Chiaro Mario
Urlo di sofferenza e grido di pace
2022/12, p. 23
Sabato 5 novembre 2022 si è svolta a Roma una imponente Manifestazione nazionale per la Pace, indetta dalla piattaforma “Europe for Peace” lanciata da oltre 600 associazioni laiche e cattoliche.

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MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER LA PACE
Urlo di sofferenza
e grido di pace
Sabato 5 novembre 2022 si è svolta a Roma una imponente Manifestazione nazionale per la Pace, indetta dalla piattaforma “Europe for Peace” lanciata da oltre 600 associazioni laiche e cattoliche.
«Questa guerra va fermata subito. Basta sofferenze. L’Italia, l’Unione Europea e gli Stati membri, le Nazioni Unite devono assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco. È urgente lavorare a una soluzione politica del conflitto mettendo in campo tutte le risorse e i mezzi della diplomazia al fine di far prevalere il rispetto del diritto internazionale, portando al tavolo del negoziato i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, assieme a tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta. Insieme con papa Francesco diciamo: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”. Chiediamo al Segretario generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati a eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà e di finanziamenti per l’economia disarmata, per la transizione ecologica, per il lavoro dignitoso».
La pace è un processo faticoso
Questo è il cuore del messaggio proclamato durante la Manifestazione, sottoscritto anche dalla Comunità di Sant’Egidio che pochi giorni prima ha concluso i lavori del consueto Meeting internazionale di “Religioni e culture in dialogo” (Il grido per la pace 23-25 ottobre 2022). Nella giornata inaugurale, nel suo saluto, il presidente Sergio Mattarella ha evidenziato l’importanza che religioni e politica possano e debbano parlarsi. La sfida è sempre quella di «realizzare con perseveranza percorsi di pace, attraverso un impegno collettivo della comunità internazionale che valorizzi il dialogo, i negoziati, il ricorso alla diplomazia in luogo delle armi. Si tratta di un lavoro faticoso, che richiede cura e opera paziente, perché la pace è tale soltanto se porta con sé l’antidoto contro l’insorgere di nuove guerre, se è sostenibile nel tempo e se è ampiamente condivisa». La pace dunque è un processo e il compito di istituzioni e di leaders politici è di collaborare alla definizione di «un ordine internazionale che sottragga alla tentazione della guerra. La condizione dei popoli è caratterizzata da forti disuguaglianze. Il rapporto Nord-Sud, in particolare - gravato da eredità e da condizioni contemporanee di grande sofferenza - è lontano dall’aver raggiunto un accettabile equilibrio che riconosca la dignità di ogni essere umano. Il tema della emigrazione e della immigrazione, che ne sono conseguenza, chiama la coscienza di ciascuno a interrogarsi sulla effettiva, autentica applicazione della Carta internazionale dei diritti umani». «Occorre impedire - ha concluso Mattarella - che una nuova linea di “faglia” attraversi il mondo e si aggiunga alle troppe che già caratterizzano l’Europa, il Medio-Oriente, in tanti luoghi del mondo, separando i popoli con rinnovate cortine di odio. Per quanto ci riguarda è anzitutto una sfida in Europa e per l’Europa. L’Europa non può e non deve permettersi di cadere “prigioniera” della precarietà, incapace di assolvere al suo naturale ruolo di garante di pace e di stabilità nel continente e nelle aree vicine».
Una generazione di fronte a un bivio
Alle parole del capo dello Stato italiano ha fatto eco l’Appello di pace letto da Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, nella cerimonia finale alla presenza di papa Francesco e dei rappresentanti delle religioni. Nell’Appello affiora la consapevolezza di trovarsi davanti a un bivio: «essere la generazione che lascia morire il pianeta e l’umanità, che accumula e commercia armi, nell’illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme, non investe sulle armi, abolisce la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse del pianeta. Noi credenti dobbiamo adoperarci per la pace in tutti i modi che ci sono possibili. È nostro dovere aiutare a disarmare i cuori e richiamare alla riconciliazione tra i popoli. Purtroppo anche tra noi ci siamo talvolta divisi abusando del santo nome di Dio: ne chiediamo perdono, con umiltà e vergogna».
Questa generazione di credenti impegnati a disarmare i cuori si è espressa durante il Meeting di Sant’Egidio. I protagonisti delle giornate sono stati i leaders delle principali religioni, anche di quelle orientali come buddismo, induismo e shintoismo. Nel campo dell’ecumenismo, il dialogo è stato proficuo anche per alcune presenze significative: il responsabile delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, Antoni; il patriarca della Chiesa Assira (antica chiesa orientale diffusa in Iraq, Siria e nella diaspora nordamericana). Tanti anche i testimoni della solidarietà, come Gregoire Ahongbonon, soprannominato il Basaglia d’Africa, che nel Benin aiuta i malati psichiatrici a ricominciare una nuova vita; Alicia Peressutti, fondatrice dell'associazione Vinculos en Red, impegnata in Argentina per difendere le donne dalla tratta e dallo sfruttamento; padre Alejandro Solalinde, prete messicano direttore di Hermanos en el Camino, il più grande rifugio per i migranti centroamericani (fornisce aiuti umanitari e istruzione a quanti cercano di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti, vittime del racket dei narcos). Importante è stata anche la presenza di donne e uomini giunti in Europa grazie ai corridoi umanitari: hanno preso la parola nei vari forum, testimoniando come è possibile costruire un’alternativa ai viaggi sui barconi e alle detenzioni nelle prigioni libiche e permettere l’integrazione nel tessuto sociale europeo. Un momento suggestivo nella celebrazione finale è stata la consegna da parte di Edith Bruck, – scrittrice ebrea di origine ungherese sopravvissuta da bambina ai lager nazisti – dell’Appello firmato dai leaders religiosi, a un gruppo di bambini, che lo hanno poi trasmesso ai diplomatici presenti.
Impegno di pace senza ingenuità
Il Presidente della Cei Matteo Zuppi, rivolgendosi a chi manifesta per la pace, ha rimarcato che il promotore della pace non è un ingenuo. Non lo è papa Francesco, che ha detto di recente: «Chiediamo al Presidente della Federazione Russa, di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e chiediamo al Presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace». Il cardinale ha avanzato richieste importanti e specifiche: «Chiediamo la pace e con essa la giustizia. Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti che combattano le povertà. E chiediamo all’Italia di ratificare il Trattato ONU di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo, ma perché siamo consapevoli che l’umanità può essere distrutta».
In questo tempo di guerra si sono levate diverse critiche per la debole mediazione dell’ONU tra le parti in conflitto. In questo senso è stato confortante ascoltare Martha Pobee, membro del Dipartimento ONU per gli affari politici e di costruzione di pace e operazioni di pace, che ha dato conto di una Dichiarazione, che ha spinto il Segretario Generale dell’ONU a elaborare l’ambizioso Rapporto intitolato “La nostra agenda comune”, in cui si offre una visione per la pace sostenibile, lo sviluppo e i diritti umani. Si tratta di una spinta per preparare al centro dell’ONU una nuova Agenda per la pace che ponga prevenzione e riduzione della violenza. Il documento offre una visione per rafforzare la “cassetta degli attrezzi diplomatici” contenuta nel capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite e cerca di forgiare un nuovo consenso globale sulla cooperazione per la sicurezza collettiva.
Crisi della globalizzazione e ruolo delle religioni
Con un contributo dal titolo “Cooperazione per un ordine economico al servizio dell'umanità, in cui al centro ci sia la dignità delle persone, soprattutto dei poveri”, il cardinale Walter Kasper è andato alle radici dell’attuale conflitto inserendolo nella crisi della globalizzazione: «La situazione che stiamo vivendo in Ucraina è molto più di una guerra locale: è uno scontro globale di culture e sistemi sociopolitici. In tale situazione ci troviamo di fronte alla domanda: come è possibile costruire un nuovo ordine mondiale e quale può essere il contributo della Chiesa?». La sua risposta è quella di perseguire con tutti gli altri attori lo sviluppo di un “umanesimo della solidarietà”. Questo nuovo umanesimo poggia su quattro pilastri: 1) La protezione dei diritti umani. «Ci è voluto molto tempo perché la Chiesa riconoscesse i diritti umani; solo il Vaticano II ci è riuscito con la Gaudium et Spes». Una particolare attenzione va data ai diritti umani di seconda e terza generazione: diritto al lavoro, alla sicurezza, all’istruzione, a un ambiente intatto, alla partecipazione al patrimonio comune dell'umanità, all’autodeterminazione dei popoli. 2) La democrazia e lo Stato di diritto. «In passato, gli Stati occidentali hanno spesso collaborato con dittature de facto che non avevano alcuna base demografica. Questo non ha reso gli aiuti allo sviluppo occidentali popolari o di successo. La Chiesa non è legata a nessun sistema politico, nemmeno alla democrazia parlamentare occidentale. Tuttavia, è importante cooperare con Stati e istituzioni che soddisfino almeno le esigenze democratiche di base». 3) La cooperazione per un ordine economico al servizio dell’umanità con al centro «la dignità delle persone, soprattutto dei poveri, e non i valori di borsa». È la preoccupazione fondamentale di papa Francesco, che «invita a una conversione ecologica e si oppone alla globalizzazione dell'indifferenza e all'iperinflazione dell'individuo». 4) Interdipendenza sovranazionale. «Grazie alla globalizzazione, gli Stati nazionali stanno perdendo il controllo sul destino dei propri cittadini. Tuttavia, un’autorità internazionale nel senso di una sorta di governo mondiale è molto lontana. È necessario un sistema intergovernativo di negoziati e organizzazioni internazionali».
Ci sembra importante concludere la narrazione del “grido per la pace” dando conto della lettura dei segni dei tempi fatta dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. Tanto più significativa in un momento in cui c’è difficoltà nel dialogo tra Francia e Italia a causa della questione dei migranti, che attraversano il Mediterraneo diretti verso i lidi. Il Presidente ha anche espresso la sua posizione sul ruolo delle religioni: «Le anime e i popoli non sono amministrabili. Penso dunque che i responsabili religiosi abbiano un ruolo essenziale perché contribuiscono alla trama delle nostre società, alle relazioni tra gli individui e a un rapporto al tempo lungo… sono convinto che le religioni e i responsabili religiosi abbiano un ruolo di resistenza dinanzi alla follia dei tempi. E resistenza significa precisamente non giustificare mai, essere presi in ostaggio o sostenere dei progetti politici che asservirebbero o negherebbero la dignità di ogni individuo». Chiudendo il suo intervento Macron ha sottolineato che, oltre al ruolo di resistenza di fronte al male, le religioni sono in grado di trasmettere un messaggio universale: «L’universalismo è anzitutto un’esigenza verso se stessi. È la volontà di comprendere ciò che facciamo su scala mondiale, di dialogare con gli altri e cercare l’irriducibile parte di universale che è in ognuno di noi. L’universalismo è a mio avviso il miglior antidoto contro il relativismo contemporaneo, il miglior antidoto contro la frammentazione del mondo alla quale stiamo assistendo».
MARIO CHIARO