Dal silenzio, la Parola
2022/11, p. 14
L’Avvento è il tempo al quale è affidato il non facile compito di prepararci al Natale, che è certamente evento della Parola, del Verbo fatto carne, ma anche – come cantava Turoldo – solitudine e più alto silenzio. E se provassimo a considerare il mistero dell’incarnazione non solo come l’erompere della Parola ma anche come l’inizio di un viaggio, la discesa nella profondità del silenzio di Dio (e del nostro), che non contraddice la parola ma la completa?
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MEDITAZIONE SULL’AVVENTO
Dal silenzio, la Parola
L’Avvento è il tempo al quale è affidato il non facile compito di prepararci al Natale, che è certamente evento della Parola, del Verbo fatto carne, ma anche – come cantava Turoldo – solitudine e più alto silenzio. E se provassimo a considerare il mistero dell’incarnazione non solo come l’erompere della Parola ma anche come l’inizio di un viaggio, la discesa nella profondità del silenzio di Dio (e del nostro), che non contraddice la parola ma la completa?
Mentre il silenzio fasciava la terra
e la notte era a metà del suo corso,
tu sei disceso, o Verbo di Dio,
in solitudine e più alto silenzio.
La creazione ti grida in silenzio,
la profezia da sempre ti annuncia,
ma il mistero ha ora una voce,
al tuo vagito il silenzio è più fondo.
E pure noi facciamo silenzio,
più che parole il silenzio lo canti,
il cuore ascolti quest’unico Verbo
che ora parla con voce di uomo.
A te, Gesù, meraviglia del mondo,
Dio che vivi nel cuore dell’uomo,
Dio nascosto in carne mortale,
a te l’amore che canta in silenzio (David Maria Turoldo).
Molti hanno esplorato le parole e la Parola. Noi stessi, ogni giorno, esploriamo parole (e un po’ arranchiamo nell’esplorare la Parola), le interroghiamo, cerchiamo quelle più efficaci e le afferriamo, per noi stessi e per altri: siamo assetati di parole. Accade però anche a noi, in qualche prezioso attimo, di attraversare il silenzio, di esserne in qualche modo attraversati. E ci ritroviamo inadeguati a descriverlo. L’Avvento è il tempo al quale è affidato il non facile compito di prepararci al Natale, che è certamente evento della Parola, del Verbo fatto carne, ma anche – come cantava Turoldo – solitudine e più alto silenzio.
E se provassimo a considerare il mistero dell’incarnazione non solo come l’erompere della Parola ma anche come l’inizio di un viaggio, la discesa nella profondità del silenzio di Dio (e del nostro), che non contraddice la parola ma la completa? Prosegue infatti Turoldo nella poesia citata: al tuo vagito il silenzio è più fondo.
Difficile scriverne, perché questo silenzio vibra nelle corde intime di ciascuno di noi in maniera unica e irripetibile. Difficile anche perché usare parole per descrivere il silenzio ha il sapore di un’ironica aporia. Forse il silenzio non chiede di essere descritto, ma abitato, «arte dell’a-capo che insegna a lasciarsi scrivere. Il silenzio semina. Le parole raccolgono. Il silenzio è cosa viva».
Se è dunque cosa ardua interrogare il silenzio, proviamo allora a ripercorrere i passi vacillanti di chi è stato attraversato dal silenzio di Dio prima della notte santa di Betlemme. Illuminante a questo proposito è la riflessione di André Neher, dalla quale traiamo spunto e alla quale rimandiamo per un prezioso approfondimento, che mette in relazione il tema del silenzio e quello della Bibbia.
La creazione ti grida in silenzio
Ancora la poesia di Turoldo, tornando alla notte di Betlemme, registra il grido silenzioso della creazione. La natura, come il silenzio, o forse proprio stringendo alleanza con il silenzio, non è spettatrice passiva della manifestazione del Creatore, bensì eloquente protagonista: «I cieli narrano la gloria di Dio… senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce… per tutta la terra si diffonde il loro annuncio» (cfr. Sal 19,2-5). Gli elementi naturali parlano da sé, non hanno bisogno di interpreti. E a tal punto la loro voce risuona per chi sa ascoltare che Giosuè apostrofando il sole, non gli intimò di fermarsi, bensì di tacere (“dom!” nell’originale ebraico, Gs 10,12-13).
Parlando del paesaggio attorno alla sua abbazia di Mont-des-Cats, André Louf scriveva così ai suoi fratelli: «Questa pianura cupa con l’inverno alle porte riesce di solito a farmi passare in cielo senza troppe difficoltà. Libera in me uno spazio interiore in cui Dio si rivela subito molto vicino. Ecco fino a che punto abbiamo bisogno della terra per scoprire il cielo, e per di più di una terra molto precisa».
Silenzio e natura disegnano attorno a noi un paesaggio favorevole perché, è vero, abbiamo bisogno della terra per scoprire il cielo, nell’orizzonte di un “oltre” sempre nuovo, ancora da esplorare. Un altro silenzio da abitare. Preparandoci al Natale potremmo allora rispolverare il paesaggio a noi favorevole, quel brandello di terra che ci aiuta a preparare le vie del cielo. E, al contempo, potremmo interrogare il nostro orizzonte per scoprire l’oltre verso il quale dobbiamo dirigere decisamente il volto.
La natura è molto più di un tema sociale: è l’ordito sul quale intessiamo ogni giorno la trama del nostro tempo. E il Verbo di Dio – oggi come duemila anni fa – si lascia avvolgere da questo prezioso tessuto, fasce di una mangiatoia di pastori, sulle colline di Betlemme.
Dove il limite diviene possibilità
C’è un silenzio intraducibile, grave ma leggero, che suscita tremore eppure infonde coraggio: è il silenzio che Elia incontra sull’Oreb (cfr. 1Re 19). Il profeta vi giunge al culmine della sua fuga, carico di disillusione e di rimostranze per quel Dio che pare averlo tradito, che lo ha fatto splendere di potenza sul Monte Carmelo, sbeffeggiando i profeti di Baal, e poi non lo ha difeso dalla perfida Gezabele, che ora lo insegue per togliergli la vita. Un Dio che ora tace. Elia fugge per salvare la sua vita, ma forse è il suo zelo che pretende di preservare, lo zelo che brandisce come vessillo dinanzi alle possibili mirabolanti manifestazioni della potenza divina. Ma a Dio non interessa lo zelo. Dio custodisce la vita. Lì, sul monte Oreb, su ogni Oreb della nostra vita, dopo aver lasciato che vento gagliardo, terremoto e fuoco annuncino ciò che Dio non è, e dove Dio non si può trovare, il Signore passa, nella voce di silenzio sottile (qòl demamah daqqah, 1Re 19,12). Quella voce di silenzio, intraducibile al punto da contrabbandarla con “il sussurro di una brezza leggera”, squarcia le tenebre che avvolgono la notte, e il cuore del profeta.
La Scrittura non lo dice… ma è davvero un azzardo pensare che tra il Campo dei pastori e la grotta di Betlemme non sia stata una parola a correre, ma una voce di silenzio sottile? Perché è anzitutto lì, testardamente lì, nella tremolante vulnerabilità di un bambino (o di un profeta sconfitto e umiliato) che dimora il “Dio nascosto in carne mortale”, secondo l’emozionante espressione del poeta.
Incamminandoci verso Betlemme, lasciamo allora che il silenzio svuoti ogni nostra apparenza di successo, ogni zelo brandito con orgoglio, per farci ritrovare senza vergogna affamati di focacce cotte su pietre roventi che mano di angeli non faranno mai mancare al nostro cammino. E allora ogni limite diventa possibilità e sapremo che è davvero Natale, anche nella nostra vita.
Il silenzio è preghiera
In un libro che è diventato un classico in riferimento al tema del silenzio, Max Picard scriveva che il silenzio «è oggi l’unico fenomeno senza utilità. Non s’addice all’odierno mondo dell’utile, si limita ad esistere e sembra non avere alcun altro scopo, né si presta a qualsivoglia sfruttamento». Per questo silenzio e preghiera sono inscindibili… di più: il silenzio è lode, canta il salmista, e il Signore ascolta proprio quella preghiera, quella che il silenzio ha trasformato in lode (cfr. Sal 65,2-3).
La nostra preghiera si inaridisce quando perde la gratuità del silenzio, quando rimane impigliata in schemi che la sovrastano o nella ricerca di perfezione o, all’estremo opposto, nelle sonnolenze giustificabili dei ritmi incalzanti.
Se ripercorriamo idealmente le tappe che hanno preparato la notte di Betlemme, scorgiamo una catena di oranti straordinari, uno diverso dall’altro, ma tutti custodi di una singolare esperienza del silenzio. Pensiamo alla bocca di Zaccaria, serrata per incredulità, pensiamo al nascondimento di Elisabetta, schiacciata dal peso della vergogna. E poi Maria, che componeva nel silenzio il quadro della rivelazione di Dio che progressivamente andava manifestandosi attorno a lei e dentro di lei, per quello che poteva comprenderne. Pensiamo al sussulto del Precursore nel grembo della madre, ansioso di gridare – nel deserto – la venuta del Regno. E poi Giuseppe, di cui non conosciamo la voce ma solo la fedele e silenziosa obbedienza. Fino ai pastori, la cui preghiera correva nei loro piedi affannosi e sicuri che risalivano i sentieri delle brulle colline della Giudea.
Uomini e donne che si sono lasciati attraversare da una voce di sottile silenzio, l’hanno abitata, in totale gratuità, nell’inutilità che rende liberi, perché salvati.
Prepararsi al Natale può voler dire – Vangelo alla mano – mettersi all’ascolto del silenzio di chi ha preparato la discesa del Verbo.
Oltre il silenzio, l’altro
Il silenzio evoca erroneamente solitudine. È vero, Turoldo associa nei primi versetti della sua poesia solitudine e più alto silenzio, ma non mi pare crearsi tensione, bensì complicità. Un bravo direttore d’orchestra – così mi pare – non scarta alcuno strumento a priori. Cerca invece di accordarlo, di integrarlo nella maestosità della sinfonia che si prepara a dirigere. Abbiamo visto che il silenzio intreccia la preghiera, ma non basta. Il silenzio predispone la comunione. Cos’è il mistero dell’incarnazione se non l’irraggiungibile vertice della possibile comunione? Comunione tra Dio e l’uomo, tra il Creatore e la sua creatura. Simbolicamente è qui che il velo del Tempio ha cominciato a squarciarsi e tutto ciò che portava divisione è stato messo all’angolo, indebolito, per essere definitivamente sconfitto tra il Golgota e la tomba vuota.
Ora, potrà sembrare una frase fatta, ma là dove manca il silenzio la relazione si svuota e gli egocentrismi prendono il sopravvento. I racconti evangelici del Natale testimoniano difatti che è il silenzio – accolto e interiorizzato – a costruire legami. Giuseppe prende Maria, la quale va in visita da Elisabetta. I Magi partono insieme, i pastori riflettono al plurale e poi si mettono in cammino, senza indugio. Insieme.
Il silenzio non mette a tacere, suscita parole nuove, che a loro volta scrivono storie di umanità redenta. Storie di comunità.
Sulla strada che porta a Betlemme, potremmo allora interrogarci sulla qualità del silenzio nelle nostre relazioni, quelle che consolano e quelle che feriscono. Quelle che edificano la comunità e quelle che la fanno vacillare. Se l’amore canta in silenzio – ci ricorda ancora Turoldo -, allora anche l’amore fraterno ha bisogno di silenzio per allargare i paletti della tenda, per “fare Natale” nella ferialità dei giorni qualunque.
Dal silenzio, la Parola
Dalla pienezza del silenzio è scaturita la Parola e la pienezza della Parola ha trovato compimento nel farsi carne del Verbo. Che grazia paradossale! L’oltre di Dio - interminati spazi e sovrumani silenzi, direbbe Leopardi -, ogni parola creatrice, ogni voce sottile che porta soffi di rivelazione… tutto si compie nella Parola che abita la storia, che abita in mezzo a noi, che abita ogni parola sprecata e ogni silenzio fuggito. Gesù è Verbo di Dio, è parola e silenzio.
ELENA BOLOGNESI