Brevi dal mondo
2022/2, p. 35
ALBANIA Muore a 92 anni la suora che battezzava i bambini di nascosto
MYANMAR “Il grido di aiuto non è ascoltato dal mondo”
REPUBBLICA DOMINICANA Vescovi: “San Giuseppe ci sostiene nelle lotte
quotidiane”.
ROMA Crescita della persecuzione anticristiana nel 2021
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Testimoni
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Albania
Muore a 92 anni la suora che battezzava i bambini di nascosto
In Albania, il regime è stato al potere dal 1940 al 1992. Il regime comunista di Hoxha ha perseguitato e ucciso i cattolici e ha distrutto le chiese con l’obiettivo di imporre uno stato ateo, com’è avvenuto in altri paesi sottoposti all’ideologia comunista. Nonostante la persecuzione, suor Marije portava ogni giorno la comunione clandestinamente a malati e moribondi, rischiando la vita in nome della fede. Lei stessa ha riferito, durante un incontro con papa Francesco in Albania nel 2014, che battezzava i bambini di nascosto dai comunisti. Il pontefice non ha mai dimenticato la testimonianza della religiosa, e a quattro anni da quel viaggio apostolico l’ha ricordata come “un bell’esempio di come la Chiesa può essere madre”. In una occasione, la religiosa fu fermata per strada da una donna che corse verso di lei con un bambino in braccio. “Mi chiese di battezzare la sua figlioletta”: era la moglie di un dirigente comunista, e ciò spaventò la religiosa, che poi ha raccontato: “Ho risposto che non avevo niente per battezzare, perché eravamo per strada, ma lei ha dimostrato tanta volontà da dirmi che lì vicino c’era un canale. Ho detto che non avevo niente per prendere l’acqua, ma ha insistito tanto per battezzare quella bambina che, vedendo la sua fede, mi sono tolta le scarpe di plastica, ho preso un po’ d’acqua dal canale e ho battezzato la bambina”. Suor Marije Kaleta era riuscita ad entrare molto giovane nel convento delle suore Stimmatine, grazie all’aiuto di uno zio sacerdote. Erano gli anni Quaranta del Novecento, e sotto il forte ateismo del regime comunista fu necessario attendere 50 anni per emettere i voti perpetui, nel 1991.
La chiusura del convento da parte del governo aveva costretto le suore a tornare a casa. Dopo la morte del padre, suor Marije visse da sola nella casa di famiglia, “custodendo la fede viva nel cuore dei fedeli, anche se clandestinamente”. Con la “complicità” di alcuni sacerdoti, riuscì a tenere in casa il Santissimo Sacramento, che portava ai malati e ai moribondi. «Quando guardo indietro, mi sembra incredibile che siamo riusciti a sopportare tante sofferenze terribili. So che Dio ci ha dato forza, pazienza e speranza. Dio ha dato la forza a chi aveva chiamato, e mi ha già ricompensata, qui sulla terra, per qualsiasi sofferenza vissuta». Il 2 gennaio scorso, nel convento di Shkodër, nel nord dell’Albania, suor Marije Kaleta, la suora che battezzava i bambini di nascosto dai comunisti, è partita da questo mondo verso la pienezza della ricompensa eterna.
Myanmar
“Il grido di aiuto non è ascoltato dal mondo”
Come riferisce un servizio dell’agenzia SIR del 22 gennaio scorso, la situazione in Myanmar è tragica. Padre Celso Ba Shwe, vicario generale e amministratore apostolico della diocesi di Loikaw, ha affermato che il Myanmar grida “aiuto al mondo, ma nessuno lo ascolta”. In particolare la città di Loikaw, sua diocesi e capitale dello Stato birmano di Kayah, è presa di mira dall’esercito birmano che la sta colpendo con raid aerei, scontri e attacchi armati. Attualmente Loikaw, nell’Est del Paese, è una città deserta. Anche i parroci sono stati costretti a fuggire insieme alle loro comunità. Padre Celso conferma: “Tutte le 16 parrocchie sono state abbandonate. Tutti i fedeli dei centri parrocchiali si sono trasferiti in luoghi più sicuri. Alcuni sacerdoti hanno accompagnato il loro gregge nei campi temporanei, sia nella giungla sia in centri parrocchiali lontani, mentre alcuni sacerdoti sono rimasti sul posto per prendersi cura della loro gente che è riparata in diversi campi della zona. Alcune Suore della Carità di Maria Bambina e della Riparazione stanno con la gente nei campi e si prendono cura degli anziani, delle donne e dei bambini”. Il rumore dei combattimenti e del fuoco dell’artiglieria può essere sentito notte e giorno a Loikaw. Si possono vedere continuamente anche gli aerei della giunta volare sopra la città. L’elettricità e la connessione Internet sono state interrotte. Le strade sono vuote e silenziose. Pochissime persone sono rimaste in città a badare alle loro case”.
A pagare il prezzo più alto della guerra è sempre la popolazione civile. Sono più di 170.000 gli sfollati interni nello Stato di Kayah e la maggior parte di loro sono donne, bambini e anziani. “Devono vivere in rifugi non sicuri e in campi provvisori senza acqua potabile pulita e cibo per nutrirsi. Alcuni stanno vivendo in queste condizioni già da più di 7 mesi”, fa sapere il vicario generale di Loikaw.
Lo Stato di Kayah è lo stato più piccolo tra i 14 Stati e divisioni del Myanmar, con una popolazione a maggioranza cristiana. Dopo il colpo di Stato della giunta nel febbraio 2021, la maggior parte dei giovani cristiani si è unita ai gruppi di resistenza locali conosciuti come “People’s Defense Force”. Insieme a quelli dello Stato Chin e della Divisione Segaing, questi gruppi di resistenza popolare sono tra i più forti del Paese. “Per questo – spiega padre Celso – la giunta usa tutti i mezzi possibili, incursioni aeree e attacchi di artiglieria, per distruggerli. Il loro obiettivo è annientare completamente questi gruppi del People’s Defence Force che al 70% sono formati da cristiani”.
Nei giorni scorsi riuniti a Yangon, i vescovi cattolici del Myanmar hanno espresso preoccupazione per “la crescita vertiginosa” degli attacchi nelle ultime due settimane e hanno lanciato un appello perché sia garantito almeno il libero accesso agli aiuti umanitari. “Fino al mese scorso, prima che Loikaw fosse attaccata, era difficile per i donatori, le organizzazioni di beneficenza e alcune Ong raggiungere i campi per sfollati interni ma avevano sempre trovato modi per portare l’assistenza umanitaria. Ma ora sembra quasi impossibile raggiungere quei campi soprattutto nelle zone di Dimoso, Hpruso”, – racconta padre Celso. “Siamo preoccupati per coloro che rimangono nello Stato di Kayah. Cibo e medicine sono le necessità più importanti. “Facciamo ripetutamente i nostri appelli alle comunità internazionali. Ma sentiamo che il nostro grido di aiuto non arriva alle loro orecchie”.
Repubblica Dominicana
Vescovi: “San Giuseppe ci sostiene nelle lotte quotidiane”.
Santo Domingo – Nel contesto della celebrazione dei cento anni dell’incoronazione della Vergine di Altagracia e dell’Anno di San Giuseppe appena concluso, i vescovi della Repubblica Dominicana hanno pubblicato una Lettera pastorale dal titolo "San Giuseppe, custode del Redentore e modello del credente" in cui invitano a guardare allo Sposo della Vergine Maria come “modello di uomo obbediente e fedele al piano di Dio”. “In questo tempo particolare che ci è dato vivere – scrivono –, rivolgere il nostro sguardo verso San Giuseppe ci dà coraggio e conforto”.L’umanità del terzo millennio sta affrontando un cambiamento epocale senza precedenti, scrivono i vescovi riferendosi alla situazione generale, e “questi ultimi anni sono stati segnati da una terribile pandemia, mai nella storia recente si era verificato un fenomeno di tale ampiezza”. “L’autentico dramma del nostro secolo è la mancanza di Dio nell’anima di tanti popoli e la vera pandemia che ci affligge è l’anemia spirituale” sottolineano, indicando almeno quattro "pandemie" dei nostri giorni: la menzogna, la violenza, la sete di denaro e l’edonismo.Guardando alla luce della fede questa situazione, i vescovi ricordano che la Buona Notizia del Vangelo consiste nel mostrare come, “nonostante l’arroganza e la violenza dei governanti terreni, Dio traccia sempre un cammino per compiere il suo piano di salvezza”, e San Giuseppe ci insegna a trasformare “un problema in una opportunità, anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza”.La Lettera quindi si sofferma ampiamente sulla figura di San Giuseppe nelle Sacre Scritture: “in lui troviamo l’incentivo che ci spinge e ci sostiene nelle nostre lotte quotidiane, nessuno come lui seppe attraversare momenti difficili”.
San Giuseppe è “modello di rispetto per la sua sposa” e possiamo imitarlo “nelle virtù della fede, della fiducia, dell’amore, dell’impegno, del sacrificio, della tenerezza e della docilità”. I vescovi ricordano infine che “San Giuseppe è l’uomo per il nostro tempo, modello di fede adulta per tutta la Chiesa. La sua presenza e la sua testimonianza sono oggi più necessarie che mai per salvare la civiltà cristiana, minacciata seriamente dalla cultura di morte”. (Agenzia Fides 20/01/2022).
Roma
Crescita della persecuzione anticristiana nel 2021
Come riferisce l’agenzia Asia News, riportando i dai di Open Doors, nel 2021 è cresciuta ulteriormente la persecuzione contro i cristiani nel mondo: sono oltre 360 milioni (1 ogni 7 a livello globale) quelli che oggi sperimentano nel proprio Paese un livello alto di persecuzione e discriminazione. È il dato che emerge dalla World Watch List 2022 di Open Doors, il rapporto che l’Ong internazionale dedica ogni anno alla persecuzione anticristiana, stilando la graduatoria dei 50 Paesi dove la situazione è peggiore.
Dopo vent’anni la Corea del Nord per la prima volta non viene più indicata come il Paese più pericoloso, ma solo per il precipitare della situazione in Afghanistan dove, con il ritorno dei talebani, la condizione dei cristiani nascosti si è fatta ancora più drammatica. In realtà, però, anche sotto il regime nordcoreano di Kim Jong-un la situazione della libertà religiosa è ulteriormente peggiorata nel periodo preso in esame, che va dall’ 1 ottobre 2020 al 30 settembre 2021.
Tra i 100 Paesi monitorati da Open Doors salgono da 74 a 76 quelli con un livello di persecuzione definito alto, molto alto o estremo. Nel periodo preso in esame sono stati registrati 5.898 cristiani uccisi nel mondo (in media 16 al giorno), 5.110 chiese attaccate o chiuse, 6.175 cristiani arrestati senza processo e 3.829 cristiani rapiti (10 al giorno).
Tra i 10 Paesi dove è stato registrato il maggior numero di violenze, 7 si trovano nell’Africa sub-sahariana. Ma il rapporto di Open Doors non manca di mettere in risalto anche la crescita del controllo da parte dei governi autoritari in Asia, sottolineando in particolare come la Cina abbia utilizzato le restrizioni imposte dalla pandemia per indebolire le comunità cristiane in diverse province. In generale 2 cristiani asiatici ogni 5 vivono in un'area dove si sperimenta la persecuzione.
Viene posto inoltre in risalto anche l’aumento delle violenze contro i cristiani in India. E proprio da qui giunge la notizia che sono diventati ormai almeno 300 gli attacchi che hanno colpito le comunità cristiane del Paese negli ultimi 9 mesi. A riportarlo – offrendo un elenco dettagliato delle violenze – è un altro rapporto intitolato “I cristiani sotto attacco in India” presentato a Jaipur, nello Stato nord-orientale del Rajasthan, in una conferenza stampa organizzata dalla diocesi cattolica di Jaipur insieme all’Associazione per la Protezione dei Diritti civili, United Christian Forum e United Against Hate.
Il vescovo di Jaipur, mons. Oswald Lewis, ha detto commentando i dati: “L'India è un Paese dove ogni religione è rispettata e dove si vive insieme in pace e armonia da secoli. Ma negli ultimi anni i gruppi minoritari sono stati presi di mira, specialmente le comunità cristiane e musulmane. Il governo deve intraprendere azioni severe contro queste frange estremiste per preservare l'unità e la democrazia del Paese".
Alla presentazione del rapporto hanno partecipato anche rappresentanti delle altre minoranze religiose. Il presidente di Jamat-e-Islami Hind, Mohammad Nazimuddin, ha detto: "Già subito dopo l'indipendenza alcuni gruppi erano scontenti del Mahatma Gandhi perché sottolineava la laicità e la parità di diritti per tutti i cittadini. Da allora l'India ha sofferto molto perdendo migliaia di vite. E anche gli attacchi ai cristiani si inseriscono in questo contesto”. Il presidente del Buddhist Mahasabha, T. C. Rahul ha aggiunto: "Il nostro Paese è multireligioso e tutte le confessioni hanno vissuto qui in pace e armonia per secoli. Ma ora l'odio si sta diffondendo e questo è pericoloso per l'unità dell’India". (Ha collaborato al servizio Nirmala Carvalho).
a cura di ANTONIO DALL’OSTO