Fini Mario
Don Nevio Ancarani e la sua “spiritualità”
2022/12, p. 27
Don Nevio ha sempre ripetuto una “parola” di S. Giovanna d’Arco: «è Dio che ha fatto la mia strada»; e così Dio-Padre, che sempre ha fatto la sua strada, l’ha portato all’incontro definitivo con Lui martedì 25 ottobre, nella Casa parrocchiale di Santa Maria della Misericordia dove viveva dal 2014, accolto dal parroco don Mario Fini.

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Testimoni
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TESTIMONIANZA
Don Nevio Ancarani
e la sua "spiritualità"
Don Nevio ha sempre ripetuto una "parola" di S.Giovanna d'Arco : «è Dio che ha fatto la mia strada»; e così Dio-Padre, che sempre ha fatto la sua strada, l'ha portato all'incontro definitivo con Lui martedì 25 ottobre, nella Casa parrocchiale di Santa Maria della Misericordia dove viveva dal 2014, accolto dal parroco don Mario Fini.
Nato a Cattolica (Rimini) nel 1923, dopo gli studi medi e superiori al Collegio salesiano di Lugo (RA) poi nei Seminari di Bologna, fu ordinato sacerdote nel 1947 nella diocesi di Rimini. Conseguì la licenza all’Angelicum e fece altri studi che gli conferirono la qualifica di psicologo e l’iscrizione all’Albo. Fino al 1949 fu pro-rettore del Seminario interdiocesano di Montefiore Conca (RN) e per un anno vice rettore economo del Seminario vescovile di Rimini; fino al 1955 vice rettore del Seminario regionale Flaminio, poi Rettore del Seminario di Rimini fino al ‘58 e del Seminario Regionale a Bologna dal ‘58 al ‘71. Incardinato nella Diocesi di Bologna nel 1983, ricoprì numerosi incarichi. Negli anni ’70-’80 frequentò l’Istituto di studi ecumenici “S. Bernardino”. Lavorò con i preti operai in Belgio e con gli emigrati in Svizzera. La sua passione missionaria lo portò pure in Africa, in Asia e per 32 volte in Brasile con l’Opera Fraternità Bahiana. Dal ‘71 all’ 88 fu Assistente ecclesiastico degli studenti universitari stranieri e fino al 1999 insegnò religione nel liceo classico “Galvani”. Insegnò alla Scuola Infermieri del Traumatologico di Bologna e all’Istituto magistrale S. Vincenzo. Fu consigliere ecclesiastico dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti) e per molti anni confessore in Cattedrale a Bologna.
La spiritualità della “piccolezza”
Nevio ha sempre parlato della "piccolezza" che ci fa scoprire il volto del Signore, dei "piccoli" che ci rivelano il Signore e della povertà che, messa nelle mani del Signore, diventa "ricchezza". Così è avvenuto per le persone che l'hanno incontrato: egli è stato "luogo" ove trovare Misericordia, Fiducia, Consolazione, Speranza per riprendere il cammino della vita con un cuore più leggero.
C'è un'altra parola che lui amava ripetere, "il coraggio di non aver paura", perché la tua "piccolezza", la tua fragilità, il tuo peccato non è un "ostacolo" alla Grazia che ti avvolge. Porre la fiducia solo in noi stessi è realmente l'ostacolo al "Dio che vuole fare la nostra strada".
Il Dio che ha fatto la strada di Nevio è MISERICORDIA! Egli è sempre stato ministro della Misericordia del Padre attraverso il "Confessionale", la predicazione, la celebrazione, per vivere la gioia dell'incontro con il Signore che ti "libera" e ti "umanizza".
Nell'ultimo periodo della sua vita, con una mente in parte confusa, egli parlava sempre di "misericordia" e anche a me diceva "sii seminatore di misericordia". Pensando alla parabola ove si dice che "gli uccelli del cielo venivano a fare il nido fra i suoi rami" ho pensato a noi seminaristi poi diventati preti o anche a quelli che poi hanno fatto la scelta di "fare famiglia"; ho pensato alle persone che l'hanno incontrato nel periodo della loro giovinezza e sono stati "guidati" dalla sua presenza o anche solo da una "parola" che ha cambiato la loro vita. Quando parlava della sua vita di prete egli mi diceva: sicuramente ho fatto degli errori e anche dei peccati ma "non ho mai tradito né Dio, né le persone". È il mistero della GRAZIA di Dio sperimentata nella nostra debolezza e piccolezza.
Don Nevio l'ha sperimentato nella sua vita e ha aiutato le persone a non avere paura dei propri errori e peccati perché la grazia ti accompagna proprio in quei momenti.
La sua vita è stata un dialogo molto spesso in un silenzio che egli sempre ricercava: una "lotta" con Dio. Per questo trovava ogni giorno lo "spazio" di un'ora di silenzio davanti a Gesù Eucaristia. Questo perdere il tempo con Dio (così parlava della preghiera) ha sempre accompagnato la sua vita e anche gli incontri che gli venivano chiesti.
Ispirato a S. Charles de Foucauld
È l'esperienza del "deserto" nel quotidiano ispirata alla spiritualità di S. Charles de Foucauld. L'incontro con questo "movimento spirituale" fu centrale nella sua vita e per mezzo di lui, nella vita delle persone che l'hanno incontrato, incominciando dai seminaristi. Nel 1961 con don Luigi Bettazzi e don Arrigo Chieregatti fondò la rivista Jesus Caritas, pubblicata dalla associazione Carlo di Gesù, padre de Foucauld.
Nel primo numero c'è un suo testo intitolato "Divagazioni di un uomo" ...È l'articolo programmatico di "Spiritualità". Testo profetico del rinnovamento spirituale che avvierà il Concilio che iniziava l'anno seguente. È nella linea del "movimento Spirituale" nato attorno alla figura di Charles de Foucauld, che in quegli anni don Nevio fa conoscere a noi seminaristi con l'incontro con il Priore dei Piccoli Fratelli di Gesù, R. Voillaume di cui già nel 1953 era uscito il libro "Come Loro". La sua conferenza su questo nuovo "movimento spirituale" fu pubblicata sulla rivista nel 1963, n.9,99-112: documento importante anche nella linea della spiritualità di papa Francesco. «C'è un po' dovunque una concorrenza con la modernità ed il bisogno di essere sul piano spirituale produttivi.... e si cerca di fare una bella figura sia davanti a Dio che davanti agli uomini. Il pensiero consolante che Dio ci ami perché è Buono Lui (Nevio usava spesso la parola Bon Dieu!) è dimenticato, le considerazioni che il giorno più grande della nostra vita spirituale non sia il giorno del successo del fervore, ma il momento in cui ciascuno arriva a conquistare la propria povertà, è "profano"; povertà che non consiste nell'elemosinare in quanto Dio non è donatore di balocchi ma dà strumenti di lavoro. Dobbiamo ritrovare la nostra infanzia per tornare a credere tutto possibile, tutto preparato.... Che il Signore ci liberi da quello che noi chiamiamo le nostre virtù, che non sono altro che buone abitudini, che ci faccia capire che il progresso spirituale non consiste nell'essere più sicuri, ma nell'avvertire sempre più il bisogno di Dio, perché è avvertita in profondità la nostra instabilità e la nostra vile ingenerosità».
In un altro testo del 1972, dal titolo "facciamo tre tende ..." (Lc 9), in un numero di Jesus Caritas dedicato alla riflessione sulla Chiesa, (aspettative, delusioni, speranze), egli così critica un certo modo di parlare della "mia comunità":
«Gli incontri, a volte anche la liturgia, diventano incontri belli; si parla, si mangia anche insieme, ma l'insofferenza degli altri si accresce, si preferisce stare insieme, parlare con la stessa gente, evitando confronti con gli altri.... Tutto etichettato sotto il nome di comunità, la "mia comunità". Egli invece indica la povertà come stile di vita perché la comunità sia sempre "in uscita". È necessario riesprimere la povertà ... una povertà che non si può definire in termini negativi, che non è il non-possedere, ma è la consapevolezza concreta, storica, con tutti i limiti della mia realtà ambientale, che mi fa aperto a tutti, pronto ad accogliere anche quello che appare "vecchio", che forse è tale solo perché non è di moda, che ritiene un dono capire qualche cosa, un dono che vuole pudore, non vuole compiacenza e ambizione....
La comunità mi porta alla mia gente, alla gente che parte, che cammina, che non offre possibilità estetiche, ma che ha una concretezza ruvida, forse grezza, ma che è veramente dono.
È necessario aprirsi, discendere dove la gente fa fatica: fatica nel lavorare, fatica nell'essere se stessi, fatica nella coerenza, fatica a capire, fatica a cambiare, fatica ad accettare, come del resto io vivo questa fatica ....ma credo sia nell'economia del vangelo: che più avventurieri delle novità, vuole persone nuove, così come il vangelo propone e gli Atti degli Apostoli narrano».
Tutto questo era già detto nella preghiera che concludeva l'articolo del 1961, preghiera letta al termine dell'omelia del nostro Vescovo Matteo nella Messa esequiale di don Nevio: «Chiediamo al Signore che ci insegni a lavorare con mentalità da povero; ci renda docili; che ci faccia accettare i nostri limiti, che ci doni la convinzione profonda che anche noi avremo la nostra parte nel Regno dei Cieli in proporzione di quanto sapremo stimarci inutili; di avere cara questa inutilità, che non è passiva, perché sarebbe orgoglio ferito, è amore che accetta e fa quanto può, quanto sta a lui fare, perché è Dio che ci ha amato per primo, e non solo ci ha dato la possibilità di ricevere il suo Amore, ma ci ha fatto il grande dono di poter donare qualche cosa anche noi, secondo lo stile della povertà». (a.n.)
Faccio notare che don Nevio qui si firma solo con le iniziali...non a caso il titolo del testo è "divagazioni di un uomo..." Lui era Rettore del Seminario Regionale, e come mi disse, capiva che quello che lui indicava come "Teologia dell'imperfezione" (così lui la chiamava), poteva non essere gradita.
DON MARIO FINI