Cozza Rino
Elementi di novità che caratterizzeranno il futuro
2022/1, p. 24
Urge riformulare la propria identità a misura del bisogno di una società completamente diversa, dando vita a forme nuove, se non vuol essere consegnata alla storia, senza essere negata, come è stato per la vita eremitica, anacoretica o monacale di altri tempi.

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UNA VC CHE GUARDI AVANTI NON INDIETRO
Elementi di novità
che caratterizzeranno il futuro
Urge riformulare la propria identità a misura del bisogno di una società completamente diversa, dando vita a forme nuove, se non vuol essere consegnata alla storia, senza essere negata, come è stato per la vita eremitica, anacoretica o monacale di altri tempi.
In questo momento in cui l’umanità sta ridisegnando con immensa fatica i lineamenti della propria identità, la vita religiosa non è dispensata dal dover trovare nuove tracce di senso per allargare possibilità di vita, nella consapevolezza che «si esce da nessuna crisi se non aderendo fino in fondo al processo trasformativo che essa segnala e spinge ad attuare».
Siamo arrivati ad un tempo in cui i punti di contatto tra la cultura attuale e le forme storiche di vita religiosa sono molto pochi, per cui gli sforzi di questi cinquant’anni per farli interagire non sono stati produttivi per il fatto che tutte le ideologie umane che vengono da epoche lontane, focalizzate al tempo che le ha fatte nascere, sono inevitabilmente miopi. Da qui la necessità di riformulare la propria identità a misura del bisogno di una società completamente diversa, dando vita a forme nuove, se non vuol essere consegnata alla storia, senza essere negata, come è stato per la vita eremitica, anacoretica o monacale di altri tempi.
I sintomi della malattia di cui è vittima la VC sono l’emergere di una generale incapacità di attrarre nuove persone generative e di qualità, che per non poche Istituzioni, è preludio di una conclusione per sterilità.
Allora che cosa fare per ridonarle la sua attrattiva, la sua bellezza umana e spirituale, quella che crea gioia nel vivere e nel donarsi?
Servono luoghi di incubazione di nuovi significati culturali
Fino ad oggi questa funzione si attendeva dai Capitoli, Assemblee, Consulte, ecc…che in questi ultimi cinquant’anni si sono intensificati portandosi però a dover prendere atto che il futuro possibile «non si misura dalle dichiarazioni ma dai processi che riesce a mettere in atto». Processi che di fatto non ci sono stati se si è finiti con l’applicare ad essi il motto gattopardesco «cambiare tutto per non cambiar niente». Esito attribuibile al fatto che non si può pensare al nuovo, rimanendo all’interno dello stesso paradigma che ha portato a conservare immutata la situazione della VC, ovvero i propri valori, le proprie norme e i propri modi di vivere, realizzando solo quelle innovazioni atte a tamponare le emergenze, purché nulla cambi, preferendo salvaguardarsi anziché inculturarsi. Il vero cambiamento avviene piuttosto attraverso organismi o persone che riescono a guardare il mondo dal di fuori del paradigma inteso come principio acquisito, dominante.
Il teologo Thaddée Matura diceva che il cambiamento è frutto dell'iniziativa, maturata attraverso esperienze, contatti, riflessioni e discussioni nate da quei gruppi di ricerca-azione radicati in modo profondo all’oggi della storia, spinti dall'entusiasmo della creatura nuova, dal sogno, per il fatto che un valore circola se c'è un'emozione positiva che lo sostiene, e non solo decisioni, magari generose, ma teoriche dei Capitoli e Assemblee istituzionali. Se i Capitoli e quant’altro di simile sono il luogo dei principi, i gruppi di ricerca-azione sono il luogo della motivazione da «motus», ossia di ciò che fa muovere, che è origine dell'azione, con la possibilità di diventare grembo in cui quanto pensato possa avvenire.
Tutte cose attualmente non riscontrabili in certe dichiarazioni programmatiche dietro le quali non c’è tanto la forza di un’invitante idea carismatica quanto la debolezza di chi è spaesato e cerca soluzioni in scelte funzionaliste. È difficile vedere nella maggior parte delle attuali forme di governo, prese da emergenze ineludibili, la sorgente della forza che invia a fare altre cose, anche perché il governo è guidato da logiche fortemente razionali mentre i mondi vitali – e tale dovrebbe essere la VC – dalla autenticità, libertà, espressività. Alla domanda quali scelte fare, la VC è portata a pensare un qualcosa che abbia alcune caratteristiche quali, un certo tasso di definitività, omogeneità, intercambiabilità, tutte cose che rendono difficile il collocare la VC nelle situazioni critiche a lei contemporanee. In un tempo in cui i punti di contatto tra la cultura attuale e le forme storiche di VC sono molto pochi, è impensabile farli interagire con repertori inattuali.
Ogni progetto di avvenire è significativo se è evolutivo
Per una fedeltà a Cristo giocata dentro la storia degli uomini, necessitano soprattutto persone che si trovino a proprio agio nel continuo viaggio dell'apprendimento, smarcandosi da consunti schemi, come d'altronde hanno fatto i Fondatori e le Fondatrici le cui nuove forme sono scaturite dall’aver colto i cambiamenti che il loro tempo richiedeva. Da qui il pensare che fedeltà alla tradizione significhi anche coraggio di innovazione.
Il Cristianesimo come religione dell’incarnazione – e così la VC – deve evitare irrigidimenti per il fatto che oggi la fedeltà è data dall’accarezzare il divenire, nella consapevolezza che l’identità è data dall’esito di uno sviluppo che non si compie una volta per sempre e che ogni momento è una modalità provvisoria di abitare l’oggi. È allora tempo di rendersi conto che se la VC, come si presenta nei suoi aspetti visibili stenta ad incuriosire, ciò è dovuto all’essere spiazzata rispetto alle trasformazioni della storia, essendosi costituta come «sistema chiuso» che negli anni, con l’intento di consegnare l’idea al futuro, si è consolidata in comportamenti fissati in regole tendenti a evolversi, in linea generale all’interno delle acquisizioni acquisite. Ma oggi, diversamente dal passato, il futuro è per sistemi «aperti» per i quali, coltivare le domande è amare la fatica di leggere dentro la storia. Gli Istituti allora dovrebbero porsi come loro obiettivo, il formare persone che non restino oggi per gli impegni presi ieri, ma per i sogni di domani. I “per sempre” che fanno vivere bene sono quelli che guardano avanti, perché quelli che guardano preferibilmente indietro sanno creare solo statue di sale. È il futuro e non il passato lo spazio delle promesse capaci di liberare davvero le persone.
Nel tempo in cui la VC non ha più in esclusiva il “vieni e seguimi”
Dopo il Concilio, la sequela, intesa in senso stretto, non è più privilegio solo di alcuni – ed è ciò che vari cristiani volevano sentirsi dire – per cui è stata possibile una vita cristiana radicale anche in fraternità al di fuori di quelle forme canonizzate che della «sequela» ne avevano fatto un proprio privilegio esclusivo e quindi escludente. Queste nuove forme di vita evangelica, mostrano che la scelta di appartenenza a una forma di vita discepolare, oggi non proviene primariamente da argomentazioni teologiche ma da esperienze concrete di vita. Il provvidenziale sviluppo di queste è dovuto al saper rispondere a quelle domande cui la VC non ha dato ascolto, come anche al venir meno della estroversione della VC, il cui impegno lo andava invece spendendo nell’identificarsi separandosi, pensando che la propria identità si rafforzasse accentuando i distacchi piuttosto che la complementarietà.
Allora perché l’evangelismo non pulsi in forma attrattiva soltanto altrove, la VC dovrà ridefinire vari elementi che ora la connotano, partendo dal riconoscere che identitaria della VC è innanzitutto l’esperienza di fede che la dovrebbe segnare.
Il deficit non è nel non guardarsi, ma nel non sapersi guardare da fuori
Da qui il trovarsi ora condizionati dalle proprie precomprensioni delle cose e delle soluzioni, non avendo colto che solo condizioni di spiazzamento possono innescare uno spostamento cognitivo che consenta di osservarsi da fuori per poi ridefinire e riformulare la propria collocazione. Se non si è disposti a ciò, difficilmente si riuscirà a modificare la propria posizione trovandosi ormai dentro un gioco degli specchi che rimanda sempre la stessa figura. Da qui quella autoreferenzialità che mette fuori velocemente perché questa si sviluppa a partire prevalentemente dai propri passati modelli comportamentali e di pensiero. Ma se un carisma è scaturito da persone che hanno colto i cambiamenti che il loro tempo richiedeva, non è oggi pensabile (perché non carismatico), calarsi dapprima in consuetudini e poi in regole che sono diventante quasi degli assoluti.
A questo punto la rinascita domanderebbe la «discontinuità, ma per chi è custode della normalità, questa è una parola carica di ansia per l’errata equiparazione tra discontinuità e distruzione, mentre, la discontinuità è ricerca di un piano diverso di attuazione: è capacità di far rinascere «accettando di procedere con soluzioni fragili e provvisorie (che non significa povere) senza voler tutto stabilire».
Dalla centralità del ruolo dell’autorità, alla dinamica della fraternità
Si tratta di costruire uno «stare assieme» la cui prima caratteristica, in quanto missionaria, sia di non essere orientata a se stessa, tendente a costruire una società nella società, ma dispersa nel mondo per poter essere trasparente annuncio di un nuovo tipo di società fraterna ed egualitaria, passando dal che cosa serve a sé, al che cosa apporta alla vita dei cristiani. Il tutto all’interno di «strutture fisiche, mentali, spirituali, affettive, religiose e organizzative semplici, non aziendali, accoglienti, poco pesanti e aperte». Per questo fine non è opportuno coltivare una spiritualità senza vera immersione nel territorio essendo i religiosi/e per vocazione, persone inviate per una presenza che primariamente non mira all’identificazione con un servizio o con una istituzione, ma alla scelta di voler essere tra la gente, promotori di relazioni comunionali attraverso parabole di vita, nella consapevolezza che la comunione ama le figure vive: solo queste e non i principi sono attraenti.
Ai fini di questo progetto – è detto in «Per vino nuovo, otri nuovi» – «non può non preoccupare la permanenza di stili e prassi di governo che si allontanano e contraddicono lo spirito di servizio, fino a degenerare in forme di autoritarismo». E continua lo stesso documento: «ciò che funzionava in un ambiente relazionale di tipo piramidale e autoritario oggi non è più desiderabile né vivibile nella sensibilità di comunione», perché specialmente oggi, la comunione a misura di persone adulte e mature, per evitare che diventi «comunionismo», va sempre declinata assieme a uguaglianza, libertà, gratuità, termini familiari alla teologia antropologica alla quale la VC giovane è particolarmente sensibile, amando rapportarsi con persone concrete e vicine.
C’è inoltre da aggiungere che le appartenenze per il riferimento istituzionale non sono sufficientemente coesive, e in quanto a volersi bene apportano poco; ecco perché le giovani e i giovani non sono interessati a comunità incapaci di offrire una vita comunitaria comunicativa e riscontrabile: o la comunione è visibile o non è comunione. Dunque oggi nessuno predilige i sistemi organizzativi complessi, verticistici, inevitabilmente caratterizzati da spinte spersonalizzanti e che creano dipendenza, anche perché «nel rapporto superiore-suddito, manca la base evangelica della fraternità».
Nel nostro tempo, desiderabili sono quelle forme di sequela ove sia data la preferenza al cammino di fede piuttosto che a alla routine dell’osservanza che non agevola la freschezza dell’incontro con il Signore, perché portata ad essere più attenta all’ortodossia formale che a quella evangelica.
Alla fine tutto ciò dovrebbe portare alla consapevolezza che nella VC, la funzione orientativa va ricondotta allo Spirito, vale a dire che l’autorità non comanda tutto nella Chiesa e che tutto non deve essere atteso dall’autorità, infatti le nuove esperienze sono sorte fuori dell’iniziativa della gerarchia per essere eventualmente riconosciute solo in seguito.
RINO COZZA CSJ