Gaetani Luigi
Torniamo a camminare…
2022/12, p. 3
In questo ultimo passaggio della relazione voglio aggiungere una parola sull’apporto che, come religiosi, diamo quando testimoniamo che nel cammino abita il senso della vita.

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Testimoni
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Torniamo a camminare…
In questo ultimo passaggio della relazione voglio aggiungere una parola sull’apporto che, come religiosi, diamo quando testimoniamo che nel cammino abita il senso della vita.
Santa Teresa di Gesù è stata una santa “andariega” (vagabonda/camminatrice). Lei non ha mai smesso di camminare, anzi, ha fatto del suo andare un “cammino di perfezione”, attaccando conversazione con tutti, dialogando con Dio e con gli uomini, imparando a non amare le cose senza valore e le ombre. Ha cercato la “Luce” ed ha amato immensamente le persone, ha volato così rasoterra che ha creduto possibile un viaggio interiore, in quel sottosuolo dell’esistenza dove si acquisisce disinvoltura e senso delle cose.
La Vita religiosa in Italia, come in tante parti del mondo, deve tornare, come suggeriva Davide Maria Turoldo, a camminare a piedi nudi sulle strade. Voglio accennare, in questa parte del mio intervento, ad alcune suggestioni sinodali, magari aprendo strade dimenticate o smarrite nella mappa dei nostri pellegrinaggi.
Il camminare è esperienza del corpo e dello spirito, è sempre molto di più di un mero spazio stradale, è una grazia ed una necessità, è l’esperienza che maturiamo dal primo momento in cui veniamo al mondo, percorrendo ogni terra, per quanto ostile possa apparire. Camminare è importante, consente di conoscere altre persone, altre culture, consente di conoscere tanta parte di umanità.
Camminare è una grande metafora. Abramo ha iniziato la sua storia quando ha ricevuto questo mandato: «Alzati, cammina verso la terra che ti mostrerò» (Gen 12,1ss.). Tu cammina, non voltarti indietro, perché solo camminando si apre il cammino. Non c’è Itaca a cui tornare perché ogni patria è straniera e bisogna andare oltre, abitando bordi, confini, frontiere.
Camminare è imparare a scrivere la storia consumando le scarpe, perché senza scarpe forate non possiamo testimoniare nulla. I piedi non sono degli arti, sono degli organi di senso attraverso i quali percepiamo la voce della terra e i pensieri non ci arrivano dall’alto ma risalgono dal basso del corpo per insediarsi, poi, nelle caverne più segrete della mente e del cuore. Forse per questa ragione Gesù ha voluto lavare i piedi ai suoi amici, perché consapevole che la Parola si sarebbe diffusa attraverso le fatiche del loro andare: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19; Mt 10,5; Mc 16,15).
Camminare significa produrre pensieri ma, soprattutto, armonia tra respiro, battito del cuore e passi. Quando questo accade non siamo più noi che facciamo il viaggio, ma è il viaggio che fa noi; impariamo a lasciarci vivere, ad avere l’andatura lenta, quella di chi deve andare lontano, di chi deve fare una esperienza interiore, una esperienza del corpo che si riflette sull’anima, sul pensiero, che richiede solitudine interiore.
Camminare è andare verso se stessi: Hagar, la donna in cammino, la lingua semitica dice che il suo nome significa la viaggiatrice, è la donna cercata da Dio nel deserto del mondo, è colei che accetta di fare un cammino verso se stessa e, qui, nella sua identità nuova impatta Dio e l’umano (Gen 16). I rabbini traducono il cammino come un camminare verso se stessi; va’ verso te stesso, come cammino di umanizzazione, ma anche come strada che porta verso Colui che ti abita. “Conosci te stesso” è la prima tappa di un percorso che richiede di non distrarsi, di concentrare le energie, esige vigilanza e solitudine; se non assopirà il chiasso esterno e i rumori di dentro, non sarà in grado di sentire la voce interiore, quella che chiamiamo coscienza, e nemmeno potrà gustare la presenza di Dio. È voce di un silenzio che bisogna imparare ad ascoltare (1Re 18-19), è voce tenue che non si impone, voce che tuttavia ha una forza, quella della verità, che è quella richiesta dal cammino.
Camminare è una scala verso l’alto o un discendere nelle nostre caverne (Giovanni della Croce, Fiamma, 3,18) dove c’è l’enigma, dove abitano le ombre, dove c’è anche l’inferno, perché potremmo essere abitati dall’inferno, e questa discesa è essenziale per potersi conoscere veramente.
…verso una umanità trasfigurata
Il Sinodo ci insegni a fare viaggi in perfetta immobilità, come quelli che fa una contemplativa o come quelli di chi vive nella propria cella, come quelli di un guardiano del faro che vive su un’isola o di una casalinga che vive in una casa che non ha più pareti, ma alberi.
In questo cammino si possono vedere e registrare una quantità smisurata di cose fuori e dentro di sé perché si può avere tanto da fare in un mondo dove teoricamente non succede nulla, semplicemente perché hai scelto di non vivere con internet, ma di usarlo semplicemente, nella condizione di chi vive il distacco dal mondo non semplicemente come distanza fisica dalle cose, ma come distanza dai tanti segnali che disconnettono il vero contatto a se stessi e alla vita.
Solo allora ti accorgi dello straordinario che c’è fuori, cogli il fascino di una bellezza semplicemente spettacolare, se poi tutto si silenzia dentro e l’eco infernale del quotidiano tace; solo allora apparirà la tua interiorità come il fragore di un fiume, come una mareggiata che accarezza la sabbia di una spiaggia, come una voce che ti sveglia la notte, come un terremoto interiore che ti porta ad uscire e a stare con stupore sotto un cielo stellato, silente mentre tutto appare chiaro, mentre torni a parlare con te stesso, dialogando con quell’angelo della consolazione e della presenza, riuscendo a vederti dal di fuori e dentro, nella tua interiorità abitata.
Solo allora comprenderai che si può fare un viaggio immobili perché ogni cammino è solitario, anche quando accade in una carovana umana, trovando l’equilibrio di se stessi, il bagaglio necessario, perché ogni camminatore ha bisogno di alleggerire il proprio bagaglio della vita, perché il viaggio è metafora di un cammino altro che si fa senza bagagli, soli e vulnerabili. Solo chi fa questo cammino gode di una umanità trasfigurata e di una compagnia che non smettono mai di affascinare.
PADRE LUIGI GAETANI, OCD
presidente della CISM