Mai più guerra
2022/1, p. 7
Nel 55° messaggio per la giornata della pace (1 gennaio 2022) papa Francesco
sottolinea il tema del dialogo fra le generazioni, l’educazione e il lavoro.
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Testimoni
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GIORNATA DELLA PACE, 1 GENNAIO 2022
Mai più guerra
Nel 55° messaggio per la giornata della pace (1 gennaio 2022) papa Francesco sottolinea il tema del dialogo fra le generazioni, l’educazione e il lavoro.
«Ancora oggi il cammino della pace, che san Paolo VI ha chiamato col nome di sviluppo integrale, rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa». La percezione di un calo di interesse sul problema della pace, nonostante i numerosi scontri bellici in atto e in previsione, riguarda non solo i media, ma anche le popolazioni e la stessa Chiesa. Torna ad agitare le acque il messaggio per la giornata della pace di papa Francesco (8 dicembre), scritto per la giornata della pace, 1 gennaio 2022.
Per la cinquantacinquesima volta il magistero pontificio affronta il tema. Con l’ottica specifica ricordata nel titolo: Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura. L’insieme di questi messaggi, avviati nel 1968, si configura come una parte del magistero pontificio in ordine alla dottrina sociale e sull’onda conciliare della Gaudium et spes.
Le caratteristiche maggiori di quest’ultimo testo sono da un lato nella concentrazione sulle questioni che occupano questo scorcio della predicazione di papa Francesco (in particolare Laudato si’ e Fratelli tutti) e, in secondo luogo nell’approfondimento di assonanze con l’insieme dei 55 messaggi. Sono almeno sette quelli che si occupano del rapporto fra giovani, educazione e pace.
Dialogare
«Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico sull’individualismo più che sulla condivisione solidale».
I tre punti sviluppati sono quelli espressi nel titolo: il dialogo fra le generazioni, l’istruzione e l’educazione, il lavoro: tutti declinati in ordine alla pace. Li accenno, avvicinando alcuni testi del magistero recente.
«Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –; e neanche della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati come se non vi fossero passato e futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una politica sana». Nella postsinodale Christum vivit (2019) il Papa scriveva: «Al mondo non è mai servita né servirà mai la rottura fra generazioni. Sono i canti di sirena di un futuro senza radici, senza radicamento. È la menzogna che vuol farti credere che solo ciò che è nuovo è buono e bello. L’esistenza delle relazioni internazionali implica che nelle comunità si possieda una memoria collettiva, poiché ogni generazione riprende gli insegnamenti dei predecessori, lasciando così un’eredità ai successori. Questo costituisce dei quadri di riferimento per cementare saldamente una società nuova» (n. 191).
Educare
L’istruzione e l’educazione sono vettori primari dello sviluppo della persona e della società, condizione per difendere e promuovere la pace. «È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano una inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via».
Nel Patto globale per l’educazione (15 ottobre 2020) si dice: «Educare è sempre un atto di speranza che invita alla co-partecipazione e alla trasformazione della logica sterile e paralizzante dell’indifferenza in un’altra logica diversa, che sia in grado di accogliere la nostra comune appartenenza. Se gli spazi educativi si conformano oggi alla logica della sostituzione e della ripetizione e sono incapaci di generare e mostrare nuovi orizzonti in cui l’ospitalità, la solidarietà intergenerazionale e il valore della trascendenza fondino una nuova cultura, non staremo mancando all’appuntamento con questo momento storico? … Noi riteniamo che l’educazione è una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia … Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo che coinvolga tutte le componenti della società. Ascoltiamo il grido delle nuove generazioni, che mette in luce l’esigenza e, al tempo stesso, la stimolante opportunità di un rinnovato cammino educativo che non giri lo sguardo dall’altra parte favorendo pesanti ingiustizie sociali, violazione dei diritti, profonde povertà e scarti umani».
Lavorare
«Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello». La pandemia ha fatto fallire milioni di attività economiche e produttive e ha devastato l’economia informale, in cui operano i migranti e i più marginali. «In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla costruzione della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale».
In parallelo si possono segnalare diversi passi di Laudato si’ e Fratelli tutti. Mi limito a citare qualche riga degli indirizzi ai movimenti popolari. In particolare, dal primo (2014): «Non esiste peggiore povertà materiale – mi preme sottolinearlo – di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico che mette i benefici al di sopra dell’uomo, se il beneficio è economico, al di sopra dell’umanità, al di sopra dell’uomo, sono effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo che si può usare e poi buttare. Oggi, al fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una nuova dimensione, una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale: quelli che non si possono integrare, gli esclusi sono scarti, “eccedenze”».
Tracce di cammino
Il tema della guerra e della pace informa l’intero messaggio e conferma i mutamenti degli orientamenti ecclesiali. Sempre più distanti dalla giustificazione della guerra. Sollecitato dal pericolo nucleare il Vaticano II ha dovuto superare i classici criteri della “guerra giusta”. E cioè: giusta causa, ultimo ricorso, proporzionalità del danno inflitto, decisione dell’autorità legittima, speranza di successo. «I cattolici non sono invitati a rompere con il loro deposito dottrinale, ma a reinterpretarne i criteri in maniera così stretta che nessun ricorso alla violenza bellica possa essere considerato come un mezzo normale per risolvere i conflitti, senza escludere che questo possa succedere in casi davvero eccezionali» (Christian Mellon). In altre parole allo ius ad bellum (diritto alla guerra) si è aggiunto lo ius in bello (diritto nella guerra), lo ius post bellum (il diritto dopo la guerra) e, sempre più, lo ius contra bellum (il diritto contro la guerra).
Il cammino di approfondimento progressivo trova una conferma nel giudizio sulle guerre del Golfo e una interpellanza nelle guerre balcaniche (“ingerenza umanitaria”). Su tutte e due le guerre del Golfo (1990, 2003) il giudizio di Giovanni Paolo II è stato coerentemente critico e i loro esiti infausti ne confermano la pertinenza. Diverso il caso delle guerre etniche di Balcani dove un intervento esterno è sembrato più plausibile per la disumanità delle stragi razziali. Si è parlato appunto di “ingerenza umanitaria”, a indicare l’estremo limite per impedire la “pulizia etnica” e la corresponsabilità dell’inazione. Il grande attivismo delle Chiese cristiane che negli anni ‘80 hanno alimentato la vitalità dei movimenti pacifisti si è paradossalmente rattrappito nel momento del “crollo del muro”, della fine dei regimi comunisti dell’Est Europa. Non si è prodotto un chiarimento ulteriore sul rapporto fra pace e guerra. L’apparire del fondamentalismo islamico, sia terrorista che sul terreno (califfato), ha sollecitato il magistero e la Chiesa ad una interlocuzione con le altre fedi sul fondiglio inesplorato della violenza a giustificazione religiosa. L’avvio dei confronti fra religioni ad Assisi (1986) e le successive riprese hanno posto le giuste premesse. Non è casuale che nel 2014 la Commissione teologica internazionale abbia editato Il monoteismo cristiano contro la violenza ove si conclude: «Possiamo però attestare, con tutta la fermezza e l’umiltà necessarie, che il radicale ammonimento nei confronti di un uso dispotico e violento della religione, appartiene in modo unico al nucleo originario della rivelazione di Gesù Cristo: e ne rappresenta uno degli aspetti più inauditi ed emozionanti, nella storia dell’attesa della manifestazione personale di Dio e dell’esperienza religiosa dell’umanità. La confessione del fatto che l’unico Dio, Padre di tutti gli uomini, si lascia storicamente e definitivamente riconoscere nell’unità del supremo comandamento dell’amore, sul quale gli stessi discepoli del Signore accettano di essere giudicati, illumina l’autentica fede dell’unico Dio che noi intendiamo professare» (n. 15).
Fratelli non nemici
Il coraggioso documento di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, firmato da cattolici, evangelici e musulmani (sunniti) costituisce un rilevante passo in merito alla consapevolezza delle Chiese e religioni sulla delegittimazione dei fondamentalismi e del loro uso distorto del deposito di fede. La denuncia, operata da Francesco, non solo dell’uso, ma anche del possesso delle armi nucleari è un ulteriore aspetto sul tema della pace e della guerra. «Non possiamo non provare un senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitaria e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari … Pertanto anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro stessa esistenza è funzionale a una logica di paura, che non riguarda solo le parti in conflitto ma l’intero genere umano» (10 novembre 2017). Nell’attuale situazione la formula più usata del Papa sui conflitti è “Terza guerra mondiale a pezzi” con cui si designano gli sconti locali, le instabilità programmate, le guerre congelate e riavviate, i conflitti “ibridi”, i nuovi armamenti, i conflitti nello spazio e le guerre cibernetiche. Così scrive in Fratelli tutti: «La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo e incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. In verità, mai l’umanità ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che l’utilizzerà bene. Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra» (n. 258).
LORENZO PREZZI