Il valore apostolico della vita fraterna
2022/11, p. 4
Sembra proprio che gli Apostoli non siano stati campioni di vita fraterna. Diversissimi tra loro – impulsivi Giacomo e Giovanni; calcolatore Giuda; zelota antiromano Simone; alleato dei romani Levi Matteo – hanno faticato a convivere anche per le loro ambizioni di avere posti di riguardo nel Regno annunciato, mettendo alla prova la pazienza del Maestro.
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Testimoni
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Il valore apostolico della vita fraterna
Le confessioni di suor Giacomina
Confesso che il titolo dato a questa puntata del tema dell’anno mi ha lasciata perplessa, facendomi sorgere alcuni “ma” e “però”, come poche altre volte.
Il primo “però”: sembra proprio che gli Apostoli non siano stati campioni di vita fraterna. Diversissimi tra loro - impulsivi Giacomo e Giovanni; calcolatore Giuda; zelota antiromano Simone; alleato dei romani Levi Matteo - hanno faticato a convivere anche per le loro ambizioni di avere posti di riguardo nel Regno annunciato, mettendo alla prova la pazienza del Maestro.
Almeno durante il loro apprendistato, quando erano in Dodici, essi hanno poco da insegnarci; o forse molto, dal momento che sono partiti come noi. Normali esseri umani, incapaci di comprendere le cose di Dio, preoccupati del loro avvenire, discepoli distratti di fronte alle strane parole del Maestro.
Secondo “però”: poi, dopo Pentecoste, hanno vissuto poco assieme e ciascuno è andato per la sua strada ad annunciare il Vangelo. Diversamente avrebbero litigato con ogni probabilità, come Paolo e Barnaba, Paolo e Pietro. Per motivi apostolici certamente, ma pur sempre “in tensione apostolica”.
La spiegazione del teologo
A questo punto ho dovuto farmi spiegare da un teologo come risolvere l’enigma del come persone che sono state per poco tempo assieme possano essere proposte come esempio di vita fraterna a persone che vivono sempre, o quasi sempre, in comunità.
E qui ho imparato che l’Apostolo è uno inviato a testimoniare il fatto della risurrezione del Signore Gesù.
In primo luogo Apostoli sono i Dodici, testimoni oculari, ma in secondo luogo sono apostoli anche coloro che hanno creduto a questo fatto e continuano a testimoniarlo.
Ma se la risurrezione è un fatto consolante, è anche difficile da far accettare come convincente: chi ha mai visto un morto risorgere? Chi può credere a questa “favola cristiana”?
Ecco lo Spirito Santo che, come una “forza dall’Alto” dà credibilità all’annuncio, attraverso segni esteriori che l’accompagnano, che lo rendono “vero” al cuore e alla mente, tanto da cambiare l’orientamento della vita.
Il libro degli Atti degli Apostoli, continua il teologo, ci mostra i prodigi della prima predicazione apostolica, ma anche il prodigio della fraternità vissuta dalle comunità fondate dagli Apostoli, comunità a loro volta apostoliche perché con la loro straordinaria vita fraterna testimoniavano il mondo nuovo inaugurato dalla risurrezione (Atti 4, Con grande forza gli Apostoli rendevano testimonianza alla risurrezione).
Altre perplessità
Giunta a questo punto sono presa da un’altra perplessità (terzo “però”): la vita fraterna dava forza alla testimonianza degli Apostoli, perché era visibile, meravigliosamente parlante e quindi convincente.
Ma le nostre comunità poco visibili, come quelle delle anziane, che appoggio possono dare agli apostoli o a chi fa apostolato? O anche: che esempio danno a chi non le vede?
Il teologo, paziente come non mai, mi ha risposto: lo stesso appoggio che danno le sorelle di clausura, cioè ottengono il dono di una speciale resistenza alle fatiche della missione e una speciale capacità di toccare i cuori.
Aggiungendo: l’impegno per la vita fraterna ottiene forse più della stessa preghiera, per il semplice fatto che non c’è nulla di più grande della carità, la quale va oltre il muro del visibile. Una comunità che è mossa dalla carità, produce energia apostolica nei luoghi più remoti. Fare comunità fraterne “per amore, solo per amore” del Signore Gesù, che ci ha dato il “comandamento nuovo” vuol dire trasformare le nostre comunità in centrali che producono energia apostolica per chi lavora sui vari campi della missione.
E, da buono e saggio teologo, preoccupato della mia faccia piatta e inespressiva, mi ha chiesto a bruciapelo: “Ma tu credi alla Chiesa come corpo mistico di Cristo?”
E dopo una pausa: “Nonostante si parli troppo oggi di altri corpi, oltraggiati, che deturpano l’immagine della Chiesa, questa è sempre il Corpo di Cristo, un corpo ferito ma luminoso, un corpo in agonia ma capace di mettere in circolazione energie rivitalizzanti”.
Confesso che ho dovuto rispondergli: “Credo, ma lo dimentico sovente, perché è da un bel po’ di tempo che non ne sento parlare”.
È proprio vero che quando si dimenticano certe verità elementari, tutto diventa complicato! Perfino parlare della dimensione apostolica della comunità.
PIERGIORDANO CABRA