Gaetani Luigi
Come restare umani rispetto al nuovo che sta accadendo
2022/2, p. 1
Nel suo intervento, alla LXI Assemblea generale (8-11 novembre 2021) a Torino-Valdocco, il presidente della Conferenza italiana dei superiori maggiori, Luigi Gaetani, offre una lettura di questo passaggio critico, lasciandosi interpellare dall’immaginario del futuro, dallo stile cristiano di una comunità-famiglia e da una forma sinodale di vita per dire l’urgenza profetica, per la vita religiosa, di recuperare l’umano.

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Come restare umani rispetto al nuovo che sta accadendo
Ci sono dei momenti, nella vita personale e collettiva, che portano l’umanità come su una frontiera. È un esodo duro, un passaggio critico, un grido di disperata speranza, in mezzo a tanto bisogno di chiarezza. Anche per la vita consacrata, come per tutte le donne e gli uomini di tutti i tempi, restano vere la parola che Pietro scriveva nella sua Prima lettera: «Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti - ma piuttosto, nel profondo del vostro cuore, un’anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio» (1Pt 3,3-4). Nel suo intervento, alla LXI Assemblea generale (8-11 novembre 2021) a Torino-Valdocco, il presidente della Conferenza italiana dei superiori maggiori, Luigi Gaetani, offre una lettura di questo passaggio critico, lasciandosi interpellare dall’immaginario del futuro, dallo stile cristiano di una comunità-famiglia e da una forma sinodale di vita per dire l’urgenza profetica, per la vita religiosa, di recuperare l’umano.
1. L’immaginario del futuro
Oggi l’umanità, stanca, vive sul bordo del pozzo. Tutti cercano una parola breve su questo tempo che non sappiamo ancora definire, ma che abbiamo necessità di comprendere dentro un nuovo immaginario del futuro.
La pandemia ha solo fatto emergere la distanza già esistente tra l’homo faber e l’homo fictus, costruito dalla immaginazione (racconti favolosi, leggende). Oggi prendiamo atto che l’idea di progresso sia una grande narrazione, che ha assorbito e orientato le migliori energie a disposizione, portando l’umanità a derive allarmanti. Gli ideali dell’immaginario, che hanno fondato le realizzazioni più belle e durature della cultura occidentale, hanno lasciato il posto alla tecnologia, concepita come priva di limiti e senza la possibilità di un suo ripensamento critico.
Da qui l’altra grande separazione, quella nei confronti della natura - anche da quella umana -, intesa sempre più come oggetto da manipolare, non tenendo conto che la natura presenta una complessità enorme e in gran parte sconosciuta e, che senza un approccio prudente, può portare a disastri immani. L’esperienza quotidiana ci pone dinanzi a questo dramma dell’uomo, che, nonostante le grandi conquiste, resta sull’orlo dell’abisso, della nevrosi, della disperazione.
L’immaginazione, come ogni attività umana, conosce modalità sane e malate. Quella del progresso come crescita a tutti i costi è stata una modalità malata, soprattutto perché imposta ad ogni cultura. Come guarirne a livello economico, di pensiero e di forma di vita?
1.1. A livello economico
È evidente che «questa economia uccide» (papa Francesco), che non è sostenibile un modello interessato all’incremento ossessivo del PIL, ad un’azione economica orientata al solo profitto e all’interesse privato. Necessitiamo di un’economia integrata, attenta non solo alla massimizzazione dell’utile, ma anche alla partecipazione di tutti ai beni, al coinvolgimento dei più deboli, alla promozione dei giovani, delle donne, degli anziani, delle minoranze. Un’economia di comunione - che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future - può essere un modello significativo della svolta necessaria in questo campo.
La città futura non potrà essere programmata e gestita secondo logiche esclusivamente utilitaristiche: o sarà frutto di un’economia integrata, che unisca all’interesse pubblico e a quello privato il ruolo di una “economia civile in grado di valorizzare tutti i soggetti in gioco e di promuoverne la crescita collettiva, o rischierà di accrescere i processi di frammentazione, che producono la disumanizzazione della città.
Il contro-immaginario che prendiamo in considerazione è la “teoria della decrescita (Serge Latouche, economista). Secondo questo modello economico è necessario invertire il meccanismo di produzione-consumo, che ha portato ad un aumento della produzione di beni non necessari, penalizzando i Paesi in via di sviluppo, costretti a svendere alle multinazionali (ai Paesi ricchi) beni di prima necessità. La decrescita richiede una differente visione di società, a livello istituzionale e sociale - come attenzione ai più poveri - e a livello ecologico, di rapporto con l’ambiente, che non può essere considerato una mera risorsa da sfruttare. La decrescita implica un percorso di rivalutazione, riconcettualizzazione, ristrutturazione, ridistribuzione, rilocalizzazione, riduzione, riusura e riciclo (le 8 R), dove le prime due hanno a che fare con l’immaginazione e dunque con una progettazione del mondo: «Decolonizzare l’immaginario dell’economicismo progressista significa ricostruire un mondo non meramente assoggettato all’Occidente, al globalismo, al progresso» (p. 335).
1.2. A livello filosofico
Il secondo contro-immaginario lo attingiamo da Giambattista Vico (1668-1744). In piena epoca illuministica il filosofo napoletano contestò l’idea lineare e unilaterale di progresso. Nella sua opera maggiore, La scienza nuova, Vico tematizzò che il progresso è frutto della immaginazione e che quest’ultima non è contrapposta alla ragione, ma è il modo di essere della ragione. Vico aggiunge che lungo la storia le due facoltà sono state separate: si è puntato a istruire la razionalità restando analfabeti nell’immaginazione.
L’attualità di Vico si rivela soprattutto nel suo rifiuto di pianificare il corso della storia in modo crescente e lineare; c’è un rimando alla terra, con cui si è chiamati a fare i conti e che emerge con sorpresa, soprattutto quando gli obiettivi previsti dalla progettazione umana, una volta raggiunti, mostrano percorsi e situazioni molto differenti da quanto si era pensato, costringendo a fare i conti con la complessità della realtà, della natura, dell’uomo.
1.3. A livello comunitario
Il terzo esempio di contro-immaginazione è quello dello stile cristiano di una comunità famiglia, modello legato all’esperienza di una forma altra di convivenza civile e di relazioni sociali ed ecclesiali. Sicuramente è l’aspetto che più interpella la vita delle comunità ecclesiali e, in maniera specifica, la vita fraterna delle comunità religiose.
2. Lo stile cristiano di una comunità-famiglia
Tratto questo esempio di contro-immaginazione partendo dall’incontro del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, nel 2015 a Firenze, durante il quale papa Francesco, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, evocò un “nuovo umanesimo, perché il “vecchio umanesimo, quello che ha generato l’antropocentrismo occidentale, ha bisogno di essere rivisitato, sebbene occorra custodire nella memoria i valori che ha generato - diritti dell’uomo, libertà, uguaglianza e fraternità -, perché è giusto interrogarsi anche sulle terribili perversioni che si sono prodotte.
Papa Francesco, su questo crinale culturale, ha situato il vero cambiamento epocale - «non un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca» (Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015), cambiamento che non si è fermato fuori dal sagrato delle chiese, ma ha coinvolto la Chiesa in una crisi sistemica. Da qui l’appello del Santo Padre a una riforma della Chiesa a partire dal “centro della fede, il kerygma; una riforma che corrisponda al cambiamento d’epoca al quale assistiamo e che porti ad inventare un nuovo stile di vita cristiana nel mondo contemporaneo, una nuova maniera di essere presenti, fino ad elaborare un “nuovo umanesimo.
Nella situazione in cui ci troviamo, un nuovo umanesimo deve prendere in considerazione i nostri fragili itinerari individuali «che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie» (Francesco, Veritatis gaudium, 3). Tali fragilità sono immagine di quella delle nostre società europee, che devono confrontarsi non solo con i populismi e i problemi della convivenza, ma anche con il fascino per le tecno e bio-scienze e i timori ecologici... Tutte sfide che mettono a dura prova il senso etico, la responsabilità presente rispetto ad un futuro vivibile e possibile.
Se questo è l’orizzonte culturale entro cui ci moviamo, è venuto il momento di richiamare fortemente l’attenzione su una specificità della tradizione cristiana, quella che ci ricorda che non siamo la religione del “Libro”. No, il Vangelo è una presenza, è «una Parola brevissima: Gesù Cristo» (Origene). Solo una tale presenza concreta in mezzo agli uomini e alle donne, e in seno alle nostre società in carenza di fiducia, potrà essere all’altezza di attraversare la situazione critica e ripristinare la credibilità della Chiesa.
Non basta dire, allora, che la vita consacrata si sostanzia per la vita fraterna, occorre ridire, oggi, attraverso una forma più stringente, che la vita fraterna deve nutrirsi e conformarsi allo stile di Gesù per avere forma cristiana, assumendo i tratti dell’incontro, dell’ospitalità asimmetrica e a rischio che diviene atto di fiducia, di consegna, di casa aperta che genera fiducia e produce il passaggio dalla asimmetria alla reciprocità che apre alla gratuità, al mettere in gioco tutta la propria esistenza, fino al punto di mantenere, di fronte alla violenza del nemico, l’autenticità e l’ospitalità, come capacità di mettersi al posto dell’altro senza mai lasciare il proprio posto (Mt 26,23: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà»). Quest’ultimo atto eucaristico di ospitalità - quello di Gesù con Giuda - riassume così lo stile di Gesù, la sua maniera di abitare il mondo che lo sottopone ad una metamorfosi, rendendolo un mondo nuovo.
Questa rivoluzione della vita fraterna, non ha un’unica forma di incarnazione, dipende dai luoghi e dalle persone che la sperimentano; pertanto, si esplicita in quell’immaginario dove si vive l’esperienza della fraternità come “capitale sociale, oltre che teologale ed ecclesiale.
P. LUIGI GAETANI, OCD