L’impronta di Dio Trinità nella creazione
2022/11, p. 41
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, la relazione presentata alla V edizione dello «Halki Summit», a Istanbul (8-12 giugno 2022), incentrata sulla sfida ecologica nel magistero di Papa Francesco e del Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
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Testimoni
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CONVERSIONE ECOLOGICA
L’impronta di Dio Trinità nella creazione
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, la relazione presentata alla V edizione dello «Halki Summit», a Istanbul (8-12 giugno 2022), incentrata sulla sfida ecologica nel magistero di Papa Francesco e del Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo invitano a una conversione ecologica. Così dicendo, ci indicano con vigore e lucidità che, senza più indugio, occorre oggi cambiare direzione nel cammino dell’umanità, pena il collasso dell’ecosistema sociale e ambientale, per promuovere un uso corretto della tecnica e uno stile fraterno e solidale di vita nell’ethos e nella prassi con cui abitiamo e gestiamo la casa comune.
Ma non si fermano qui: perché la radice di questa conversione si trova nel cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo diventa nuovo quand’è raggiunto e trasformato dall’amore di Dio. Ancora una volta, e con inedita urgenza, l’invito è ad aprirsi alla promessa di Dio fatta attraverso il profeta Ezechiele che si è fatta evento di grazia nella pienezza dei tempi, una volta per sempre (ἐφάπαξ), in Cristo Gesù: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno Spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme» (Ez 36,26-27).
È il soffio dello Spirito nuovo che viene da Dio e riempie l’universo che l’umanità e la creazione tutta attendono e invocano, anche senza saperlo, «con gemiti inesprimibili»: perché – scrive l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani – «l’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio», per essere essa pure «liberata dalla schiavitù della corruzione ed entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19.21).
Contemplazione
Solo «l’incontro con il Dio vivente e personale: Padre, Figlio e Spirito Santo» – scrive il patriarca Bartolomeo – «può sostenere il mondo»[1], «la verità la si contempla, non la si capisce a livello intellettuale; Dio lo si vede, non lo si esamina a livello teorico. La bellezza è percepita, non si congettura astrattamente»[2]. Papa Francesco gli fa eco nella Laudato si’: «La grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di rinnovare l’umanità. (…) Infatti, non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi» (n. 216).
La chiave della conversione ecologica, la cui grazia e responsabilità sono custodite nel Vangelo e che la Chiesa è chiamata a irradiare, camminando lungo i sentieri della vita fianco a fianco con tutti coloro che, in modi diversi, sono animati dallo Spirito di Dio, è la contemplazione di Dio Trinità nella creazione per mezzo di Cristo Gesù, la cui pienezza (πλήρωμα), nella luce (δόξα) e nella potenza (δύναμις) dello Spirito Santo, «si compie tutta in tutte le cose» (Ef 1,23). Questa l’anima, dilatata a misura del cuore di Dio (cf. 1Gv 3,20), che è chiamata a dare salute, armonia e bellezza al corpo dell’umanità e del cosmo nella vertiginosa estensione e profondità in cui oggi si è dilatato.
Lo intuiva, nella prima metà del secolo scorso, Henri Bergson nel suo Les deux sources de la morale et de la religion. Già solo tenendo conto del grado di sviluppo raggiunto dalla tecnica al suo tempo – e che oggi s’è spinto a confini allora impensabili – il filosofo scriveva: «La natura, dotandoci di una intelligenza essenzialmente creatrice, aveva preparato per noi un certo ingrandimento» e le «macchine», frutto dell’ingegno umano, «sono venute a dare al nostro organismo un’estensione così vasta e una potenza così formidabile, così sproporzionate alla sua dimensione» che, «in questo corpo smisuratamente ingrandito, l’anima resta ciò che era, ormai troppo piccola per riempirlo, troppo debole per guidarlo»[3].
Conversione dello sguardo
Dunque, dilatare e fortificare l’anima, sino ad essere nella koinonía dello Spirito Santo (2Cor 13,13) «un cuor solo e un’anima sola» (cf. At 4,32): dilatarla sulla misura del corpo dilatato, ma troppo spesso anche dilacerato e ferito, della famiglia umana universale e del cosmo intero. Questo ciò che ci è chiesto oggi come discepoli di Gesù.
Ma che cosa significa? e come può realizzarsi?
Ciò si fa praticabile – ecco l’insegnamento, alla scuola dell’unico Maestro, in ascolto della Parola di Dio e della Tradizione cristiana, che ci offrono papa Francesco e il patriarca Bartolomeo – quando l’anima apre i suoi occhi a incontrare lo sguardo d’amore di Dio e da esso si fa trasfigurare: lo sguardo con cui il Padre contempla in Cristo Gesù, crocifisso e risorto, nel dramma della storia vissuto nella luce della promessa, il farsi dei «cieli nuovi» e della «terra nuova», ove Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28).
Quello che abbiamo lasciato per strada, tante volte, come discepoli di Gesù, e che papa Francesco e il patriarca Bartolomeo c’invitano a riaccendere, è innanzi tutto questa grazia: il fatto che possiamo guardare in modo nuovo, contemplativo e performativo, agli altri e al mondo, perché prima, e sempre di nuovo, ci lasciamo sorprendere dallo sguardo d’amore senza misura con cui Dio stesso ci guarda: «Tu, Signore, ami tutte le cose che esistono… Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?… Tu, Signore amante della vita» (Sap 11,25-27).
La questione decidente del nostro tempo è una questione di sguardo. La conversione ecologica può nascere e nutrirsi solo da una conversione dello sguardo e da un’educazione mistagogica dello sguardo. Lo sviluppo del pensiero razionale, delle scienze, della tecnica lungo i secoli della modernità – senza che quasi ce n’accorgessimo –, con tutti i preziosi guadagni che ha portato con sé, ha però rischiato di distogliere progressivamente il nostro sguardo dall’orizzonte della Luce in cui esso s’accende penetrando con stupore e gratitudine nella verità delle cose e giudicando con rettitudine per farci agire secondo la misura della giustizia e dell’amore. È questo lo sguardo che ha origine da un altro sguardo: quello del Creatore e Signore di tutto, quello di Dio Trinità.
«Tu mi conosci»
L’uomo, infatti, conosce perché è conosciuto. Riecheggiando il Salmo 139, la liturgia latina canta: «Prima che io nascessi, mio Dio, tu mi conosci».
Quella dell’uomo, è la conoscenza di chi si conosce creatura: la conoscenza, cioè, di colui che scopre, destandosi al miracolo della vita, d’essere creato «a immagine e somiglianza di Dio», l’Altissimo, il tre volte Santo (cf. Gen 14,22 e Is 6,3). Per questo, da sempre, l’uomo e la donna attraverso le meraviglie del creato conoscono – anche se quaggiù nel chiaroscuro di ciò che non è ultimo ma penultimo soltanto –, la Luce senza tramonto del mistero di Dio che inonda, avvolge, sostiene e promuove il creato nel suo cammino verso la patria (cf. Rm 1,19-20).
L’uomo contempla nel creato l’impronta del Creatore quando si scopre egli stesso conosciuto e voluto con amore dal Creatore quale sua creatura, nel più profondo del suo essere e in tutte le espressioni del suo esistere. Anche se questa conoscenza gli resta velata, è fragile, può essere offuscata e persino obliata. Sin quando è venuto lui, il Cristo, il Figlio di Dio che, facendosi carne (cf. Gv 1,14), s’è fatto in tutto, fuorché nel peccato, figlio dell’uomo. È Lui che per sempre ha dissolto la tenebra in Luce: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
Gesù è l’attestazione sfolgorante di questo: Egli è Figlio perché è conosciuto (generato) da Dio che è Padre. Il suo essere è tutto e solo racchiuso ed espresso nel suo essere conosciuto dal Padre come il Figlio (ὁμοούσιος τῷ Πατρὶ, confessa il primo Concilio ecumenico di Nicea: della stessa sostanza del Padre). È così che egli a sua volta conosce il Padre e comunica questa conoscenza agli uomini partecipando loro lo Spirito che dal Padre ha ricevuto: «Che voi siete figli ne è prova il fatto che lo Spirito grida nei vostri cuori: Abbà, Padre» (Gal 4,7). Come insegna sant’Ireneo di Lione, «la conoscenza del Padre è il Figlio, e la conoscenza del Figlio di Dio si attua per mezzo dello Spirito Santo»[4].
Conoscere la creazione in Dio
L’evento dell’incarnazione, che si compie nella Pasqua in cui il Figlio dona la sua vita per riprenderla nuova (cf. Gv 10,17), consegnando «senza misura» (Gv 3,34) lo Spirito (cf. Gv 19,30) ai fratelli, rivela e porta a compimento la verità, la bontà e la bellezza della creazione: «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,10); «Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui, egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui» (Col 1,16-17).
Resi partecipi per grazia della divina figliolanza di Cristo, e illuminati dalla luce (δόξα) effusa dallo Spirito Santo, noi riceviamo lo sguardo di Cristo stesso, il suo pensiero (νοῦς) (cf. 1Cor 2,16): così che possiamo non soltanto conoscere Dio attraverso le sue creature, come in un riflesso terso in cui si specchia il Sole, ma veniamo introdotti a conoscere le creature nell’interiorità della vita della santissima Trinità – come accolti in una voragine d’amore – con lo sguardo di Dio stesso. Scrive san Giovanni della Croce, il mistico dottore: «L’anima allora vede come tutte le creature celesti e terrestri hanno la propria vita e la propria durata in Dio […]. Anche se è vero che l’anima in tale stato vede come queste cose, in quanto create, sono distinte da Dio e le scorge in Lui con tutta la loro forza, radice e vigore, tuttavia è così profonda la conoscenza che ha di Dio, come di colui il quale contiene eminentemente nel suo essere tutte queste cose, che le conosce meglio nell’essere divino che in se stesse. Questo è il grande diletto di tale risveglio: conoscere le creature per mezzo di Dio e non Dio per mezzo delle creature»[5].
È così descritta, certo, una singolare grazia mistica, di cui non sono poche le meravigliose testimonianze nella grande tradizione cristiana di contemplazione e santità, in Oriente come in Occidente. Ma la conversione dello sguardo – il «risveglio», lo chiama san Giovanni della Croce – operata dalla fede che ci fa essere e vivere in-Cristo nell’amore della santissima Trinità, dischiude per tutti l’accesso a questo sguardo nuovo sulla creazione. Così che è Cristo in noi a guardarla, contemplandola e camminando in essa e con essa.
Ma come guarda e contempla la creazione Cristo, Cristo in noi? Come dono di Dio; come tessuta in una rete di relazioni in cui le creature sono rese partecipi della vita di Dio Trinità; come attivamente coinvolta nelle doglie di un immenso parto, che è la pasqua di Cristo dilatata a misura dell’umanità e del cosmo.
Una parola soltanto su ciascuno di questi raggi di Luce nuova e intensa che sono proiettati, nello Spirito Santo, dallo sguardo di Cristo crocifisso e risorto sulla creazione: ciascuno di essi dischiude un orizzonte sapienziale di straordinaria portata anche per l’interpretazione cosmologica, scientifica, tecnologica della realtà.
Come dono di Dio
Innanzitutto, quello di Cristo è lo sguardo che contempla la creazione come dono di Dio. Descrivendo il significato e il fine dell’attività umana nell’universo, il Concilio Vaticano II insegna nella Costituzione pastorale Gaudium et spes:
«Tutte le attività umane, che son messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo. Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l’uomo, infatti, può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve: le vede come uscire dalle sue mani e le rispetta. Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha niente e che possiede tutto: “Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio” (1Cor3,22)» (n. 37).
La logica divina sottesa alla creazione è la logica stupefacente del dono. E tale è decifrata, accolta e incentivata dall’uomo quando è illuminata e gestita secondo la sua originaria intenzionalità: tutto è creato in dono per ciascuno e per tutti e ciascuno è creato in dono per ciascun altro e per tutti. «In ogni conoscenza e in ogni atto d’amore – scrive Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate – l’anima dell’uomo sperimenta un “di più” che assomiglia molto a un dono ricevuto, a un’altezza a cui ci sentiamo elevati» (n. 77).
Di qui un atteggiamento non di possesso ma di povertà e sobrietà, non di idolatria ma di libertà e condivisione. Le creature – insegna la dottrina sociale della Chiesa – hanno per sé una destinazione universale: non sono per pochi privilegiati, ma per tutti, nessuno escluso. È questa la «regola d’oro» del comportamento sociale, economico, politico, il suo «primo principio» (cf. Laudato si’, 93; Laborem exercens, 19). Le cose create non sono semplici strumenti da usare (uti): ma, contemplate come dono nel loro scaturire, al presente, dalle mani di Dio, vanno accolte e godute (frui) nello spirito dossologico della lode, del ringraziamento, della comunione.
Le relazioni, impronta trinitaria
Ma ecco un ulteriore, strabiliante orizzonte di contemplazione: nello sguardo di Cristo, il creato non è più guardato dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo le innumerevoli relazioni che legano tra loro in armonia tutte le creature (cf. Laudato si’, 220).
La tradizione della teologia e della spiritualità cristiana ha costantemente e meravigliosamente illuminato l’impronta di questa dinamica trinitaria e trinitizzante che è presente in ogni creatura e nella relazione che le diverse creature vivono l’una rispetto all’altra. Così la descrive – in pochi tratti di folgorante intensità mistica – Chiara Lubich: «Nella Creazione tutto è Trinità: Trinità le cose in sé, perché l’Essere loro è Amore, è Padre; la Legge in loro è Luce, è Figlio, Verbo; la Vita in loro è Amore, è Spirito Santo. Il Tutto partecipato al Nulla.
E sono Trinità fra loro, ché l’una è dell’altra Figlio e Padre, e tutte concorrono, amandosi, all’Uno, donde sono uscite. E ciò attraverso l’uomo che s’indía nella Santa Comunione»[6].
Sì, tutto confluisce ed è portato in Dio in virtù dell’Eucaristia. L’Eucaristia – intuiva Maurice Blondel – è il «vincolo sostanziale» dell’universo: il farsi «tutto in tutti» di Cristo grazie al suo corpo donato e al suo sangue versato, che a tutti e in tutto si comunica mediante il frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Secondo le parole di Gesù: «Come il Padre, che è il Vivente, ha mandato me e io vivo per (διά: in virtù del) Padre, così anche colui che mangia ma anch’egli vivrà per (διά: in virtù di) me» (Gv 6,57). L’Eucaristia «è di per sé un atto di amore cosmico» (Laudato si’, 236).
Grazie ad essa si realizza la vocazione della persona umana che – scrive Papa Francesco – «tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da se stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza il dinamismo trinitario che Dio ha impresso in lei fin dalla sua creazione» (Laudato si’, 240).
Allora – come canta Francesco d’Assisi dopo l’esperienza d’immedesimazione con Cristo Crocifisso vissuta a La Verna, che gli fa contemplare il mondo con gli occhi d’amore di Dio – si riconoscono e trattano da fratelli e sorelle non solo le persone umane, ma le creature tutte: il sole, la luna, le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la madre terra… Francesco entra in dialogo con tutte le creature e – come narra Tommaso da Celano – predica persino agli uccelli e ai fiori, invitandoli «a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione»[7].
«Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto» (Laudato si’, 83).
Le doglie del parto
Resta sullo sfondo un interrogativo trafiggente, drammatico, tanto spesso tragico e a un primo sguardo insormontabile: e la sofferenza, la miseria, la sconfitta, il fallimento, la morte?
Se Cristo non è risorto vana è la nostra fede (cf. 1Cor 15,17). Ma la sapienza (σοϕία) e la potenza (δύναμις) di Dio, che sfolgorano nella risurrezione, scaturiscono da Cristo crocifisso (cf. 1Cor 1,22-24). Non è, questa, una verità solo spirituale e religiosa: ma onto-logica e dunque – al suo proprio livello e con le sue specifiche modalità d’espressione – è una verità antropologica, etica, cosmologica. La conversione ecologica dello sguardo è chiamata a inoltrarsi, in profondità, con fede e ardimento, nell’orizzonte inedito dischiuso dalla Pasqua di morte e risurrezione di Gesù anche nel discernimento e nella gestione di ciò che ostacola e si oppone al cammino della vita e dell’amore.
Non è Gesù stesso, guardando alla legge trinitaria della vita che è amore inscritta nella natura, a illuminare la dinamica trasformante e divinizzante di ciò che avviene nella sua Pasqua riferendosi al chicco di grano che, cadendo in terra, porta molto frutto (Gv 12,24)? e alla donna che, «quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21)?
Indirizzando lo sguardo, attraverso Cristo crocifisso e risorto, con discrezione, timor di Dio, umiltà e tenerezza, in questo misterioso ma reale orizzonte di senso, si può intuire qualcosa della dinamica pasquale dell’amore di Dio che si fa strada nel travagliato processo che coinvolge la storia umana e l’intero cosmo, così come lo descrive Paolo nella lettera ai Romani: «Sappiamo che tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8, 22-24a).
La sofferenza, la prova, la tragedia, la morte sono già riscattate in Cristo crocifisso e risorto e possono diventare, attraverso la nostra com-passione, espressione e strumento di un amore più grande: fatto di misericordia, di solidarietà, di giustizia, di speranza, di vita nuova, secondo la parola dell’apostolo Paolo: «Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do’ compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
C’è un rapporto stretto, non più separabile, tra il grido dei poveri e il grido della terra (cf. Laudato si’, 49). Il Verbo (Λόγος) di Dio s’è fatto Egli stesso grido, questo grido, ogni grido, sul legno della croce: «un grido che dice allo stesso tempo il trionfo dell’amore di Dio e la verità e profondità della sua incarnazione»[8].
Conversione ecologica
La conversione ecologica è innanzi tutto conversione dello sguardo: questo il messaggio che in stupenda e affascinante sinfonia c’indirizzano Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo.
Assumendo il dono, la responsabilità e la creatività di questo sguardo di sapienza e misericordia in-Cristo si possono e debbono intraprendere con spirito e realismo percorsi costruttivi di dialogo con l’interpretazione filosofica, scientifica e tecnica della creazione: a proposito delle grandi questioni etiche che interpellano oggi la coscienza umana intorno al mistero della vita, così come a proposito delle tecniche adeguate per una promozione sostenibile e fraterna dello sviluppo sociale e ambientale.
Non si tratta di una semplice un’utopia, né soltanto di un imperativo etico. La fede in Cristo attesta che questo sguardo è espressione di un evento ontologico che è accaduto «una volta per sempre» e che di continuo riaccade: quando dal cuore, tacita o espressa, sboccia in noi, per impulso tenero e forte dello Spirito Santo, la disponibilità di Maria all’annuncio sorprendente dell’angelo: «γένοιτόμοι κατὰ τὸ ῥῆμάσου» (Lc 1,38).
Allora, con Maria, tutto in Cristo crocifisso e risorto si trasfigura: come la Chiesa d’Oriente canta nell’inno Akathistos, rivolgendosi a Maria, χώρα τοῦ Θεοῦ τοῦ ἀχοράτου: «Tu porti Colui che il tutto sostiene. Ave, o stella che il Sole precorri; Ave, o grembo del Dio che s’incarna. Ave, per Te si rinnova il creato».
PIERO CODA
[1] Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, Incontro al mistero, Qiqajon, Magnano 2013, pp. 74 e 87.
[2] Id., Grazia cosmica, umile preghiera. La visione ecologica del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, a cura di J. Chryssavgis, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2007, p. 189.
[3] H. Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion (1932), tr. it., Edizioni di Comunità, Milano 1947.
[4] Cf. Ireneo di Lione, Dimostrazione della predicazione apostolica, 4-10.
[5] Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore B, str. 4, 5, in Id., Opere, Roma 1979, p. 823-824.
[6] Testo inedito (1949).
[7] Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco, XXIX, 81: 660.
[8] Marie-Eugène de l’Enfant Jésus, Je veux voir Dieu, Ed. du Carmel, Venasque 1998, p. 1016