sorride a lungo guardando la folla, e poi saluta con un disarmante “Buonasera”.
Andando a ritroso nella storia
La prima spallata al potere temporale dei papi l’avevano data i francesi alla fine del Settecento quando, sull’onda della Rivoluzione, il modello repubblicano era stato, più o meno democraticamente, esportato in tutta Europa, Italia compresa, ed erano nate le cosiddette “Repubbliche sorelle”. Tra queste, anche la Repubblica Romana. Due papi, Pio VI e Pio VII, finirono esiliati e prigionieri dei francesi. Poi venne la Restaurazione e il papato fu ripristinato nelle sue prerogative di sovranità assoluta; lo Stato Pontificio sembrò allora poter chiudere l’infausta parentesi repubblicana, ricominciando la storia di sempre, tra gli intrallazzi del clero e della nobiltà e la vita di povertà e di espedienti del popolino.
Un singolare ed efficace affresco della Roma papalina ottocentesca lo si può ritrovare nei sonetti del Belli: Roma appare come una città segnata dalla violenza, dalla miseria morale, dall’immobilismo, dalla assoluta mancanza di spirito evangelico. Nel sonetto La vita da cane, l’apparente difesa del papa, accusato di trascorrere oziosamente le sue giornate, si traduce in un’antifrastica denuncia del potere temporale: Chi jje li conta li quadrini sui? / Chi l’ajjuta a ccreà li cardinali?/ Le gabbelle, pe ddio, nnu le fa llui? La fatica più grande, poi, la fatica da facchino, consiste nello stracciare tutto il giorno le suppliche e gli appelli che il popolo gli scrive e bbuttalli a ppezzetti in ner cestino!
Pio IX, l’Unità d’Italia
e il Concilio Vaticano I
Nel giugno del 1846 viene eletto un nuovo papa, giovane, questa volta, poco più che cinquantenne. Pio IX, il papa riformatore, sembra per un biennio poter raccogliere le speranze che animavano lo spirito risorgimentale proteso verso l’unità d’Italia. Ma poi nel ’48 arriva Mazzini, Roma diventa Repubblica per una seconda volta, e per una seconda volta il papa re si ritrova senza regno. Il tempo di stendere una Costituzione che abolisce la pena di morte e concede ad ogni cittadino che gode i diritti civili e politici (quindi anche alle donne) il diritto di voto, e l’esperimento repubblicano finisce, giusto l’intervento dei francesi che questa volta danno man forte al papa e lo aiutano a rientrare a Roma. La vicenda di Roma in mano ai repubblicani rappresenta, nella biografia di Pio IX, un vero e proprio trauma; le velleità di riforma vengono abbandonate e dal 1850 in poi, e per lungo tempo, avremo solo pontificati arroccati in posizione di difesa, nostalgicamente affannati a difendere l’idea di un mondo che non c’è più.
Nel 1861 viene proclamata la tanto sospirata unità. A completare il profilo unitario della penisola mancavano, però, ancora il Veneto e Roma. La Terza guerra d’indipendenza portò all’annessione del Veneto nel 1866; intanto Garibaldi, al grido di “Roma o morte”, tentava a più riprese, ma senza successo, la conquista armata dell’Urbe. In quel clima d’assedio, l’8 dicembre 1869 Pio IX diede inizio al Concilio Vaticano Primo; due le questioni principali poste davanti ai 792 padri conciliari: la conferma delle posizioni espresse dal pontefice nel Sillabo; e l’affermazione del dogma dell’infallibilità papale. I lavori del Concilio, seguiti per la prima volta dalla stampa nazionale ed estera, portarono all’approvazione, il 18 luglio seguente, della costituzione dogmatica Pastor Aeternus, che sanciva il dogma del primato e dell’infallibilità del papa. Ma gli eventi precipitavano e, per uno di quei singolari casi della storia che non raramente accadono, proprio il giorno successivo, 19 luglio, ebbe inizio la guerra franco-prussiana. In tempi rapidi la Francia, dopo la disastrosa battaglia di Sedan, fu costretta alla resa, l’impero di Napoleone III, che aveva assunto il ruolo di garante del potere temporale del pontefice, ebbe fine, e le truppe dell’esercito sabaudo iniziarono ad avvicinarsi al confine laziale. L’esercito giunse a Roma senza incontrare resistenza; all’alba del 20 settembre 1870 iniziarono i cannoneggiamenti delle mura; quindi i reggimenti italiani penetrarono in città attraverso la breccia di porta Pia, quasi senza combattere. Pio IX, che nel decennio precedente aveva rifiutato ogni iniziativa volta a comporre la questione romana per via diplomatica, si ritirò nel palazzo del Vaticano, dichiarandosi prigioniero politico.
La breve comparsa di papa Luciani
e il “buona sera” di papa Bergoglio
Operazione militare priva di qualsiasi valore strategico, la presa di Roma costituisce, però, uno snodo simbolico fondamentale nella storia contemporanea. Roma capitale d’Italia, infatti, non rappresentava soltanto il coronamento dei sogni risorgimentali, ma veniva anche a sancire definitivamente la fine del secolare potere temporale del papato: dopo il 20 settembre 1870 l’epoca del papa re poteva dirsi tramontata. Di quel potere temporale rimaneva, però, insidiosa, la nostalgia. Rimaneva, se non in altro, nelle evidenze simboliche faticosamente dismesse nel corso di un cammino più che centenario – la tiara e il triregno, la sedia gestatoria, i paramenti museali, i gesti ieratici, il linguaggio aulico e il plurale maiestatis.
Pochi giorni dopo la sua elezione, rivolgendosi ai cardinali che lo avevano eletto, papa Luciani si affrancò, con un moto spontaneo, dalle briglie del testo ufficiale che gli era stato preparato, commentando sorridendo e con una sana dose di autoironia la formulazione ingessata del testo della benedizione:
Spero che i miei confratelli cardinali aiuteranno questo povero Cristo, vicario di Cristo, a portare la croce con la loro collaborazione, di cui io sento tanto il bisogno (…). Non dovete pensare soltanto alla vostra diocesi: i vescovi devono pensare anche alla chiesa universale, dobbiamo lavorare insieme (…). Cerchiamo insieme di dare al mondo spettacolo di unità, anche sacrificando qualche cosa, alle volte; ma noi avremo tutto da perdere se il mondo non ci vede saldamente uniti. Con questo, faccio a voi i più grandi auguri e termino con la benedizione apostolica che il cardinal decano ha domandato; e, dico la verità, mi fa un po’ strano dar la benedizione apostolica... Siete tutti successori degli apostoli anche voialtri… Ad ogni modo è scritto qui. In nome di Cristo imparto con effusione di sentimento a voi, ai vostri collaboratori ed a tutte le anime affidate alla vostra cura pastorale le primizie della mia propiziatrice Apostolica Benedizione. Un po’ aulico il linguaggio... (risatina).
C’è ancora molto, molto da fare, per smantellare un sistema di pensiero millenario, certo. Però…però qualcosa è cambiato, e il “Buonasera” di papa Francesco ha contribuito a fare la sua parte.
ANITA PRATI