Aver cura di Dio
2022/10, p. 46
«Il paziente, in condizioni estreme, cerca una ragione per continuare a vivere nonostante e attraverso il negativo che lo opprime». Ed è lui in primis il
destinatario del testo di Paolo Cattorini, professore emerito di bioetica.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
NOVITÀ LIBRARIA
Aver cura di Dio
«Il paziente, in condizioni estreme, cerca una ragione per continuare a vivere nonostante e attraverso il negativo che lo opprime». Ed è lui in primis il destinatario del testo di Paolo Cattorini, professore emerito di bioetica.
Il libro di Giobbe, cui si riferisce la conclusione del testo, offre l’indicazione. Nessuno spiega il male, neppure Dio. Così è apprezzata la lotta curiosa di Giobbe che cerca una ragione, che la pretende da Dio. E che si mette una mano sulla bocca dopo averlo visto.
La ricerca nel testo biblico resta sospesa, il lettore non sa neppure bene cosa Giobbe abbia visto, ma sa che è annuncio di salvezza. Nel dolore nasce l’urlo e la ricerca di un senso. E scopriamo che essa è contenuta, quasi abbracciata da Dio proprio perché il sofferente biblico, il paziente – potremmo dire - è andato sino in fondo e ha cercato, quasi preteso, il volto di Dio.
Questo però non è rassicurante come invece sembrano le risposte degli amici. Sono tutte risposte che cercano di trovare una ragione e di rendere plausibile la situazione di Giobbe. E questi saranno rimproverati da Dio.
E qui potrebbe fermarsi il discorso, ma invece, nella storia del pensiero in molti modi sono tornate le risposte degli amici. In molti modi si è cercato di rendere comprensibile il male, di inserirlo in una serie di cause che, dal punto di vista di Dio - si dice – hanno le loro ragioni.
Il male e la bontà di Dio
Oggi è terminato il tempo per la filosofia della teodicea, riflessione sulla giustizia di Dio, che cerca di dimostrare una ragione, a noi nascosta, ma buona, che produce quello che indichiamo come male. Eppure resta un pensiero ricorrente in molti credenti. In esse vi trovano pace, ma trovano il Dio buono misericordioso, il Dio Padre di Gesù Cristo?
Il testo di Cattorini a tratti è severo perché per ogni affermazione che possiamo fare sull’esistenza comprensibile del dolore, del male, sul nostro soffrire, approfondisce fino a mostrare come il volto di Dio che ne emerge è un volto cattivo, dispotico, a volte capriccioso. Non a caso questa parte è intitolata «Teologia mostruosa. » (?)
Quante persone per questa teologia rinunciano alla fede o non si avvicinano a Dio!
L’autore, quasi rispondendo ai moderni “amici di Giobbe”, unendo il ragionamento teologico con le sue radici filosofiche, smaschera il trucco.
Il testo non è di lettura immediata, questa parte sicuramente può essere molto interessante a coloro che spesso devono rispondere a questa domanda, potrebbe essere utile a chi educa o forma nella fede, o solo è chiamato a rendere ragione del pensare cristiano.
L’acribia con la quale il testo approfondisce ogni affermazione circa la “ragionevolezza” del male, aiuta a sensibilizzare l'orecchio per riconoscere ogni affermazione pacificante, ma non per questo fedele.
E non è questione di correttezza intellettuale. Ammettere che Dio abbia un qualche ruolo attivo nel male che ci capita, autorizza Cattorini a dire : «Dio è in pericolo e noi con lui. Siamo tutti custodi di un’alleanza in cui ne va di entrambi. Dio rischia di non diventare effettivamente nostro padre o nostra madre […]» ( p. 272)
Relazione tra Dio e l’umanità
Come il libro biblico, il testo si conclude aprendosi sul tema del pregare e della preghiera per eccellenza, il Padre nostro. Ḕ qui che prende senso e forza esistenziale l’espressione, che dà il titolo al libro: aver cura di Dio.
Pregare serve a noi, che in questo modo poniamo di fronte a Dio il dolore che sfigura noi e lui. Così riabilita il congiuntivo della preghiera. Che Dio sia con noi e non semplicemente è, perché nell'alleanza che il Signore fa con ciascuno e con il suo popolo, anche l’essere umano è custode del volto buono che sempre dona solo vita ai suoi.
Con lo stile che non si sottrae ai passaggi difficili, l’autore rende ragione anche della domanda di essere liberati dal male.
«[…] il “Padre nostro” invita a percorrere una strategia pratica: amare Dio, scommettere su di lui, amplificarsi, dilatarsi, estendersi (?) alle nostre relazioni: Dio, liberaci dal male, da ogni male, per sempre e senza riserve» (p-284). Questa è la fedele attesa del Regno che non lascia immobili gli esseri umani.
Di fronte al male, sostenuto dalla misericordia di Dio, il credente resiste.
E poiché il libro è innanzitutto dedicato a chi soffre, è da sottolineare il passaggio sul resistere al male. Esso è anche acconsentire alla morte, in caso di sospensione di una cura sproporzionata, per esempio.
Si tratta di opporsi al male che strappa agli affetti. In nome della cura per noi stessi, per gli altri, per Dio che ci ama.
Il testo è ampio perché spazia tra filosofia e teologia arrivando al cuore della fede cristiana - la fede nell’alleanza in Gesù - mostrandocene l’annuncio di salvezza: «La cura per Dio e la resistenza al male, a ogni male, senza condizioni, sono due aspetti dell’unico atteggiamento di fede nel Dio cristiano».
Ci sembra che questo indichi la necessità di ricordare che alcuni temi dibattuti sono prima di tutto situazioni esistenziali, che il credente non può rassegnarsi al dolore, ma per far questo è necessario ripartire dal cuore della relazione con Dio, e soprattutto dalla relazione di Dio con l’umanità.
ELSA ANTONIAZZI