Prezzi Lorenzo
I canoni e il “divisore”
2022/2, p. 1
La Chiesa russa accelera il processo scismatico istituendo due diocesi in Africa, territorio canonico del patriarcato di Alessandria. Le voci che chiedono la concordia.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
SCISMA ORTODOSSO
I canoni e il “divisore”
La Chiesa russa accelera il processo scismatico istituendo due diocesi in Africa, territorio canonico del patriarcato di Alessandria. Le voci che chiedono la concordia.
«Chi di scisma ferisce, di scisma perisce»: sembra questo il sentimento prevalente che presiede alla decisione del sinodo russo di istituire due proprie diocesi per l’intera Africa (29 dicembre). Decisione che il sinodo della Chiesa ortodossa di Alessandria (patriarca Teofilo II) ha qualificato come anticanonica, risentita, sozza ed “etnofiletista” (12 gennaio). Nella tradizione ortodossa non è un problema creare diocesi all’interno del territorio canonico della propria Chiesa, ma è considerato un gesto grave quando tutto ciò avviene nel territorio di un’altra Chiesa. Su aree geografiche non di tradizione ortodossa Costantinopoli invoca la propria responsabilità, ma il vincolo è assai maggiore se in esse, come nel caso del patriarcato di Alessandria da cui dipendono le attuali presenze ortodosse in Africa, è già attiva e riconosciuta l’autorità patriarcale.
Esarcato in Africa
La decisione moscovita è legata al riconoscimento da parte di Teodoro II di Alessandria della Chiesa autocefala di Ucraina (metropolita Epifanio). La decisione di concedere l’autocefalia (6 gennaio 2019) è in capo al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, fortemente avversata da Mosca che considera l’Ucraina suo territorio canonico e la locale Chiesa filo-russa (metropolita Onufrio) come unica Chiesa canonicamente riconosciuta. Il consenso alla decisione da parte di Teodoro II di Alessandria (che si è aggiunto a quello della Grecia e di Cipro) alla decisione di Bartolomeo ha scatenato l’ira del patriarcato di Mosca.
L’attuale decisione ne è la conseguenza. Il percorso di Mosca è chiaro. A dicembre del 2019, Mosca sottrae all’obbedienza a Teodoro II di Alessandria sei parrocchie distribuite in Africa e nate dalla “missione” della Chiesa russa. Il 24 settembre 2021 il sinodo russo dà mandato al vescovo Leonida di Vladikavkaz, di studiare e rispondere ai numerosi appelli del clero della Chiesa ortodossa di Alessandria, di uscire dall’obbedienza a Teodoro II per approdare a quella di Cirillo di Mosca. Il 29 dicembre 2021 il sinodo decide di accettare la richiesta di 102 preti e istituisce un esarcato per l’Africa con due diocesi: la prima nella parte Nord del continente africano, con sede al Cairo. La seconda per la parte Sud del continente con sede in Sudafrica. La decisione è stata preparata da contatti diretti fra due preti russi (A. Novikov e G. Maximov) e i preti locali africani che mostravano interesse a cambiare la propria obbedienza.
La sede a Mosca
La sede centrale dell’esarcato non sarà in Africa, ma a Mosca, presso la cattedrale dedicata a tutti i santi e sarà presieduta dall’arcivescovo Leonida di Vladikavkaz col titolo di esarca d’Africa. Dalla sede moscovita partiranno i missionari e gli aiuti alle chiese parrocchiali africane.
La prima risposta del patriarca di Alessandria porta la data del 30 dicembre: «L’antico patriarcato di Alessandria esprime il suo più profondo dolore per la decisione sinodale del patriarcato russo di istituire un esarcato nei territori canonici della giurisdizione dell’antica Chiesa di Alessandria, decisione presa nei giorni della memoria liturgica della natività di Gesù e della divina Epifania, tempo dedicato ad onorare Cristo Re della pace. Il patriarcato continuerà a svolgere i suoi doveri pastorali nei confronti del gregge che gli è stato affidato». Viene fissata la celebrazione del sinodo al 10-12 gennaio. Teodoro II nei mesi precedenti aveva visitato molte delle comunità africane ricavandone l’impressione di una sostanziale tenuta e fedeltà. Un segnale in merito è lo spostamento in Africa del Sud della sede della diocesi filo-russa, mentre in precedenza si parlava della Tanzania. Teodoro ha anche scritto una lettera a tutte le Chiese ortodosse per illustrare la situazione, le inevitabili tensioni interne, e la drammatica ferita nei canoni che regolano il rapporto fra le Chiese. È probabile che qualche mugugno possa sorgere nelle Chiese filo-russe. Un prete della Chiesa ucraina del metropolita Onufrio, F. Pushkov, ha definito l’operazione come «equivalente alla bestemmia allo Spirito».
Tappa storica o bestemmia?
«Una tappa storica» l’ha invece riconosciuta l’arcivescovo Leonida esarca di Africa: «La Chiesa ortodossa russa guadagna uno statuto più completo e assume la responsabilità di questo evento storico. Non tollereremo più l’ingiustizia e il disprezzo dei canoni, da chiunque siano violati». Compito della Chiesa in Africa sarà in particolare quella di difendere le minoranze cristiane e di proteggere e far rispettare il diritto dei credenti. Non si conoscono le ragioni che hanno convinto una parte del clero africano a rivolgersi a Mosca. Una ipotesi formulata da Peter Anderson è la promessa di un ruolo maggiore e l’apertura alla carriera episcopale. In merito l’arcivescovo Leonida non esclude la possibilità di allargare le strutture dell’esarcato e di nominare vescovi africani, d’intesa col sinodo moscovita. Il messaggio finale del sinodo della Chiesa di Alessandria ricorda che l’«invasione» russa è cominciata due anni fa, intesa a reclutare non solo i primi 27 casi di preti disponibili, già allontanati dalla Chiesa o sottoposti a censura, ma anche altri che si qualificano come ortodossi ma non appartengono al patriarcato. Qualifica la decisione moscovita come anti-canonica, guidata da ragioni di vendetta e ispirata a un neo-colonialismo che nasconde l’aspirazione del patriarcato russo alla rivendicazione di un primato mondiale. «Riteniamo che, con questi metodi, si viola in maniera grossolana, ancora una volta, l’essenza della nostra fede ortodossa su un terreno particolarmente sensibile della missione in Africa».
Dividere la Chiesa greca e cipriota
Il risentimento russo si scatenerà anche contro la piccola comunità della Turchia? Pare di sì. Costantinopoli è in allarme perché, per la prima volta, in Turchia ci sarebbero due autorità patriarcali, quella del Fanar e quella di Mosca. In una intervista all’agenzia Ria Novosti il metropolita Hilarion, presidente del dipartimento della relazioni estere del Patriarcato, lo ha fatto capire. Parlando della decisione relativa al clero del patriarcato di Alessandria afferma: «Non potevamo rifiutare la richiesta del clero, che si rendeva conto della posizione erronea del suo patriarca (Teodoro II), di essere accolto nel seno della nostra Chiesa. Allo stesso modo non possiamo negare ai credenti ortodossi in Turchia la cura pastorale dal momento in cui il patriarca di Costantinopoli si è schierato dalla parte dello scisma». Ricorda con compiacimento i vescovi che a Cipro e in Grecia hanno espressamente criticato la scelta di Bartolomeo di concedere l’autocefalia all’Ucraina. Verranno sollecitati e aiutati per una ribellione più aperta. Si sa che preti russi hanno contattato la corrente scismatica greca dei “veterocalendaristi” (coloro che hanno rifiutato l’aggiornamento del calendario liturgico promosso all’inizio del ‘900). Essi hanno però preferito rivolgersi al vescovo Filarete, auto-nominatosi patriarca di Kiev. In ogni caso Mosca alimenta le difficoltà nella Chiesa greca.
Anticipando di fatto la prevista condanna del concilio dei vescovi russi verso Bartolomeo di Costantinopoli, previsto a novembre 2021 e spostato alla primavera prossima, Hilarion racconta così quello che sta avvenendo: «Purtroppo si è creata una situazione che sta diventando sempre più difficile da risolvere. Questa condizione è molto simile agli eventi della metà dell’XI secolo. L’allora patriarca di Costantinopoli e il Papa litigarono. Ne è scaturita la separazione scismatica. Non credo che i legati del Papa, che depositarono la bolla di scomunica sul trono della cattedrale di Santa Sofia, immaginassero che la divisione sarebbe durata secoli. E il patriarca di Costantinopoli, avviando azioni di ritorsione, difficilmente poteva prevederlo. Ma le Chiese sono andate per la loro strada. Nel corso dei secoli la divisione crebbe e solo nove secoli dopo iniziarono i primi timidi tentativi di riavvicinamento. Il primo passo per sanare l’attuale situazione nell’Ortodossia mondiale dovrebbe essere un ritorno alla posizione delle Chiese ortodosse fino al 2018, quando le decisioni (come l’autocefalia) furono legate alla modalità conciliare, non lasciate a decisioni personali. Ma è difficile immaginare che il patriarca di Costantinopoli voglia tornare sulla sua decisione. Egli si considera autorizzato a prendere decisioni da solo, senza consultare le altre Chiese, contro la loro volontà e a loro danno. E i vescovi del patriarcato di Costantinopoli continuano a ripeterci “l’autocefalia è un fatto compiuto”. Bene, se è così, allora anche la divisione nell’Ortodossia è un fatto compiuto». In una successiva intervista lo stesso Hilarion minaccia le altre Chiese ortodosse: «Nell’Ortodossia mondiale, a seguito delle azioni unilaterali e ostili del patriarca di Costantinopoli nei confronti della Chiesa russa, si è creata una situazione di caos canonico. Fino a quando l’ordine canonico non sarà ripristinato in tutta l’Ortodossia mondiale, le Chiese ortodosse devono e dovranno prendere decisioni impegnative nel futuro. Questo mentre Costantinopoli rifiuta il dialogo e conduce un monologo, emettendo decreti papisti nello stile di “Roma locuta, causa finita”».
Non rinunciare al dialogo
Non mancano voci che implorano la fine delle ostilità intra-ortodosse. Dalla Chiesa di Antiochia che invita a non compiere gesti di ulteriore provocazione, ai singoli vescovi, come quello di Cipro (Isaia di Tamassos), che chiede una sinassi, convocata da Bartolomeo di Costantinopoli, per un confronto fra tutti i responsabili ecclesiali. Fino all’intervento di Anastasio di Albania. «Fin dall’inizio della crisi ecclesiale in Ucraina ho sottolineato per scritto e oralmente che il tempo non è in grado di cicatrizzare le fratture e gli scismi. Al contrario, li approfondisce e li indurisce. La recente decisione del patriarca di Mosca di istituire un esarcato per il continente africano conferma i timori iniziali». L’arcivescovo Anastasio d’Albania, figura stimata nel contesto delle Chiese ortodosse e collocato in un paese sul confine fra mondo slavo e mondo ellenico, ha avuto per dieci anni la responsabilità dell’evangelizzazione ortodossa in Africa. Lamenta che gli africani saranno chiamati a conversione da due diversi e opposti patriarcati. Lo scandalo e l’indebolimento della testimonianza ortodossa sono evidenti. Si tratta di una «evoluzione dolorosa». «L’affermazione secondo la quale non ci sarebbe scisma nell’ortodossia, ma un semplice disaccordo è simile alla teoria secondo cui il coronavirus non esiste. Lo scisma, con le sue diverse mutazioni, è ormai evidente e diventa urgente cercare un rimedio utilizzando il vaccino della tradizione apostolica, cioè la riconciliazione e l’intesa».
Delegittimare Costantinopoli
Perché Mosca è ricorsa a una decisione così grave e clamorosa, parallela a quella che imputa a Bartolomeo in Ucraina, in nome di una “deriva scismatica” non ancora definita, perseguendo la spaccatura nelle Chiese sorelle? Ecco alcune delle ipotesi proposte: come deterrente verso altre Chiese disposte a riconoscere l’autocefalia ucraina; come spinta obbligante verso un nuovo incontro pan-ortodosso, visto il fallimento della proposta coltivata nella riunione di Amman (febbraio 2020); come moneta di scambio per una ritrattazione di Teodoro II. Sorprende che Mosca ricorra a un sistema di governo ispirato a Propaganda fide del Vaticano (vi sono state numerose visite di gerarchi russi per conoscere il funzionamento dei dicasteri vaticani) adottando un “modello papista” dopo aver accusato di papismo Bartolomeo. Sorprende che la violazione dei canoni sul territorio canonico imputata a Costantinopoli sia ora percorsa e giustificata da Mosca. Sorprende, in particolare, l’accelerazione dello scisma mentre molte Chiese ortodosse sono ancora incerte, non convinte dalla decisione di Bartolomeo ma non disposte a interrompere la comunione eucaristica praticata da Mosca. Bartolomeo resiste alla sollecitazione di convocare il concilio perché ritiene che si trasformerebbe in un bagno di sangue e perché proprio Mosca si è rifiutata di far parte del sinodo di Creta nel 2016. Nella preparazione di quel sinodo si era a un passo dall’intesa sul riconoscimento dell’autocefalia. Sarebbe stata emessa da tutti i patriarchi delle 14 Chiese storiche con l’elenco delle firme a cominciare dal patriarca ecumenico, cioè Bartolomeo. L’intesa sfumò perché Mosca si oppose a qualificare la firma di Bartolomeo come «decisione» e quelle degli altri patriarchi come «co-decisione». La svalutazione di Mosca dei documenti approvati a Creta e la successiva decisione di Bartolomeo sull’Ucraina hanno avviato la frana. Due vittime sono però già visibili: l’indebolimento dell’annuncio evangelico e il congelamento del dialogo ecumenico.
LORENZO PREZZI