Paradossi e fecondità
2022/11, p. 11
Disagi e paradossi di religiose e religiosi nell’impresa sinodale.
La sua novità e la richiesta di investire carismi, profezia e prassi.
Il contributo dei religiosi al sinodo universale.
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Testimoni
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VITA CONSACRATA E SINODO
Paradossi e fecondità
Disagi e paradossi di religiose e religiosi nell’impresa sinodale. La sua novità e la richiesta di investire carismi, profezia e prassi. Il contributo dei religiosi al sinodo universale.
Parlare del rapporto fra sinodo (Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione, 2021 – 2023) e vita consacrata significa anzitutto affrontare un paradosso: alla valutazione magisteriale di rilievo verso i consacrati si oppone una sostanziale disattenzione verso la pratica collegiale e sinodale degli ordini e degli istituti. Si parla di sinodalità e si ignora il luogo ecclesiale che da sempre la pratica. Un paradosso che si innesta su un secondo: alla valorizzazione promossa dai testi del magistero si accompagna una sostanziale disattenzione delle Chiese locali. Almeno in Italia.
Difficile sottovalutare la straordinaria visione della vita consacrata consegnataci dalla post-sinodale Vita consecrata. «L’universale presenza della vita consacrata e il carattere evangelico della sua testimonianza mostrano con tutta evidenza – se ce ne fosse bisogno – che essa non è una realtà isolata e marginale, ma tocca tutta la Chiesa. In realtà la vita consacrata si pone al cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione, giacché esprime l’intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa sposa verso l’unità con l’unico sposo. Al sinodo è stato più volte affermato che la vita consacrata non ha svolto soltanto nel passato un ruolo di aiuto e di sostegno per la Chiesa, ma è dono prezioso e necessario anche per il presente e per il futuro del popolo di Dio perché appartiene intimamente alla sua vita, alla sua santità, alla sua missione» (E/VC 6948).
Il disagio e il suo superamento
A fronte di tale valorizzazione nei testi di preparazione al sinodo universale come a quello italiano (almeno quelli consultati) il richiamo alla vita religiosa è del tutto marginale. In particolare quella femminile. Sembra scomparsa dai radar. Le nostre diocesi non hanno fatto appello ai religiosi e alla loro tradizione “sinodale”. Fra i 400 animatori diocesani e i 50.000 gruppi coinvolti vi sono certo suore e religiosi, ma la loro identità non emerge. Potrebbe essere anche una buona notizia, ma forse è semplicemente irrilevanza. Eppure la vita consacrata è l’unico luogo ecclesiale che prevede un consiglio decisionale per ogni comunità, un capitolo provinciale con tutti i poteri di indirizzo, un sistema elettivo e di indicazione per le figure apicali. Non vi è decisione importante che sia in capo unicamente a una persona.
Un sottile disagio che merita di essere affrontato prima che si trasformi in risentimento. Lo straordinario processo sinodale voluto e avviato da Francesco e dai vescovi fa forza sul comune dono del battesimo. Si entra in sinodo perché si è battezzati. Tutte le determinazioni successive (partecipazione a organismi, movimenti, ministero, consacrazione ecc,) sono riportate all’identità fontale e comune. La diversità dei ruoli non scompare, ma è posteriore. L’ascolto dell’intero mondo ecclesiale si ispira alla grande visione conciliare del popolo di Dio. Si può tracciare una linea di sviluppo che parte dal servizio petrino illustrato dal Vaticano I alla riscoperta della collegialità episcopale, frutto del Vaticano II, e ora l’apertura all’insieme delle comunità cristiane nel sinodo sulla sinodalità. L’allargamento dell’ascolto è visibile anche dentro la storia del ministero di Francesco in ordine ai sinodi: dalla consultazione delle conferenze episcopali, a quella con i giovani (per il sinodo a loro dedicato) e, infine, a tutti.
La novità dell’impresa
Il disagio che è condiviso anche da altri, come i preti – spesso evocati più come problema che come risorsa – è anche dovuto alla sostanziale novità dell’impresa. Nel testo della Commissione teologica internazionale (La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa) si dice: «Nella letteratura teologica, canonistica e pastorale degli ultimi decenni si è profilato l’uso di un sostantivo di nuovo conio, “sinodalità”, correlato all’aggettivo “sinodale”, entrambi derivati dalla parola “sinodo”. Si parla così della sinodalità come “dimensione costitutiva” della Chiesa e tout court di “Chiesa sinodale”. Questa novità di linguaggio che chiede un’attenta messa a punto teologica, attesta un’acquisizione che viene maturando nella coscienza ecclesiale a partire dal magistero del Vaticano II e dall’esperienza vissuta, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, dall’ultimo concilio sino a oggi» (n.5). «La sinodalità in questo contesto ecclesiologico, indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (n. 6). Il teologo Basilio Petrà parla di «novità assoluta»: «È evidente che tutta l’organizzazione cattolica del sinodo tende ad attivare innanzitutto la partecipazione dei battezzati/cresimati alla vita della Chiesa risvegliando in essi la coscienza della comune appartenenza alla Chiesa e suscitando l’esercizio pieno della loro soggettività ecclesiale. La concreta articolazione della modalità di sviluppo della coscienza e della partecipazione sinodale ha originato una pratica sinodale che, a mio parere, appare di fatto come una novità assoluta nella storia delle Chiese». Piero Coda indica il sinodo come l’evento più importante dopo il concilio.
Investire il meglio
L’altezza della sfida impone ai religiosi e religiose l’investimento dei tratti essenziali della loro testimonianza: il carisma, la profezia e le buone prassi sinodali. Il carisma è quell’originale forma di glossa o commento al Vangelo che ogni fondatore e fondazione custodiscono e sviluppano. Va messo in esecuzione il principio ormai recepito della co-essenzialità tra doni gerarchici e doni carismatici. Ogni carisma può offrire esperienze significative di articolazione sinodale della vita di comunione e dinamiche di discernimento comunitario, stimolando nuove vie di evangelizzazione. Non si consegna al popolo di Dio un carisma come un “pacco dono”. Va costantemente alimentato anche in momenti come gli attuali in cui le forze si contraggono e i servizi si riducono. La vita consacrata testimonia nella Chiesa un possibile modello di radicalità vissuta e soprattutto la dimensione profetica. Da un lato rende visibile una forma possibile di radicalità che ne sollecita altre e non meno importanti. Dall’altro sviluppa la dimensione profetica che scruta la storia, ma va oltre essa. Nella profezia c’è una dimensione critica rispetto allo “spirito del tempo” e una prospettiva escatologica. Quanto alle prassi sinodali i religiosi e religiose sanno di non poter delegare ad altre istanze il compito di individuare il cammino futuro, né di affidare ad altri decisioni che a loro competono. Conoscono la gioia del discernimento comunitario e della decisione condivisa, ma anche la fatica quotidiana dell’esecuzione e della fedeltà. Camminare insieme nella sequela del Signore è molto bello ma richiede l’esercizio di molte virtù.
L’apporto dei superiori e superiore
A testimonianza del coinvolgimento dei religiosi e religiose nel processo sinodale universale è stato recentemente pubblicato il contributo che UISG (Unione internazionale superiore generali) e USG (Unione superiori generali) hanno elaborato sulla base dei materiali forniti da 224 congregazioni (169 femminili, 55 maschili). Una ventina di pagine che raccontano storie di sinodalità, invitano a scoprire segni di sinodalità, individuano le zizzanie che li possono soffocare, il sogno di Dio per la Chiesa del terzo millennio, le sue conseguenze per la vita consacrata e per la Chiesa.
Del compatto e ampio materiale sottolineo alcuni tratti della dimensione consacrata femminile, la condivisione delle esigenze della riforma e le conseguenze del sinodo per la vita consacrata. Le donne nella Chiesa troppo spesso sono messe a tacere e il sessismo è ancora vistoso nei processi decisionali e nel linguaggio ecclesiastico. «La supremazia storica – sociale e culturale – del maschile considera il clero come razza a parte e motiva un trattamento arrogante e irrispettoso dei laici». «Molte sono le religiose che testimoniano abusi di potere che hanno portato al razzismo, al sessismo, alla cattiva gestione dei beni della Chiesa e ad altre forme di discriminazione». «Il grido delle religiose, trattate ingiustamente, discriminate e persino maltrattate nelle diocesi di alcuni paesi, chiede di essere ascoltato e preso in considerazione». «Dare alle donne ruoli secondari nella Chiesa deve cessare il prima possibile. La sinodalità richiede in modo particolare una maggiore partecipazione delle donne negli spazi accademici, nei processi formativi del popolo di Dio e dei seminari, modellando processi di spiritualità». Sul versante delle riforme si richiede rispetto e impegno verso i gruppi considerati marginali come i divorziati e LBGT, il diaconato femminile, il cambiamento delle regole canoniche per la nomina dei vescovi e dei parroci, dei capi di dicastero, il superamento del celibato obbligatorio per i preti.
Quali saranno le conseguenze del sinodo sulla vita consacrata? È prevedibile una domanda di maggiore profondità nei dialoghi interni fra generazioni e appartenenze culturali, una più convinta collaborazione con i laici, la collaborazione fra istituti e famiglie religiose. Inoltre potrà suggerire nuove forme di leadership e di governance e una rinnovata comprensione dei voti. E, soprattutto suggerirà la centralità dello Spirito: «La sinodalità richiede un cambiamento del cuore, che sarà possibile sotto la guida e la presenza dello Spirito. La sinodalità diventa così il nostro cammino di formazione e spiritualità».
LORENZO PREZZI