STENS JAN HENDRIK
Evangelici, cattolici ed Eucaristia: quale consenso?
2022/1, p. 18
Un argomento che continua ad essere molto dibattuto in campo ecumenico in Germania è quello del reciproco riconoscimento tra cattolici e Chiesa evangelica dei ministeri, dell’Eucaristia e della cena del Signore. A ridargli nuovo impulso ha contribuito recentemente l’invito dell’arcivescovo di Bamberg, mons. Schick, parlando della necessità di chiarire il significato di “un esistente consenso con differenze”.

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Testimoni
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INTERVISTA A WOLFGANG THÖNISSEN
Evangelici, cattolici ed Eucaristia:
quale consenso
Un argomento che continua ad essere molto dibattuto in campo ecumenico in Germania è quello del reciproco riconoscimento tra cattolici e Chiesa evangelica dei ministeri, dell’Eucaristia e della cena del Signore. A ridargli nuovo impulso ha contribuito recentemente l’invito dell’arcivescovo di Bamberg, mons. Schick, parlando della necessità di chiarire il significato di “un esistente consenso con differenze”.
L’emittente di Colonia, Domradio, ha colto l’occasione per intervistare il Dr. Wolfgang Thönissen, direttore dell’Istituto Johann Adam Möhler per l'ecumenismo di Paderborn, chiedendogli quali passi è necessario ancora compiere e le differenze che rimangono.
L’invito di mons. Schick
Prof. Wolfgang come giudica l’invito dell'arcivescovo di Bamberg?
Penso che mons. Schick abbia voluto far entrare questo argomento nelle riflessioni del nostro dialogo ecumenico attuale, soprattutto tra la Chiesa evangelica luterana e la Chiesa cattolica.
Il cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità, ne ha già fatto un progetto molto ampio e ha sollecitato anche diverse iniziative regionali e locali di dialogo ecumenico. Vorrei qui ricordare il documento "Comunità in crescita" con cui in Finlandia le Chiese evangelica-luterana e cattolica hanno avviato il cammino.
Sono considerazioni che attualmente vengono portate avanti anche in Germania. Per ora tuttavia non si tratta di un progetto concreto, come se domani il reciproco riconoscimento dei ministeri fosse già cosa fatta, ma che occorre approfondire ulteriormente entro un quadro storico. Allora tutto acquista un senso.
Lei dice "evangelico-luterano".
Distinguo tra le chiese regionali evangeliche in Germania, che sono luterane, unite o riformate. Il dialogo di cui parlavo è un dialogo evangelico-luterano-cattolico. È in questo ambito che negli ultimi decenni si è prodotta la maggior parte dei documenti sul piano mondiale. Abbiamo qui una certa diversificazione che in Germania non è sempre percepita così chiaramente. Abbiamo anche il Gruppo di lavoro ecumenico dei teologi e teologhe evangelici e cattolici. Questo gruppo, almeno storicamente, ha avuto origine dal dialogo luterano-cattolico o è stato l'occasione per suscitarlo.
Oggi questo gruppo si è allargato in quanto a questo dialogo partecipano anche i teologi e le teologhe Riformati e Uniti; ciò corrisponde alla situazione delle Chiese evangeliche in Germania. Ed è questo che fa la differenza, che io vedo soprattutto in una prospettiva mondiale.
Quando Roma parla di questi problemi, tiene sempre presente la Chiesa evangelica luterana, mentre noi in Germania in questa prospettiva, abbiamo in mente prima l'EKD e, in senso più ampio, le Chiese protestanti. E naturalmente qui il dialogo sembra un po' diverso.
Ci sono ancora differenze nella percezione dei ministeri e dei sacramenti, specialmente dell'Eucaristia e della Cena del Signore, anche nel protestantesimo?
Questa è una domanda che a sua volta dipende da ciascuna prospettiva. Se lei usa quella tedesca, i nostri teologi evangelici direbbero che la distinzione tra evangelico e luterano non esercita più alcun ruolo. Qui c'è pertanto qualcosa perché le Chiese evangeliche in Germania e anche la teologia stanno cercando di superare queste distinzioni tradizionali nella professione di fede confessionale, mentre sono viste in modo del tutto diverso sul piano mondiale perché qui abbiamo a che fare con le federazioni confessionali mondiali. Queste, naturalmente, mettono in primo piano il loro rispettivo credo tradizionale.
La parte cattolica attribuisce importanza al fatto che la comprensione dell'Eucaristia dipende dalla comprensione del ministero che ha la Chiesa cattolica romana. Pertanto, nell’invito dell'arcivescovo di Bamberg, abbiamo una specie di pacchetto complessivo. Quali sono gli ostacoli che si pongono sulla via del reciproco riconoscimento?
Nel noto Votum " Insieme alla mensa del Signore" del Gruppo di lavoro ecumenico, abbiamo adottato una dichiarazione comune secondo cui per una piena comunione della Cena del Signore e dell’Eucaristia è necessario prima il riconoscimento reciproco dei ministeri. Ciò naturalmente implica anche gli interrogativi che riguardano l’Eucaristia - Che cos'è l'Eucaristia? Cosa intendiamo con ciò? Come affrontiamo le controverse questioni teologiche tradizionali? Un chiarimento di questo legame tra Chiesa, eucaristia e ministero è assolutamente necessario –- per così dire – per parlare di piena comunione della cena del Signore o eucaristica.
Cosa rimane da chiarire?
Ora entriamo più nel dettaglio. Quali interrogativi devono essere in definitiva ancora chiariti? Anzitutto, riguardo all'Eucaristia: cosa significa presenza di Gesù Cristo? La piena, reale presenza in, con e sotto le specie, per così dire. Il problema della transustanziazione, l’interrogativo circa il sacrificio e il carattere sacrificale.
Il dialogo ecumenico ha prodotto in proposito negli ultimi decenni risultati sorprendenti. Possiamo certamente parlare riguardo a questi problemi teologici di un esistente consenso con differenze. Non si tratta di un pieno consenso, ma è stata realmente raggiunta un'intesa.
La seconda domanda che si pone ora è: in che rapporto stanno l'Eucaristia e il ministero? Ossia, chi amministra il sacramento dell'Eucaristia? Anche a questo proposito abbiamo davvero raggiunto un’intesa, e superato le opposizioni. Da una parte solo un ministero con l’ordinazione sacerdotale, dall’altra, un ministero che deriva dalla comunità.
Ci siamo lasciati un po' alle spalle questa contrapposizione. Ma resta il problema della successione apostolica.
Rimane quello della posizione dell'episcopato, cioè della costituzione episcopale, ossia le questioni magisteriali. Sono questioni non ancora chiarite. Questo è il problema basilare.
Quando si parla di riconoscimento reciproco dei ministeri, bisogna che questi interrogativi debbano essere almeno inclusi prima nel processo di chiarimento. Il gruppo di lavoro ecumenico lo afferma chiaramente nel suo Votum. Ma non vedo ancora un vero consenso. Attualmente stiamo ancora discutendo, è chiaro.
Questi interrogativi sono ancora avvertiti come un problema a livello di base? Durante un incontro in un'accademia della diocesi di Essen, la sovrintendente del distretto della Chiesa evangelica locale ha detto che lei "consacra le donne al sacerdozio”. Ora, se anche persone che hanno studiato teologia confondono i termini, allora non sorprende che anche il laico normale non veda e non capisca più le differenze.
Si può sicuramente avere questa impressione. Abbiamo a che fare in effetti con termini diversi che in fondo sono da riferire a una realtà comune. Di solito lo si può anche fare. Per noi, naturalmente, dietro ci sono le circostanze storiche della Riforma.
D'altra parte, l'intera gamma di interrogativi mostra di essere così complicata e complessa che anche gli esperti come me a volte si confondono. Ma, dobbiamo stare attenti a non dire che queste sono tutte questioni secondarie e che comunque la gente non le capisce più.
Il problema che c’è dietro è questo: se facciamo qualcosa insieme che non è comune, col tempo apparirà molto presto. Allora non serve a niente anche cambiare i termini. Questi devono essere precisi e venire impiegati in maniera precisa perché riguardano una realtà che deve essere indicata così e in nessun'altra maniera.
E ora si aggiunge un secondo problema: il teologo evangelico Thomas Kaufmann recentemente ha sottolineato con precisione questa differenza in un lungo articolo sulla FAZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung). Ha scritto che l'ufficio di parroco che deriva dalla comunità non è identico all'ufficio del sacerdote ordinato, e che qui è avvenuto un radicale rivolgimento per cui anche un consenso ecumenico non può assolutamente fare presa.
Nel complesso, esistono quindi posizioni molto diverse. E se questo è già il caso nella realtà attuale, allora naturalmente dire "Sì, ci sono differenze?" è solo una di tante altre. Per questo io chiedo chiarezza e anche chiarimenti.
Il caso dei pastori evangelici e anglicani che passano alla Chiesa cattolica
C’è la possibilità per i pastori evangelici sposati e anche per quelli anglicani di essere ordinati sacerdoti dopo la loro conversione alla Chiesa cattolica romana e di lavorare lì come sacerdoti cattolici sposati. Non �� questo già un primo passo verso il riconoscimento reciproco dei ministeri?
Le decisioni a cui lei accenna sono due. Nel 1951 Pio XII ha consentito questa possibilità per i convertiti della Chiesa evangelica, cioè per i pastori che volevano diventare sacerdoti cattolici, rimuovendo in questi casi l'obbligo del celibato. Ma si tratta di un regolamento di eccezione, e ciò ha rappresentato una certa agevolazione per gli interessati. Questi possono quindi mantenere lo stato personale fino ad allora avuto, ossia rimanere sposati; così, in questo caso anche noi nella Chiesa cattolica possiamo avere dei preti sposati. Fino al 2015, però, essi non furono impiegati nella pastorale parrocchiale, ma in quella di categoria, cioè ospedali, insegnamento religioso e così via.
Un secondo caso riguarda l'ordinazione e l'accettazione di sacerdoti e vescovi anglicani nella Chiesa cattolica in un Ordinariato, appositamente creato, nel 2009, da Benedetto XVI. Anche questo è stato espresso in vista della situazione della Chiesa anglicana.
Si tratta di regolamenti speciali e in ambito ecumenico, anche nella Chiesa cattolica ci siamo chiesti se questa può essere una via possibile dell’ ecumenismo. E abbiamo risposto che in realtà tendiamo a non credervi. Dovremmo considerare ciò come un'eccezione.
Essa rappresenta un certo modo di andare incontro alla decisione personale dei singoli. Ma non è la strada maestra dell'ecumenismo. Questa deve snodarsi in modo diverso, deve svilupparsi attraverso il dialogo. È quanto hanno inteso sia la leadership della Chiesa anglicana, sia lo stesso Primate anglicano, ossia che non vogliamo chiamare in alcun modo strada maestra dell’ecumenismo ciò che è stato creato con l'Ordinariato per i sacerdoti anglicani.
Un ecumenismo di profili?
Mons. Schick parla di un ecumenismo della diversità riconciliata. Ciò suona come se tutto debba rimanere come prima e che anche noi in una maniera o nell’altra dobbiamo riconciliarci. Sotto il presidente del Consiglio EKD Wolfgang Huber, invece, si è parlato in maniera più marcata di un ecumenismo di profili. Qual è il suo orientamento: un ecumenismo di profili o di diversità riconciliata?
Nelle nostre discussioni ecumeniche noi presentiamo naturalmente i profili confessionali. Ma naturalmente questo dei profili è anche un po' pericoloso. Chi mostra troppo profilo acuisce anche le differenze teologiche controverse. Dobbiamo dirlo chiaramente. Abbiamo bisogno di profili. Come controparte nel dialogo ecumenico, abbiamo bisogno di un'autentica espressione del rispettivo credo. Solo allora si può discutere faccia a faccia su un piano di parità. Più questo diventa chiaro, meglio si potrà parlare di reciproco riavvicinamento.
Una posizione cattolica - per così dire sbiadita - non porta a un'intesa, quanto piuttosto a riconoscere che per i cattolici non è più così, (ossia che ora la pensano un po’ diversamente). Lei nota che una posizione del genere non ha futuro ecumenico. Ecco perché io sostengo nel sottolineare chiaramente dove sono le differenze, ma anche nel cercare vie e mezzi di intesa.
La diversità riconciliata è una specie di espressione ausiliaria che ci permette di percorrere la via della riconciliazione nonostante le differenze esistenti. Ma naturalmente non è un metodo che possiamo adottare. Il metodo di cui possiamo servirci è stato indicato dal dialogo luterano-cattolico negli ultimi decenni, ossia quello di un consenso differenziato o meglio – vorrei dire in maniera ancora più precisa e più difficile – un consenso differenziante.
Noi cerchiamo un consenso e questo deve aiutarci a trovare nelle differenze ciò che abbiamo in comune senza cercare di escluderle tutte. Probabilmente non ci riusciremo. È solo un'esperienza che abbiamo fatto.
Quindi come procedere? Questo è un movimento di ricerca. Nel momento attuale non possiamo dire dove ci porterà. Nonostante tutte le difficoltà e tutti i rispettivi punti di vista diversi, il mio desiderio è di perseverare nel dialogo. Le Chiese cristiane non devono farsi dividere, nemmeno oggi nel nostro tempo.
JAN HENDRIK STENS