Cavallari Giordano
Pavel Florenskij nell’anniversario della nascita
2022/2, p. 13
Avendo sperimentato il terrificante vuoto della ideologia negatrice di Dio, Florenskij ha voluto invitare i cristiani di tutte le confessioni a riscoprire la fraternità dei figli dell’unico Padre. Ha voluto incoraggiare a sentirci parte di una cristianità, unita sinodalmente dall’autentico orientamento a Cristo, nella partecipazione alla vita della Santissima Trinità.

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Testimoni
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INTERVISTA AL PROF. ŽAK
Pavel Florenskij
nell’anniversario della nascita
Avendo sperimentato il terrificante vuoto della ideologia negatrice di Dio, Florenskij ha voluto invitare i cristiani di tutte le confessioni a riscoprire la fraternità dei figli dell’unico Padre. Ha voluto incoraggiare a sentirci parte di una cristianità, unita sinodalmente dall’autentico orientamento a Cristo, nella partecipazione alla vita della Santissima Trinità.
Il 9 gennaio 1882 nasce a Evlach Pavel Florenskij: in occasione dell’anniversario, Giordano Cavallari ha intervistato il prof. Lubomir Žak.
-Professor Žak, ci può parlare dell’infanzia di Florenskij così come lui stesso ne ha scritto?
L’infanzia è molto importante per Florenskij. L’ho capito una prima volta leggendo il libro Ai miei figli, ove il genio russo ricorda che le sue convinzioni scientifiche, religiose e filosofiche provengono dalle suggestioni dell’infanzia. Lo stesso concetto si trova sottolineato con insistenza anche nelle sue lettere dal gulag. Va detto che nell’opera florenskijana l’infanzia non è semplicemente il ricordo delle esperienze e delle scoperte fatte nei primi anni di vita: è molto di più.
Il bambino
L’infanzia porta con sé una capacità di conoscenza immediatamente determinata dalle profondità del cuore. Essa è un “luogo” in cui ritornare nel corso della vita, specie nei momenti di crisi: il luogo di un inizio creativo. Florenskij sostiene di aver sperimentato i maggiori impulsi di creatività nel periodo dell’infanzia e, in seguito, da adulto, quando è riuscito a ritrovare in sé quel luogo proprio del bambino. Ecco perché, rivolgendosi alla figlia Olga, ha scritto che la genialità della persona sta nel salvaguardare la propria infanzia.
Nell’infanzia risiedono con chiarezza quelle percezioni spontanee che consentono di sentirsi parte indistinta del mondo e di avvertire in sé il battito della vita in tutto ciò che esiste. Ricordo qui l’immagine di Florenskij che, da piccolo, sperimentava un amorevole rapimento seduto sulla riva del mare: lui era nel mare e il mare in lui. I suoi ricordi non riguardano solo l’espressione di una misteriosa parentela con la natura, ma mettono in risalto, anche e soprattutto, le relazioni umane, colte nella loro verità più profonda dall’infanzia.
Secondo Florenskij questo tipo di sguardo sulla natura o su di un’altra persona – questa sorta di esperienza mistica originaria – può essere rivissuta grazie al culto, ad esempio di fronte alle sante icone e per il loro tramite. Infatti, il culto religioso cristiano inserisce nella pulsazione misteriosa quanto reale della vita, in sintonia col battito del cuore di ogni bambino che sa che la vita è certamente abitata da una Luce che abbraccia con amore tutto ciò che esiste: il cosmo, la natura, gli esseri umani.
-Quest’idea è molto poetica, ma come diventa in Florenskij persino scienza, oltre che filosofia e teologia?
Da scienziato, filosofo e teologo insiste sulla necessità di rimanere fedeli a questa percezione di fondo, arrivando a ribadire che lo sguardo del bambino è uno sguardo persino ontologico che, nota, sì, ogni differenza, ma, allo stesso tempo, comprende ogni cosa nel tutto: le sembianze empiriche col cuore sacro.
Il bambino vede tutto unito ed è affascinato da quel che vede. Non ne ha paura. Il problema, sostiene Florenskij, è quando si diventa “adulti”, quando cioè si lasciano le percezioni innate per adottare schemi di giudizio dal di fuori di sé. Smettere di essere bambini e iniziare a ragionare da adulti coincide con l’uso della settorializzazione e della frammentazione, appesantendo enormemente quella percezione leggera, immediata, semplice, spirituale della realtà tutta, in cui c’è, con certezza, il divino.
La famiglia
-In quale clima famigliare è cresciuto Florenskij?
Pavel è stato battezzato appena nato, ma nella sua casa non si nominava Dio, né la religione. Nel libro dei ricordi ne parla estesamente. Non c’era ostilità alla religione da parte dei genitori, bensì una premeditata omissione che Florenskij, nell’età di giovane liceale, avvertirà come un vuoto esistenziale.
Tuttavia, nella sua famiglia si respirava un clima di intensa umanità, contrassegnato dai sentimenti di reciproca premura, stima e gentilezza che univa una famiglia allargata: i genitori, i fratelli e le zie. Le motivazioni dell’atteggiamento dei genitori sono diverse: la più evidente sta nel fatto che il padre era battezzato nella Chiesa ortodossa russa, mentre la madre nella Chiesa apostolica armena.
Visto che le due Chiese non erano in comunione, i genitori – forse mai veramente praticanti – hanno deciso di non far pesare tale stato di cose sui figli. Preferivano tacere, quindi, non solo sulla realtà della Chiesa, ma anche su Dio e sulla vita di fede. Accerchiato da un tale silenzio, il diciasettenne o diciottenne Pavel, inizierà ad avvertire con dolore del distacco da quella spiccata mistica dell’infanzia, di cui ho cercato di dire. Ad un certo momento, dopo aver vissuto momenti di grave crisi, inizierà a interrogarsi sul senso della vita, intraprendendo una strada che nella famiglia non gli era mai stata indicata con le parole.
-Come è giunto a divenire sacerdote della Chiesa russa ortodossa?
In un certo periodo l’ancora giovane Pavel Florenskij ha pensato di diventare monaco. Ha avvertito che quella scelta fosse l’approdo della sua ricerca di senso. Nella sua opera fondamentale – La colonna e il fondamento della verità (1914) – fa molti riferimenti alla tradizione monastica.
Tuttavia, da ciò che vi scrive, si evince come il monachesimo non fosse per lui riconducibile soltanto alla scelta della vita religiosa dentro le mura di un monastero. Io penso di potervi ravvisare quella idea che più tardi formuleranno teologi come Karl Rahner o Dietrich Bonhoeffer, ossia che il futuro del cristianesimo sarebbe dipeso dalla capacità dei battezzati di essere o non essere dei mistici, di essere o non essere donne e uomini capaci di entrare e di abitare nel santuario della propria interioritas.
Se essere cristiani significa, per Florenskij, essere monaci nel senso di mistici, il monachesimo a cui lui si riferisce è innanzitutto una questione di sguardo sul mondo e sulla vita: sguardo e vita possibili quando il monaco, lavato dallo Spirito Santo e ormai liberato dall’orgoglio dell’autosufficienza, riesce a toccare in sé la radice assoluta, vale a dire “la radice dell’Eternità che gli è data attraverso la partecipazione all’intimità dell’Amore Trinitario”.
Come sappiamo, Florenskij non è divenuto monaco professo. Il suo padre spirituale del tempo, il vescovo-monaco Antonij Florensov, bene ha compreso che Florenskij non sarebbe stato un monaco ordinario, perché troppo geniale e ormai troppo legato al mondo della scienza e all’attività di insegnamento. In una lettera lo ammonisce di non idealizzare la vita nel monastero e lo invita a percorrere la via del lavoro scientifico.
Pertanto, ancora da laico, ha dapprima fatto il professore di storia della filosofia. La sua inquietudine non è tuttavia venuta meno. Sinché deciderà, da sposato, di divenire sacerdote ortodosso. Le motivazioni della scelta sono da ricercare non tanto nel desiderio di dedicarsi alla cura pastorale – Florenskij non sarà mai pastore di una parrocchia benché sia stato padre spirituale di molti – quanto nel fascino del culto, nella bellezza dei sacramenti e in particolare della liturgia eucaristica: un culto inteso quale evento che rende presente il mistero divino accogliendo la sua irruzione nel mondo, perché il mondo e l’umano sia illuminato e divinizzato.
Simbolo
Aggiungo che Pavel Florenskij è divenuto sacerdote nel 1911 con la consapevolezza di ripristinare così una antica tradizione famigliare – quella della famiglia paterna – interrotta dal bisnonno Matveev Andrej Florenskij. Infatti, per alcune generazioni, gli antenati avevano servito la Chiesa ortodossa russa da diaconi e da sacerdoti nel distretto di Kostroma. Appena ordinato diacono e poi sacerdote, Pavel Florenskij ha confidato allo scrittore Vasilij V. Rozanov queste parole: “Mi sono sentito addosso, non in maniera metaforica, ma letterale, la mano stessa di Cristo”.
-Perché il simbolo è un concetto chiave del pensiero di Florenskij?
La parola simbolo è una delle parole più presenti nel lessico di Florenskij e quindi maggiormente rappresentativa del suo pensiero. Non evoca solo un tema, sia pure centrale, della sua opera, bensì una permanente prospettiva interpretativa. Il concetto di simbolo determina il suo modo di guardare il reale, il mondo, l’umano, se stesso, gli altri. È interessante notare come il simbolo non sia per Florenskij un oggetto astratto e formale.
Al contrario, il simbolo è la realtà stessa, in un minerale, in una cellula, in una pianta o in una persona umana. Per Florenskij la simbolicità delle cose e delle persone è molteplice: è di natura chimica, fisica, energetica, biologica, e quindi anche psichica, razionale e spirituale. L’idea base del simbolo è la seguente: le cose sono fatte a strati, cosicché l’apparenza dello strato esterno nasconde e insieme manifesta lo strato che sta più sotto, in profondità.
Ad esempio, la pelle umana è pensata come una prima porta verso altri numerosi strati interni del corpo umano: tuttavia essa è una prima superficie che manifesta la condizione di salute dell’organismo complesso. Dunque – ed ecco la seconda parte dell’idea florenskijana – tutto ciò che esiste è luogo della manifestazione di un qualcosa di ulteriore e di nascosto di cui ciò che immediatamente appare è appunto simbolo. Quel qualcosa può essere la forza di gravità, la forza d’urto, la forza magnetica, la forza della luce, oppure quelle forze interne di cui parlano la chimica, la biochimica, la fisica nucleare, la genetica, la psicologia ecc. Si tratta sempre di un qualcosa che assomma forze diverse.
Il simbolo è complesso, soprattutto la persona umana è complessa. La complessità è determinata anche dal fatto che la simbolicità non è mai a senso unico, ossia non è mai frutto della passiva sottomissione della cosa a quel qualcosa di ulteriore, ma è anche il contrario.
-È difficile. Può fare qualche esempio?
Secondo Florenskij ogni parola è simbolo della persona che l’ha pronunciata, del suo stato d’animo, della sua intenzione: le parole di un discorso sono simbolo di una determinata lingua nazionale, della specifica morfologia, fonetica e grammatica; ogni persona è simbolo della sua famiglia d’origine, della sua storia, della sua identità genetica e culturale. Nel mentre l’utilizzo delle parole influisce sull’insieme della lingua, sulla sua conservazione e trasmissione, sul suo rinnovamento o sul suo declino. Così la singola persona, con la sua vita, con le sue scelte, influisce sull’insieme della famiglia, sul futuro, sulla società.
Le conseguenze di tale sguardo simbolico dell’essere umano e sulla umanità sono tante e di grande importanza. Il senso di responsabilità è una di queste: nessuno può dire di essere solo una piccola e insignificante goccia nell’immenso mare dell’umano, perché ogni singola persona può con le sue scelte, con il suo agire e con l’esempio influire negativamente e positivamente sulla società, anzi persino su tutta l’umanità.
Le Chiese
-Dal punto di vista cristiano quali sono le conseguenze della visione simbolica florenskijana?
Ovviamente la fede in Dio – in particolare l’idea cristiana della Santissima Trinità – è di massima rilevanza per la completezza della concezione del simbolo. Se tutto ciò che esiste, incluse naturalmente le persone umane, è simbolo di un qualcosa che tende a manifestarsi – in particolare delle molteplici forze interne – vi è un particolare genere di forza che la scienza non ha la facoltà di descrivere: perciò lo fa la religione.
Si tratta di un qualcosa che la teologia chiama forza divina. Si tratta della forza della vita, tramite la quale si rende permanentemente presente nel mondo l’agire creatore di Dio. L’originalità di questa forza è quella di mantenere nell’essere tutto il creato e di orientarlo al suo compimento.
Nel caso dell’essere umano, la rappresentazione di tale tipo di forza assume in Florenskij i termini biblici di immagine e di somiglianza. Il testo sacro, scrivendo che la persona umana è stata fatta ad immagine e somiglianza del Dio trinitario, svela la dimensione propriamente simbolica dell’essere umano. Certamente, la forza divina è misteriosamente presente e in azione in ogni cosa creata, cosicché la natura è da considerare – come spiegato dai Padri della Chiesa – come un libro che parla di Dio.
Ma tale forza, al principio di tutto, è da prendere in considerazione soprattutto di fronte alla natura simbolica per eccellenza della persona umana. Florenskij lo ribadisce a più riprese ne La colonna e il fondamento della verità, ne parla però estesamente anche ne L’iconostasi e ne La filosofia del culto. In quest’ultima opera ho trovato una spiegazione della simbolicità della persona, che può essere paragonata a un articolo della professione di fede, posto che Florenskij l’ha redatta nel periodo della crescente persecuzione della Chiesa ortodossa russa da parte del regime sovietico, intenzionato a cancellare ogni espressione della visione cristiana del mondo, inclusa la visione cristiana della persona umana.
-Circa il rapporto tra le confessioni cristiane in Florenskij, che cosa ci può dire?
Ritengo che il pensiero di Pavel Florenskij sia molto importante per il dialogo ecumenico. Quest’affermazione sembrerebbe smentire alcune battute critiche rivolte alle confessioni non ortodosse – contenute ne La colonna e il fondamento della verità e ne La filosofia del culto – in cui l’autore non sviluppa la centralità della relazione dialogica, in chiave trinitaria, nell’ambito del rapporto tra ortodossi, cattolici e protestanti.
Sta di fatto che Florenskij ha sicuramente attraversato un momento di svolta, definibile oggi ecumenica, in seguito alla presa di coscienza del drammatico destino dei cristiani delle confessioni egualmente perseguitate in Russia, dal 1917, da parte del governo rivoluzionario. Di fronte allo spietato cinismo antireligioso, egli ha maturato la convinzione che l’essenza della fede cristiana è ben presente nelle Chiese non ortodosse e che queste – tutte – sono strumento della salvezza. Questo momento di svolta è databile tra gli anni 1923 e 1924.
Nel libro recentemente curato, Simboli dell’Eternità, abbiamo voluto porre ampi stralci da due articoli scritti proprio in questi anni, intitolati Cristianesimo e cultura e Note sull’ortodossia. Si tratta di due testi di grande respiro ecumenico e, persino, interreligioso. Nel primo Florenskij spiega che il cristianesimo è, nella sua essenza, necessariamente katholikos, perché ogni sincero orientamento dei battezzati a Cristo coincide con il manifestarsi, in loro, dello stesso e identico Logos di Dio, principio universale dell’essere.
Basta dunque guardare a Cristo – vivere in autentico orientamento al suo Vangelo – per sperimentare l’unità di fondo già esistente tra le confessioni cristiane e per desiderare il reciproco scambio dei doni custoditi come propri da ciascuna Chiesa e comunità cristiana. La divisione deriva dal dubbio umano posto sull’autenticità della fede cristiana degli altri. Mentre l’unità viene da una vita effettivamente vissuta nella verità dell’amore cristiano.
L’equivalente di katholikos in russo è sobornyj, da cui sobornost, parola traducibile in italiano con conciliarità o sinodalità: ecco, avendo sperimentato il terrificante vuoto della ideologia negatrice di Dio, Florenskij ha voluto invitare i cristiani di tutte le confessioni a riscoprire la fraternità dei figli dell’unico Padre.
Ha voluto incoraggiare a sentirci parte di una cristianità che, nonostante le differenze tra le confessioni, è unita sinodalmente dall’autentico orientamento a Cristo, nella partecipazione alla vita della Santissima Trinità.
GIORDANO CAVALLARI (a cura)